Autonomia, il Sud si faccia sentire

3 Marzo 2023
1 Commento


 Massimo Villone

Nel consueto show del venerdì De Luca ha di nuovo
attaccato il governo anche sul tema dell’autonomia
differenziata. Accade che ogni tanto qualche verità la dica.
Si sta alzando nel Mezzogiorno un’onda di protesta, che in
varie regioni vede consigli comunali che approvano
mozioni e ordini del giorno come quello adottato a Napoli,
sindaci che si mobilitano, iniziative politiche, sindacali, di
società civile. Da ultimo, una lettera del presidente Anci
Decaro ha costretto il caterpillar Calderoli a rinviare
l’incontro già fissato in conferenza, imponendo un
ripensamento che avremmo voluto sentire piuttosto nel
consiglio dei ministri che con troppa fretta ha dato il
primo semaforo verde alla legge di attuazione dell’art.
116.3 della Costituzione. L’incombere delle votazioni
regionali in Lombardia e Lazio spiega, non certo giustifica,
la fretta. E anzi sottolinea la pericolosità dei processi
politici che si sono messi in atto.
Vediamo infatti che un occasionale contesto politico,
geneticamente mutevole come tutto ciò che esce dalle
competizioni elettorali in un sistema democratico, e
persino reso fragile dal crescere del non voto, apre la via a
modifiche istituzionali che cambiano il volto del Paese in
modo permanente. Come ho già chiarito su queste pagine,
la maggiore autonomia non è concessa con la legge di
attuazione a firma Calderoli, che è una legge ordinaria sul
procedimento. È invece attribuita sulla base di intesa alla
singola regione con legge speciale non modificabile né
limitabile da legge ordinaria, e persino sottratta al
referendum abrogativo.
La maggiore autonomia concessa è potenzialmente
irreversibile. Inoltre, avviare per una o più regioni
l’attribuzione di più ampia autonomia comporterà un
effetto domino, poiché la titolarità di maggiori poteri e
risorse determinerà la cifra del ceto politico regionale.
Nessuno vorrà o potrà sottrarsi. Con l’avvio
dell’autonomia differenziata, una progressiva
balcanizzazione del Paese è lo scenario probabile.
In tale contesto il Mezzogiorno sconta una singolare
contraddizione. Mentre è decisivo per la vittoria di
qualsiasi forza politica o coalizione nello scacchiere
nazionale, rimane una minoranza che in quella forza o
coalizione non riesce a far valere le proprie ragioni.
Possiamo dire che una parte della colpa ricade su un ceto
politico segnato da ignavia, clientelismo, familismo, se
non malaffare. Ma altrove la politica non è in mano agli
emuli di San Francesco o di Madre Teresa. Per capirlo,
basta la lettura delle cronache giudiziarie o anche solo
della stampa locale. E non ne viene comunque smentita la
realtà dell’attribuzione di minori risorse pubbliche e
conseguentemente di divari territoriali e diseguaglianze
crescenti, di diritti dimidiati e speranze di futuro negate,
in un territorio che per popolazione si colloca a ridosso dei
maggiori stati europei.
Accade perché una parte del Paese – quella egemone - non
assume più come obiettivo prioritario l’eguaglianza nei
diritti e la coesione territoriale. Nella riforma del Titolo V
del 2001 si riflettono gli anni del leghismo
dichiaratamente secessionista. Che oggi si traduce nella
pretesa che il Veneto avanza su tutte le 23 materie
possibili (così Zaia, Italia oggi, 23 febbraio). Mentre Toti
vuole il porto di Genova, Giani vuole l’energia e la Galleria
degli Uffizi, e Bonaccini non sappiamo più cosa vuole. Né
meraviglia la pressione per contratti regionali integrativi
su scuola e sanità. Poco importa se questo porrà fine alla
scuola nazionale pilastro della identità e unità del Paese, o
– come dice Zuccarelli, presidente dell’ordine dei medici
di Napoli - se fra poco ci si dovrà curare con la carta di
credito e non con la tessera sanitaria.
Balcanizzare il Paese è un indirizzo sbagliato, come
capisce persino Bonomi, presidente Confindustria. Il Sud
faccia sentire la sua voce. In specie, parlino le
organizzazioni sociali della sinistra - i sindacati, in primis
della scuola, l’Anpi, l’Arci che chiude oggi a Napoli una tre
giorni sul tema – magari scontando qualche ambiguità per
le contraddizioni che ognuno ha in casa.
A tutti va però ricordato che il pericolo viene anche dal
dettato stesso degli artt. 116.3 e 117 della Costituzione, ed è
solo accresciuto dal ddl in salsa leghista. Eguaglianza nei
diritti e unità del Paese si mettono in sicurezza con una
modifica mirata degli artt. 116.3 e 117, come fa la proposta di
legge costituzionale di iniziativa popolare sulla quale è in
corso la raccolta delle firme, anche online con lo Spid su
www.coordinamentodemocraziacostituzionale.it.

1 commento

Lascia un commento