Con Umberto Allegretti a parlare di democrazia e Costituzione

29 Giugno 2009
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Andrea Pubusa

Umberto Allegretti è uno dei massimi giuspubblicisti italiani. Un intellettuale a tutto tondo che guarda il diritto e le istituzione muovendo da una speciale conoscenza dei processi politici e sociali. Fondamentali le sue riflessioni sulla globalizzazione e i diritti, che ormai fanno parte della letteratura internazionale. Oltre che un grande studioso Allegretti è sempre stato un protagonista delle lotte sociali, a partire dalla battaglia per la difesa di S. Elia a Cagliari negli anni ‘70 contro le mire della speculazione edilizia. E’ stato uno dei più stretti collaboratori di Dossetti, quando questo padre costituente uscì dal silenzio del suo eremo per difendere la Costituzione sotto attacco. Insomma un interlocutore ideale per riflettere sulla nostra Costituzione. Iniziamo, esaminando la funzione e il ruolo della Carta, la sua incidenza nella società italiana. Vedremo poi nei  prossimi giorni la questione della crisi e ci interrogheremo sulla capacità della nostra legge fondamentale di affrontare le sfide del futuro.
Ringraziamo ovviamente Umberto Allegretti per la sua disponibilità. Ed ecco il primo dialogo.

D. Nella pericolosa crisi di razionalità e normatività propria del tempo presente, che affligge particolarmente il nostro paese, non è secondario l’interrogativo se uno degli strumenti con cui farvi fronte sia dato dal valore e dalla capacità di resistenza della Costituzione repubblicana…

R. Come tutte le costituzioni di rottura rispetto alla storia precedente di un paese, la Costituzione repubblicana italiana si basa sul potere costituente, dunque su una “decisione”. Ma questa decisione è stata presa con un patto tra forze politiche, culturali e sociali diverse che si riconoscevano mutuamente, nonostante la loro crescente divaricazione nelle politiche del momento e nella visione del futuro; patto che fu il frutto della convergenza, anche nel paese, di una maggioranza molto elevata. Non è dunque “una costituzione di maggioranza”, e anche se ci sono degli sconfitti (gli eredi del fascismo e della monarchia) non si può parlare dell’imposizione di un dominio.. Il senso primo della Costituzione repubblicana è dunque quello di realizzare l’unità e la concordia nazionale.

D. Certo, questo carattere pattizio e condiviso della nostra Costituzione è un elemento fondamentale. Ma come ha inciso sulla realtà italiana?

R. Tale natura pattizia ha un valore altamente innovativo nei confronti del passato poiché in Italia si erano in precedenza avute solo costituzioni più o meno unilateralmente imposte, dalla monarchia e dalla dittatura, e fondate su una divisione del Paese; divisione che si fa più rigida col fascismo ma che esisteva già lungo tutto lo stato liberale. Ma il senso storico della Costituzione non si ferma qui; infatti, essa si è saputa confrontare con i principali nodi tradizionali della storia d’Italia.

D. Sono anch’io convinto che la Costituzione ha contribuito fortemente a risolvere molti nodi storici della nostra storia…

R. La Costituzione repubblicana ha sicuramente affrontato con acuta consapevolezza e complessiva coerenza una decina di problemi fondamentali e generalissimi rimasti aperti nella storia dell’Italia antica e di quella moderna, di età liberale e fascista,,.

D. Quali?

R. Il nodo individualismo-solidarietà. Si tratta probabilmente del problema base italiano: la difficoltà di far convivere queste due realtà complementari, comune a tutto il capitalismo e a tutte le società euro-americane in epoca moderna, ma che si presenta in Italia nelle forme estreme di un individualismo “privatistico” compresente con la tendenza a un netto ”assolutismo” politico e sociale -. In conformità della sua impostazione fondamentale, da un lato la Costituzione dota le libertà e i diritti individuali di forti garanzie: rigidità costituzionale, riserve rinforzate di legge, giudici indipendenti. Dall’altro lato proclama l’inderogabilità dei doveri sociali, sia con formula generale (art. 2) che specificandone alcuni: tassazione progressiva, dovere di difesa della patria, retribuzione sufficiente del lavoro, rispetto della persona nell’attività economica ecc.

D. Poi c’è l’ispirazione e l’aspirazione egualitaria…

R. Certamente, la Carta stabilisce una direttiva di uguaglianza non solo formale ma anche sostanziale, che si dispiega nella lotta agli ostacoli sociali per la realizzazione dei diritti della persona (art. 3.2), comportando l’addossamento di compiti allo stato e insieme l’imposizione ai cittadini di vincoli insuperabili.

D. Tu dicevi che la Costituzione è un antidoto alla propensione italiana verso l’illegalità…

R. Sì, è un punto connesso al precedente, ma da sottolineare a parte per il rilievo pratico che assume, è il nodo legalità-trasgressione. E’ noto che l’inosservanza della legge da sempre costituisce in Italia un problema di particolare gravità rispetto ad altri paesi.. In questa luce, accanto alle regole particolari sui singoli doveri e sui limiti ai vari diritti, assume speciale valore l’art. 54, in genere trascurato dalla dottrina, che chiude la parte sui diritti e doveri dei cittadini sancendo il generale dovere di fedeltà alla Repubblica e di osservanza della Costituzione e delle leggi.

D. Abbiamo già un primo nucleo di principi, libertà, diritti fondamentali-solidarietà, eguaglianza. Ma come incidono sulla realtà italiana?

R. Viene aggredito il problema del particolarismo oligarchico. La conformazione universalistica, il perfezionamento delle garanzie apprestate per i diritti individuali, inclusi quelli sociali e quelli politici e sindacali, e il dispiegamento del principio di uguaglianza offrono strumenti di potenziale vittoria su quella che è, secondo gli storici, la struttura generalissima e di lungo periodo della società italiana.

D. L’uguaglianza, i diritti, la solidarietà incidono anche nella variegata realtà locale…

R. Beh, viene data risposta alla questione del particolarismo territoriale. Altro problema che ha evidenti legami con i precedenti, ereditato da una lunga storia, e che la Costituzione affronta sciogliendo il nodo della compresenza di municipalismo e di unitarismo centralistico con la creazione delle regioni oltre che con il consolidamento dell’autonomia comunale e provinciale, nell’ambito di un sistema articolato di poteri centrali (tra cui il compito di arbitraggio della Corte costituzionale). Peraltro, si può rilevare l’incapacità del costituente a mettere in piedi un efficiente sistema cooperativo tra stato e autonomie, quale sarebbe dato soprattutto da una camera di rappresentanza territoriale, e a porre altro che premesse di buona volontà per risolvere gli squilibri a danno di alcuni territori e particolarmente la questione meridionale.

D. Se è per questo il legislatore costituzionale del 2001 ha addirittura cancellato dalla Costituzione la “Questione meridionale” dalla Carta, eliminandone il richiamo dall’art. 119. Ma quali altri problemi storici affronta la Costituzione?

R. Il problema della deficienza produttiva. Il nostro è stato prima della Costituzione un capitalismo arretrato e, come riflesso dei problemi precedentemente elencati, pieno di squilibri: tra profitto e rendita, tra privatismo e statalismo, tra aree forti e aree di sottosviluppo, tra legalità e forme di illegalità e di corruzione. La Costituzione ha posto alcune premesse di principio - come è giusto, con disposizioni particolarmente elastiche (anche se passibili di antinomie) -, bilanciando proprietà e impresa, beni pubblici e proprietà privata, iniziativa privata e responsabilità pubblica, agricoltura e settori più avanzati, credito e cooperazione.

D. Ma queste premesse hanno inciso sulla questione sociale, altro problema storico non solo della nostra società, anche se da noi è sempre stato particolarmente acuto?

R. E’ fuor di dubbio che la Carta affronta il problema della differenziazione sociale. L’uguaglianza era stata mal affrontata dalla storia precedente; le discriminazioni erano molto forti, anche quella elementare a sfavore della donna. La Costituzione è stata particolarmente vigorosa su questo fronte; non si è limitata a garantire i classici diritti di libertà negativa, ha specificamente considerato le varie posizioni dell’”uomo situato”: le condizioni di lavoro, di salute, di istruzione, di previdenza, di assistenza ai deboli, sono state fatte oggetto della previsione di diritti sociali specifici e di corrispondenti prestazioni pubbliche e sociali, più che da parte di ogni altra costituzione contemporanea. Si tratta certo di disposizioni accentuatamente programmatiche ma preziose appunto per il futuro.

D. E’ poi fondamentale l’aggancio di questa problematica con la partecipazione. L’emancipazione non è vista come frutto di una elargizione dall’alto, ma come conquista dei ceti subalterni, dei lavoratori…

R. Ti riferisci al nodo del potere e della partecipazione. Il pluralismo organizzativo adottato dalla Costituzione, al centro e sul territorio, supera di slancio la scarsa articolazione precedente, che dava al governo (e nel caso migliore al parlamento) il potere decisivo, senza un’istanza veramente neutrale al vertice - tale non fu la monarchia sabauda -, sminuendo l’autonomia del giudiziario, svalutando le autonomie locali, per lungo tempo non garantendo il suffragio universale, non ammettendo forme normali e veraci di democrazia diretta e di partecipazione popolare. Le norme costituzionali certo presentano in questo settore alcune carenze: per esempio un accentuato depotenziamento del governo e una singolare uniformità strutturale e funzionale tra le due camere, dovuti alla paure generate dal passato, e la mancanza, come detto, di una rappresentanza territoriale al centro; ma si inoltrano in molti progressi, quali il ruolo di garante del capo dello stato, la presenza d’un giudice della costituzionalità, l’autonomia del giudiziario, il riconoscimento dei partiti e quello dei sindacati, la creazione delle regioni, il referendum.

D. C’è poi la questione della libertà religiosa…

R. Il problema religioso. Anche qui, il passato presentava un’oscillazione tra una forma rigidamente confessionale dello stato - prima sotto la monarchia piemontese, poi con modalità diverse col fascismo -, e una prolungata ondata di laicismo con misure parzialmente persecutorie verso la stessa chiesa cattolica e comunque verso le altre confessioni. Pur con un parziale squilibrio a favore della stessa chiesa cattolica, garantita dal vecchio concordato, la Costituzione si ispira alla libertà e alla tendenziale uguaglianza delle varie confessioni, autorizzando l’interpretazione, attraverso un lungo travaglio, a ricavare da essa un principio fondamentale di laicità, assistito dalla rilevanza pubblica delle confessioni consentita attraverso intese con lo stato.

D. Si pensa comunemente che la Costituzione sia deficitaria sui temi ambientali. Ed in effetti la questione ambientalle fino agli anni ‘70 erà poco avvertita. Prevaleva una cultura sviluppista e industralista.

R. Il rapporto con la cultura e la natura, dapprima presente solo nella legislazione ordinaria, fu affrontato d’istinto dalla norma preziosa dell’art. 9, che in un primo tempo apparve, superficialmente considerata, vuota di senso, ma che fu più tardi suscettibile non solo di acquisire un notevole valore normativo, ma di esser letta come includente la tutela dell’ambiente in senso complessivo.

D. Non è che tu pacifista da sempre dimentichi questa parte rilevantissima della Costituzione?

R. No certo. Ultimo ma non meno importante, il nodo delle relazioni internazionali. Punto di alto squilibrio nella storia sia liberale che, più ancora, fascista, è stato anch’esso consapevolmente affrontato garantendo in Costituzione l’immediata e superiore applicazione all’interno del diritto internazionale, quanto meno di quello generale (art. 10.1); giuridicizzando il ripudio della guerra e l’apertura alle limitazioni internazionali di sovranità in funzione della pace e della cooperazione per la giustizia tra i popoli, rivolte all’inserimento del paese nelle Nazioni Unite e all’integrazione europea (art. 11); e anche rendendo possibile, pur con norme dotate di qualche incertezza, un trattamento dello straniero sostanzialmente equiparato a quello del cittadino.

D. Una Costituzione perfetta, dunque? E i tanti problemi irrisolti? Le tante manchevolezze che angosciano i cittadini, soprattutto delle fasce più deboli? Sono solo frutto di inattuazione del dettato costituzionale?

R. Quanto detto in positivo non vuol dire che la Costituzione abbia offerto rimedi perfettamente adeguati per tutte le ferite aperte nella società italiana da una storia antica. Ad esempio – sembra, per la scarsa consapevolezza che si trattasse di un problema prettamente costituzionale –, essa non ha dato impulsi sufficientemente forti all’affrontamento del problema amministrativo, e più in generale a quelli del notevole grado di inefficacia delle “strutture del quotidiano”, incluse quelle giudiziarie, mancando così di dare tutto il suo contributo su un terreno ricco di potenzialità per il miglioramento della situazione complessiva delle istituzioni e della società italiana.

D. Ma qui gioca la qualità della legislazione e le buone pratiche…

R. E’ chiaro che problemi di questa natura – quello amministrativo, quello dell’efficienza del giudiziario – sono tra quelli che richiedono massimamente, alla stregua delle osservazioni fatte prima, altre condizioni oltre la presenza di adeguate norme costituzionali (non tutte assolutamente necessarie, del resto): intervento di provvedimenti legislativi e istituzionali in genere, e anche condizioni etico-politico-culturali.

Per ora ci fermiamo qui. C’è il problema grave della crisi della democrazia e della Costituzione. Gli attacchi, le proposte di stravolgimento più che di revisione, la sempre più marcata divaricazione fra costituzione formale  e materiale. E infine il quesito fondamentale: la Costituzione è adeguata fronteggiare le sfide del futuro? Temi affascinanti e complessi. Ma di essi parleremo con Umberto Allegretti nei giorni prossimi in un altro dialogo.

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