Carbonia. Il 1949 è l’anno dei processi contro gli operai di Carbonia. Per i disordini del gennaio 1947, in carcere da un anno e mezzo Andrea Giardina, Segretario della Camera del Lavoro, il senatore Terracini fra i difensori

22 Gennaio 2023
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Gianna Lai

Come sempre, di domenica, un tassello della storia di Carbonia, dal 1° settembre 2019.

“Sabato, nella Piazza Rossa di Carbonia, Velio Spano fissa i termini della lotta per la produzione e per il rafforzamento del Sindacato”, titola L’Unità del 4 gennaio, e ancora non arrivano le “paghe secondo gli accordi del 17 dicembre 1948”, che prevedono una gratifica piena, contro le trattenute per scarso rendimento. Fino a raggiungere, a inizio d’anno, le 40.000 lire i crediti di ciascun lavoratore della miniera, nei confronti dell’azienda SMCS. E intanto si intensificano i ritmi nei cantieri e resta da istituire una “Cassa di resistenza, come garanzia per le lotte future”, e da proseguire la mobilitazione per la contingenza in provincia, sulla base della richiesta sindacale di aumento di 86 lire, gli industriali appena disposti ad attestarsi sulle 15. Lotte che vedono susseguirsi iniziative e comizi in città, il solito Pirrone a togliere “gli altoparlanti alla Camera del lavoro e agli spazi antistanti le sezioni del Pci, del Psi e del Partito sardo d’azione socialista di Lussu”, come denuncia ancora L’Unità del 14 e del 21 gennaio.
Mai interrotti i trasferimenti a Tratalias, questa volta “col pretesto di false inattitudini al lavoro di miniera”, e “le persecuzioni contro i membri di Commissione interna e la loro libertà di esplicare  l’attività”, sempre in spregio agli accordi del 17 dicembre: queste le prime notizie che leggiamo sulle corrispondenze a L’Unità di operai e tecnici dei cantieri del Sulcis, istituite col nuovo anno; in primo piano la denuncia sulle gravi condizioni di lavoro che rendono impossibile “ottenere cottimi più alti” e salari, quindi, meno indecenti. Perché i tempi si annunciano particolarmente difficili fin da subito, a iniziare dal processo alle Assise di Oristano, fissato per il 17 del mese, sui fatti del gennaio 1947 in città. A deporre il Segretario della Camera del lavoro dottor Giardina, da oltre un anno agli arresti nel carcere di Buoncammino, ripercorrendo l’ansia e i sacrifici di quel tempo per la mancanza di generi di prima necessità a Carbonia. E poi l’imputato Ledda, che afferma come furono le pressioni esercitate dalla folla, e non dai sindacati, a indurre Rostand a firmare gli accordi poi revocati. Mentre dentro il Municipio di Carbonia si trovavano il commissario di pubblica sicurezza, il tenente dei carabinieri e lo stesso Rostand. La difesa tenuta dagli avvocati, senatore Umberto Terracini, e poi i sardi Dolia, Pinna, Siotto, Sotgiu, Melis e Mastino: fra gli imputati appena sentiti, Piloni, dirigente del Psi e poi Suella e Salis del Pci.
Iniziano “le turbolenze” dopo la comunicazione dell’accordo, sostengono i testimoni e, dice A. Satta nel suo articolo del 22 gennaio su L’Unità, come alcuni imputati abbiano sostenuto di aver deposto “in base a pressioni dei carabinieri che sono stati particolarmente duri con loro”. Mentre Fancello “il provocatore, testimonia contro Mistroni”, pur avendo sostenuto che Giardina aveva parlato “con toni pacificatori dal muricciolo di Villa Sulcis”. Nota di colore, per dire come l’intera città sia trascinata dentro il processo, “ammessa anche la deposizione di Camilla Maria, tenutaria della casa di tolleranza cittadina”, di cui non si specifica tuttavia il tenore dell’intervento.
E su L’Unità del 26 gennaio, le dichiarazioni dei testimoni: il maresciallo Greggio ad accusare Giardina di avere aperto il cancello di Villa Sulcis, già dentro il giardino alcuni operai armati di coltello. Ancora lo stesso Greggio a riconoscere, tuttavia, “che molte armi sottratte alla forza pubblica furono nei giorni seguenti trovate abbandonate sul terreno, senza alcun segno di occultamento”. E poi il farmacista Costa a sostenere che su Rostand non furono esercitate pressioni, anzi egli stesso si adoperò perché l’ingegnere firmasse il testo dell’accordo. E il tenente dei carabinieri parla dei comizi di Fancello e Zanetta, che invitavano gli operai all’azione diretta, mentre Giardina, a Villa Sulcis, esortava alla calma. Trovandosi quindi il graduato in Municipio insieme a Rostand, per impedire l’ingresso della folla, udì gli spari provenienti dalla piazza, mentre nessuna violenza venne usata contro il direttore generale della SMCS e furono Giardina e Mistroni a dare l’annuncio dell’accordo firmato, dal balcone del Municipio. Poi la deposizione dello stesso ingegner Rostand: Savastano, il commissario di PS di allora, consiglia che lui esca di casa a braccetto di un agente di pubblica sicurezza. Né esclude, il teste, che alcuni operai abbiano anche formato un cordone umano per proteggerlo. Nessuna pressione in Municipio, durante le trattative, ma il testo dell’accordo fu firmato in seguito alle esplosioni degli spari in piazza, pesante il clima dato che la SMCS non aveva applicato le norme del Contratto 1946, dice ancora Rostand rispondendo alle domande dell’avvocato Terracini, né istituito mense aziendali. Per concludere, il direttore generale dichiara di non aver mai detto che la sua firma al testo dell’accordo fosse priva di valore, tantomeno che gli fosse stata estorta con la forza o con le minacce.
E prosegue l’inviato da Carbonia, nell’articolo su L’Unità del 28 gennaio e poi del 29, riportando ancora le dichiarazioni di Rostand: si è trattato di una manifestazione nata per protesta contro la crisi alimentare, la città ormai alla fame, e proseguita sul terreno sindacale. Una folla ormai stanca per la lunga attesa rompe gli argini e trabocca, invade Villa Sulcis e urla sotto i balconi del Municipio, senza che nessuno riesca a trattenerla. E Terracini interviene citando l’art. 23 del Contratto minatori 1946, che parla dell’obbligo di istituire mense aziendali non rispettato dalla SMCS; gli risponde Sirchia, rappresentante degli industriali della provincia, che nega tale obbligo per la Carbosarda. Mentre Rostand interviene ancora a dichiarare di aver promesso una risposta alle richieste operaie entro il pomeriggio del 29 gennaio, cosa che poi non fu possibile realizzare per cause superiori alla sua volontà.
Quindi la deposizione del commissario Savastano: Giardina non riuscì a calmare gli operai, parlando dal muro e poi dal balcone del Municipio, il comunista Martinelli, che si oppose in un contradditorio a Fancello, non sortì ugualmente risultati. “La folla era troppo agitata perché vi si erano inseriti elementi estranei all’agitazione in corso”, così il cancello di Villa Sulcis fu spinto e aperto dalla massa sempre più numerosa e disordinata. Altri testi riferiscono quindi sul discorso del sindaco Mistroni a Bacu Abis, a proposito delle tasse richieste ai cittadini: la copertura delle spese per il Comune sarebbe giunta tramite il contributo sui prodotti tipici che la Carbosarda, per disposizione di legge, avrebbe dovuto pagare all’amministrazione. Negli interventi dei difensori, rivendicazioni considerate sacrosante quelle dello sciopero di Carbonia poiché, non essendoci mense, neanche le razioni dei generi contingentati potevano essere distribuite ai lavoratori, la città ridotta ormai alla fame. Una riunione in prefettura, convocata dopo i primi giorni di sciopero, aveva infatti lasciato “sul tappeto” la rivendicazione dei minatori nei confronti della Carbosarda, il prefetto stesso impossibilitato a risolvere la questione.
E dalla rappresentanza di governo cagliaritana soltanto una stringata comunicazione al ministro, nella Relazione del gennaio 1949 su quella vicenda e sull’apertra del dibattimento, “Iniziato a Oristano il processo per i reati consumati durante i noti fatti di Carbonia del gennio 1947. Tra gli imputati, Giardina Segretario della Camera del lavoro

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