Gianfranco Sabattini
All’inizio di maggio di quest’anno è stata approvata la legge sul federalismo fiscale; stupisce il fatto che gran parte dei media nazionali si sia, da un lato, limitata a dare notizia che il federalismo è stato finalmente adottato con legge dello Stato e, dall’altro, abbia mancato di evidenziare come la forma di federalismo al quale è legata la sorte della democrazia del Paese sia da ricondursi ad un federalismo istituzionale che risulta essere ben altro dal federalismo fiscale. Lo stupore per il silenzio mediatico sulla natura del federalismo adottato origina soprattutto dal fatto che esso non può rappresentare un rimedio all’attuale crisi dello Stato-nazione. L’emergere di tale stato di crisi ha sollecitato risposte alternative: quella della teoria liberale moderna e quella neocomunitaria. La prima sostiene il ricupero dello Stato-nazione attraverso il potenziamento della libertà positiva e negativa di tutti i componenti la nazione. La seconda, invece, rifiutando la struttura centralistica e burocratica dell’organizzazione dello Stato-nazione tradizionale, ripropone il concetto di comunità, intendendo quest’ultima, non più come insieme di soggetti uniti da un retaggio comune immutabile ereditato da ciascuno dei suoi membri, ma come “prodotto mai finito di un processo costantemente in corso”, aperto al pluralismo ed al multiculturalismo; tutto ciò, nella prospettiva di un ritorno a “piccole unità di vita collettiva”, lontane dai grandi apparati istituzionali che hanno perso il loro ruolo di struttura di inclusione e di integrazione sociale. In questo senso, per il neocomunitarismo, le comunità appaiono come il “nuovo contenitore” di una “democrazia di vicinanza”, fondata su un loro maggiore coinvolgimento all’interno di uno Stato-federale.
Secondo la teoria neocomunitaria, ciò che con il ritorno a piccole unità di vita collettiva sarà possibile superare è la concezione dell’individuo e della società della quale è portatore l’idea tradizionale di Stato-nazione. In particolare, con il ritorno alle piccole comunità, sarà possibile superare tutte le posizioni da cui deriva la svalutazione della comunità in quanto elemento costitutivo insostituibile dell’esistenza umana. Inoltre, con il ritorno alle piccole comunità, potrà essere riproposta la dimensione politica del “vivere insieme”, perché, contrariamente a quanto si è soliti pensare, la vita nelle piccole comunità non rappresenta un semplice bene strumentale rispetto al raggiungimento di obiettivi utilitari, ma, al contrario, un bene in sé da preservare. Ancora, potrà essere superata la visione del vivere insieme propria del concetto tradizionale dello Stato-nazione, che riduce il sistema delle relazioni interindividuali a mero strumento necessario per il perseguimento di scopi privati, originando con ciò una perdita di valore dei singoli soggetti, sia in termini di identità, che in termini di solidarietà, perché estraniati dalla comunità. Infine, sarà possibile ricuperare il ruolo centrale che svolgono la lingua, la cultura, i costumi, le tradizioni, come basi di una politica del riconoscimento delle specifiche identità che costituiscono ogni singola comunità.
La teoria neocomunitaria, malgrado le critiche formulate contro la concezione del singolo soggetto e della società propria dell’organizzazione unitaria della nazione, sembra, tuttavia, potersi conciliare con il ricupero del “vecchio contenitore” espresso dallo Stato-nazione, attraverso una sua organizzazione in senso federale, per essere orientato a convergere verso la realizzazione, per tutte le comunità in esso presenti ed organizzate, di una democrazia meno condizionata dai processi decisionali centralistici. Infatti, la teoria neocomunitaria non può non condividere le istanze libertarie avanzate dai neoliberali. Per questi ultimi, i neocomunitari, che assumono come valore fondamentale l’autonomia delle singole comunità dallo Stato non possono non accettare il principio di autonomia decisionale che deve essere posto a presidio della libertà dei singoli soggetti. Su queste basi, diventerebbe allora possibile, operando una sintesi tra la posizione dei neocomunitari e quella dei neoliberali, ricuperare il ruolo e la funzione dello Stato-nazione.
In conclusione, se, all’interno di ogni Stato-nazione, il principio posto a presidio della libertà dei soggetti fosse garantito attraverso l’introduzione di piccole unità di vita collettiva, la contrapposizione tra neocomunitarismo e neoliberalismo si trasformerebbe, come ha sottolineato Michael Walzer, in un binomio posto a tutela dell’autonomia dei soggetti e delle comunità dalle propensioni centralistiche del vecchio Stato-nazione. I singoli soggetti e le singole comunità sarebbero così liberati dai deficit di democrazia scarsamente rimuovibili attraverso il semplice federalismo fiscale; e ciò anche se quest’ultimo fosse realizzato in presenza di fondi perequativi volti a rimuovere eventuali squilibri distributivi tra le comunità, in considerazione del fatto che la gestione centralistica di questi fondi riproporrebbe non più giustificate posizioni di dominio del “centro” sulla “periferia”.
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