Fernando Codonesu
In vista dell’assemblea del 24 prossimo contro l’Autonomia differenziata, ecco l’intervento di uno dei relatori, Fernando Codonesu.
La Sardegna, in ogni tempo, ha avuto uno strano marchio storico: quello di essere stata sempre dominata (in qualche modo ancora oggi), ma di avere sempre resistito. Un’isola sulla quale è calata per i secoli la mano oppressiva del colonizzatore, a cui ha opposto sistematicamente, il graffio della resistenza”, Giovanni Lilliu in La costante resistenziale.
Il presidente emerito della Corte Costituzionale Valerio Onida in un articolo apparso nel maggio del 2010 in una rivista sindacale poneva giustamente il problema della stessa sovranità dello Stato nazionale avvertendo che in base all’articolo 11 della Costituzione ci sono le limitazioni accettate per dare vita ad “un ordine internazionale che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni”e, inoltre, che su molte questioni c’è l’Europa comunitaria che esercita in proprio molti poteri di sovranità che un tempo erano di esclusiva competenza degli Stati nazionali. L’interessante punto di vista del costituzionalista poneva alla base del suo ragionamento i cambiamenti intervenuti con la legge costituzionale n. 2 del 2001 che, relativamente alle funzioni proprie dello Stato e di quelle attribuite fino a quel momento alle Regioni a Statuto Speciale, di fatto ne rovesciava totalmente l’impostazione. Per sanare la sfasatura tra gli statuti speciali di alcune regioni, compresa la Sardegna, e il nuovo assetto determinato dalla legge costituzionale n. 2 che rappresentava forme di autonomia più avanzata per le regioni a statuto ordinario rispetto a quelle a statuto speciale, si è provveduto con la legge costituzionale n. 3 del 2001 (Riforma del titolo V della Costituzione voluta dal centrosinistra) a precisare che il nuovo quadro di autonomia definito per le Regioni ordinarie vale anche per quelle a statuto speciale, almeno negli ambiti in cui vengono configurate forme più ampie di autonomia. In particolare, veniva ricordato che il nuovo assetto definito dalla legge citata prevede una nuova autonoma competenza regionale per la definizione della forma di governo, ma senza alcun adeguamento del sistema di riparto delle competenze tra Stato, Regioni ed Enti Locali. Ci si accontenta, per modo di dire, di attribuire allo Stato competenze determinate ed enumerate e vengono lasciate in capo alle Regioni le competenze “residuali”, invertendo l’assetto precedente che tuttora permane negli statuti speciali .
Dove il nuovo Titolo V della Costituzione prevede forme di autonomia più ampia per le Regioni si applica tale livello di autonomia anche alle regioni a statuto speciale, di fatto ampliandone automaticamente le funzioni; laddove, invece, le forme di autonomia previste negli statuti speciali presentassero una configurazione più favorevole per l’istituto regionale si continua ad applicare tale configurazione. Un meccanismo, comunque, abbastanza confuso che necessita sicuramente di un adeguamento degli statuti speciali al nuovo assetto costituzionale .
Sempre nel medesimo articolo, poi, la questione della sovranità veniva qualificata come “fuorviante” e si ricordavano gli stessi limiti della sovranità nazionale .
Su questo specifico punto, si ritiene che, al di là dei tecnicismi di tipo costituzionale, a mio parere è fuori di dubbio che è il Popolo Sardo che deve definire un programma politico che porti all’esercizio dell’autogoverno. Oggi più di ieri ci sono molte ragioni che sovrastano la condizione di insularità (ancorché formalmente inserita recentemente in Costituzione) e gli aspetti di natura storica e culturale quali singoli elementi fondanti di una reiterata rivendicazione di “autonomia speciale”.
L’autogoverno è come un frutto immaturo che va portato a compimento. E’ quindi, un percorso delicato e allo stesso tempo complesso perché, per far giungere a maturazione completa il frutto e goderne del succo con tutti i sapori e la sua fragranza, bisogna evitare che cada prima del tempo. Il frutto può cadere prima del tempo per tante ragioni, anche per un eccesso di cure che pretenderebbero di accelerarne la maturazione. Se il frutto cade dall’albero prima della maturazione, si sa, finisce sul terreno e al massimo può essere un buon alimento per gli animali. Ma se si vuol godere del suo gusto, bisogna che il frutto sia maturo e venga raccolto dagli uomini. Così bisogna attrezzarsi e avere le giuste attenzioni e cure per portarne a compimento la maturazione e giungere al raccolto. E quando si fa il raccolto, bisogna pensare alle nuove cure e alle nuove azioni per avere il nuovo raccolto nell’anno che viene .
La nostra idea di autogoverno è il superamento dell’autonomia, quale istituto fondativo della Regione, che si esplica nella capacità di gestire i vari aspetti del bene pubblico e dei servizi connessi già nel rispetto dell’attuale assetto dello Stato e ne può prevedere il pieno compimento in una prospettiva non troppo lontana di rapporto federale con lo Stato.
E’ un’idea, perciò, che va attuata con gli strumenti legislativi esistenti, senza visioni presbiti di separazione e secessione dallo Stato . Né, tanto meno, risulta praticabile in tale scenario un’ipotesi di indipendentismo che risulterebbe antistorico e insostenibile da un punto di vista economico. Vi può essere, però, in tale prospettiva e proprio grazie al percorso previsto dal comma 3 dell’art. 116 della Costituzione, una separazione consensuale che definisca meglio i diritti e i doveri di ciascuno, in una prospettiva di Stato Federale e di una collocazione diretta della Sardegna in Europa. L’impegno dei Sardi, allora, può e deve essere, a ragione, quello di contribuire come popolo alla costruzione dell’Europa politica, intesa come patria di tutti gli Europei, perché fuori dall’Europa siamo tutti, sia le Regioni che gli Stati Nazionali, condannati all’irrilevanza economica, politica e culturale .
Sardi, perciò, con il cuore a Nuraghe Losa, per dirla come vorrebbero alcune forze indipendentiste, ma con la testa in Europa, perché è in Europa che si prendono le decisioni che ci riguardano direttamente. Infatti, una politica economica recessiva come quella degli ultimi anni, o con tassi di crescita da zero virgola qualcosa, può essere cambiata solo se si è in grado di incidere nelle sedi giuste e non si può credere che tali sedi siano limitate a Cagliari e Roma.
È questo un obiettivo storico politico a cui tendere: una rappresentanza sarda diretta che può essere ottenuta mediante una circoscrizione specifica della Sardegna per l’elezione dei rappresentanti in Europa rappresenta il primo passo.
Il progetto di autogoverno che pensiamo perciò è quello di estendere l’istituto dell’autonomia per qualificarlo meglio e adeguarlo alle esigenze attuali del Popolo Sardo, in analogia a quanto si cerca di fare in altre parti d’Europa, come la Catalogna e la Scozia .
Tutto questo conduce ad una assunzione di responsabilità individuale e collettiva mirata ad un rapporto adulto con i diritti, i doveri ed i poteri che le leggi fondative della Repubblica e della Regione danno alla cittadinanza . Una cittadinanza che pretenda il rispetto del patto istitutivo dello Stato, per cui non vanno accettati strabismi nei confronti dei territori più deboli, come quello della Sardegna . Pari diritti, pari opportunità, pari servizi da parte dello Stato, pari doveri: così si può esercitare la nostra nei fatti l’autogoverno .
Non si tratta allora di un semplice progetto politico rivendicazionista nei confronti dello Stato, quanto, piuttosto, di una condizione o status che va semplicemente esercitato in ogni luogo decisionale, a partire dagli strumenti legislativi e operativi che regolano la nostra Regione e l’articolazione delle autonomie locali. È innegabile, al riguardo, che esiste anche un eccessivo centralismo regionale che mortifica le autonomie locali, alla pari di quel centralismo statale che si desidera far venir meno nei confronti dell’istituto regionale. Che fare, allora? Si rivendica la sovranità dei Comuni nei confronti della Regione? O non, piuttosto, ci si deve preoccupare che la Regione abbia un corretto ruolo di indirizzo e coordinamento del sistema delle autonomie locali?
Al riguardo è paradossale che si debba invocare l’art . 5 della Costituzione quando si tratta di uniformare l’organizzazione dei servizi dello Stato in funzione dello sviluppo e della valorizzazione delle autonomie locali e ci si dimentichi di pretendere l’identico trattamento nei confronti della Regione .
Ancora una volta, ci pare, l’autogoverno, o come dicono altri la sovranità, è una cosa troppo seria per lasciarla solo in mano ai professionisti della politica: tutti devono occuparsene .
Un dibattito intorno a questo tema, allora, è tutt’altro che fuorviante.
E’ venuto a maturazione adesso perché è il periodo storico che si sta vivendo che impone questo dibattito e, lo si sottolinea con forza, sono le esigenze delle popolazioni che impongono il dibattito politico individuando le soluzioni dei problemi che si incontrano . Non si può pensare che un quadro politico istituzionale cristallizzato, per quanto rappresentativo di un assetto istituzionale inscritto nell’alveo della Costituzione, sia di per sé inamovibile e intoccabile: si rinuncerebbe, in tal caso, alla funzione della politica e qui si pensa, invece, che debba essere la politica in quanto portatrice delle esigenze storicamente determinate di un popolo che deve guardare oltre il quadro, ridefinendone sia la cornice sia i contenuti.
La sovranità, allora, va gestita ed esercitata attraverso una grande partecipazione e con la capacità della cittadinanza di esprimere e costruire una “mente governante” sia nelle campagne che nei centri decisionali regionali . E parlare di “mente governante” significa proporre la costruzione di un grande partito plurale a partire da tutte quelle forze politiche che sul tema si misurano da anni, che sia in grado di rappresentare le diverse sensibilità politiche e culturali presenti nella comunità sarda .
1 commento
1 Aladinpensiero
21 Gennaio 2023 - 01:00
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