Cristian Ribichesu
Ci viene segnalata la pubblicazione di questo interessante libro, con qualche considerazione personale sul suo contenuto. La pubblichiamo volentieri anche perché getta luce su una delle più negative anomalie italiane: la gerontocrazia.
E’ uscito in questi giorni un nuovo libro (Elisabetta Ambrosi, Alessandro Rosina, Non è un paese per giovani - L’anomalia italiana: una generazione senza voce, Marsilio editore)che conferma il concetto più volte espresso in questi anni in Italia, che il paese non sia fatto per i giovani, anche perché demograficamente meno influenti. Considerando i giovani entro la fascia dei 35 anni, gli autori ribadiscono come questi non riescano ad affermarsi nel mondo lavorativo, anche perchè le cariche politico-dirigenziali italiane sono occupate, per il 45%, da ultrasettantenni. Quelli che lottavano nel ‘68 e nel ‘78 per un rinnovamento della società, hanno ottenuto ciò che volevano ma non hanno creato un sistema in grado di rigenerarsi. La mancata meritocrazia, l’eccessiva gerontocrazia, un sistema dell’Istruzione che non garantisce più l’inserimento nel mondo lavorativo, il precariato che indebolisce le rivendicazioni dei diritti dei lavoratori, sono alcune delle cause che privano il Paese di quella spinta propulsiva che è tipica delle energie giovani, accelerando un processo che potrebbe creare un salto generazionale. Da anni lo Stato accumula un debito sempre maggiore e per la prima volta i figli anno prospettive future che non sembrano migliori di quelle dei padri.
Tutto questo si trova nel libro, come anche l’incitamento per una reazione dei giovani a questo stato di cose, incitamento dettato dal dovere di una generazione che si vede negata dei propri diritti.
Ecco la presentazione che del libro offre ai lettori l’editore
Da sempre sono i giovani la parte più dinamica di una società: sono loro a travolgere le barriere della tradizione, a proporre inedite letture della realtà. Eppure in Italia, per le nuove generazioni, questo non vale. Scopertesi improvvisamente “rapinate” del proprio futuro, non accennano a reagire. Il conflitto generazionale è disattivato. Manca la spinta al rinnovamento e la società rimane rigida, poco reattiva davanti alle grandi sfide. Gli autori analizzano senza sconti le responsabilità di due generazioni, in modo diverso protagoniste in negativo dell’Italia di oggi. Padri che monopolizzano spazi e risorse disponibili, senza curarsi del bene comune; figli che dipendono morbosamente dalla famiglia, senza coraggio né capacità di immaginare un futuro diverso: sono alcuni dei motivi che rendono l’Italia un paese che non cresce, dove i giovani hanno scarso peso e poca voce. Sullo sfondo un interrogativo ineludibile: è ancora possibile, per i figli, un pieno riscatto o appare sempre più concreta l’inquietante ipotesi di un “salto di generazione”?
5 commenti
1 piero atzori
24 Giugno 2009 - 16:59
Come insegnante e come padre, anch’io sento molto il problema del ritardo con cui i giovani possono inserirsi nel mondo del lavoro. In Francia, ad esempio, a 22 anni si può arrivare ad esercitare la professione di ingegnere. La scuola e l’università vanno rese molto più efficienti. Sempre in Francia si esce dalle superiori a 18, non a 19 anni. Aveva ragione Luigi Berlinguer a voler ridurre di un anno le superiori. In questo almeno aveva ragione, purtroppo non venne ascoltato. Non parliamo poi del tempo perso all’Università. Veder languire, mortificare le energie migliori è davvero intollerabile.
Immaginando possibili forme di reazione dei giovani alle chiusure della gerontocrazia, direi partitocratica in quanto sono i partiti a volerla e a perpetuarla, direi che alle elezioni dovrebbero dare il voto ai giovani candidati fissando un limite d’età. Direi poi che dovrebbero presentare liste loro. Gli anziani dovrebbero farsi da parte e svolgere il loro ruolo di saggi, di consiglieri dei giovani. Fuori dalla stanza dei bottoni.
Sarebbe il caso di rendere pubblico il dato dell’età media dei candidati nelle varie liste presentate alle ultime elezioni politiche e amministrative, locali e italiane.
In Sardegna, l’organizzazione politica che si distingue per l’età giovane, dopo un’occhiata sommaria delle liste alle ultime elezioni regionali, è IRS.
2 Ribichesu Cristian
24 Giugno 2009 - 18:45
Tra le varie proposte degli autori del libro vi è anche quella del voto esteso fino ai sedicenni. Io una volta proposi anche delle “quote giovani”, come le famose quote rosa, nelle liste dei partiti. Ma il problema sta anche nell’inserimento lavorativo e nel lavoro precario. Generalmente, se non si parte da una “situazione forte”, che può essere anche una “situazione lavorativa”, si hanno meno possibilità di riuscita elettorale, pensate quindi a quei giovani che non riescono ad inserirsi nel mondo del lavoro, vere risorse sprecate, quali percentuali di riuscita possono avere. Nel ‘68 e nel ‘78 molti giovani, studenti, dottorandi, ricercatori, precari, combatterono per crearsi uno spazio nel sistema universitario, occupato da docenti datati. Si riuscirono a far passare anche dei concorsoni per l’inserimento indeterminato. Il problema della Scuola italiana, poi, ora è una vera piaga, dato che in quelle 133.000 riduzioni del Ministero sono compresi anche molti laureati e specializzati (vincitori di corsi-concorsi, si badi bene!) al di sotto dei 35 anni. Ma il ministro all’Istruzione oggi ha dichiarato che non è vero che con classi meno numerose si ha un miglioramento del livello delle lezioni, cosa che, invece, può essere smentita da indagini europee e americane, cui ho già fornito, e posso fornire, i riferimenti, ribadendo che quindi possono persistere le classi con 30 alunni. Evidentemente qui se si innalza il numero degli alunni per classe, come prescritto dalla nuova legge scolastica, diminuisce il numero dei docenti, quindi si toglie spazio a giovani formati e si decrementano i livelli qualitativi dell’istruzione. Proprio il movimento dell’Onda è citato dagli autori del libro come esempio di quella forza reattiva che dovrebbe spingere i giovani ad esigere ciò che gli spetta di diritto (ricordiamo sempre che per giovani intendiamo persone fino ai 35 anni, ma oggi, in quella situazione di dipendenza dalle famiglie, sempre dal libro, vi sono giovani che arrivano anche fino ai 39 anni, dagli autori considerata come la fascia d’età massima per l’espressione delle maggiori potenzialità della mente).
Sono d’accordo nell’affiancamento dei più grandi ai giovani, dato che già in passato scrissi in merito, richiedendo un turnover che vedesse il numero degli specializzati pari al numero dei pensionandi, che potrebbero lavorare negli ultimi anni di carriera, in molte professioni, a fianco dei tirocinanti e degli stessi lavoratori a tempo indeterminato, con una paga minima, nei loro primi anni di mestiere. Questo perchè i pensionandi hanno un bagaglio di esperienze importante, fonte di ricchezza che difficilmente si può trovare scritta nei libri, e i giovani sono dentetori di energie e pensieri tipici della propria fascia d’età, energie propulsive che possono fare la differenza per un continuo miglioramento che stia al passo coi tempi.
Cordialmente
C.R.
3 admin
24 Giugno 2009 - 20:14
Da docente in Giurisprudenza, posso testimoniare che l’attuale sistema universitario è volto a rinviare l’immissione dei giovani nel mondo del lavoro. La laurea in Leggi da quattro è stata portata a 5 anni. Il praticantato di avvocato da 1 a due anni. Master e corsi postuniversitari si sprecano. Eppure abbiamo avuto ottimi giudici e avvocati giovanissimi col vecchio sistema.
In realtà il miglior modo per crescere professionalmente è laurearsi prestoi e continuare l’apprendimento nel corso dell’attività lavorativa.
Il mio prof. a 21 anni era già magistrato (oggi è impensabile), io a 25 ero avvocato; il che è ancora possibile, ma la maggior parte dei giovani diventa avvocato in età successiva se non dopo i trenta.
I giovani hanno solo bisogno di fiducia e di essere messi alla prova. Non a caso nei momenti di grandi rivolgimenti storici sono i giovani a guidare i processi: Sanjust fu ghigliottinato (insieme a Robespierre) a 26, e aveva già guidato vittoriosamente l’esercito francese contro gli invasori! Ingrao fu un ot6timo direttore de L’Unità a 30 anni etc. (a.p.)
4 piero atzori
24 Giugno 2009 - 21:52
Questa situazione che vede i giovani trattenuti senza utilità tra i banchi di scuola o all’università si potrebbe assimilare al ritardo sociale causato da una guerra. L’attuale sistema partitocratico e gerontocratico sotto questo aspetto produce ritardi sociali come una guerra che duri da almeno quindici anni. Oggi ci si può sposare con le proprie forze economiche a circa quarant’anni, come mio padre al ritorno dalla guerra.
5 Cristian Ribichesu
6 Luglio 2009 - 14:52
Vi indico la lettura di questo articolo apparso su La Stampa.
Cordialmente
http://www.lastampa.it/_web/CMSTP/tmplrubriche/giornalisti/grubrica.asp?ID_blog=124&ID_articolo=669&ID_sezione=&sezione=
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