Il SUD E LA SCUOLA - DISEGUAGLIANZE MERITO AUTONOMIA DIFFERENZIATA

22 Dicembre 2022
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Caterina Gammaldi * presidente del Comitato tecnico scientifico di Di@logo

Pubblichiamo la relazione introduttiva all’iniziativa che l’associazione culturale Di@logo ha proposto per mettere al centro dell’attenzione le scelte di politica scolastica e culturale per lo sviluppo del Paese a partire dal Sud.

Parto dal titolo che abbiamo scelto – il Sud e la scuola del Paese – su cui abbiamo discusso a lungo. Non è nostra intenzione proporre una delle tante narrazioni, né una rappresentazione dei luoghi comuni sul Mezzogiorno. Per questo ci piace ricordare in premessa il contributo mai dimenticato di Franco Cassano; in Pensiero meridiano, pubblicato nel 1995 ci invitava a rovesciare il punto di vista. Scriveva: “occorre smettere di vedere le sue patologie solo come la conseguenza di un difetto di modernità. …probabilmente nel Sud d’Italia la modernità non è estranea alle patologie, di cui ancora oggi molti credono essa sia la cura. Per iniziare a pensare il Sud… è necessario prendere in considerazione anche l’ipotesi che normalmente si scarta a priori …pensare il Sud vuol dire che il Sud è il soggetto del pensiero: esso non deve essere studiato, analizzato, giudicato da un pensiero esterno …”.
In una parola, se posso sintetizzare, il Sud non ha bisogno di processi di modernizzazione, ma di scelte politiche e culturali che sappiano dare risposte a chi nasce, vive o decide di ritornare a vivere in questa parte del nostro Paese. Aggiungo …non si può essere estranei alle situazioni – problema che si intende risolvere. IL SUD È SOGGETTO DI PENSIERO o non è.
Come ben dice da anni l’economista Mimmo Cersosimo, docente dell’Università della Calabria, il Mezzogiorno è “senza voce e rappresentazione…”, esso è spesso descritto come “uno spazio economicamente e civilmente arretrato, inefficiente, corrotto, criminale… un’altra Italia”.
Credo sia utile, aprendo il confronto questa sera, considerare queste voci del Sud per capire insieme se, in rapporto alla scuola, che ostinatamente continuiamo a chiamare per la democrazia e la cittadinanza, davvero al Mezzogiorno sia imputabile il mancato sviluppo di un intero paese. Noi pensavamo e ancora pensiamo di no.  Per questo non facciamo nostri i criteri che   spesso sono utilizzati dagli esperti, né quelli utilizzati dai media per parlare del Sud e dei suoi storici ritardi strutturali e culturali. Il nostro punto di vista, che può essere condiviso o no, è quello di chi vuole superare le idee diffuse, per guardare al Sud, e alla scuola del Sud, nell’insieme del sistema Paese.
Il terreno su cui ci confronteremo stasera è dunque l’istruzione per tutti e per ciascuno lungo tutto il corso della vita, il luogo in cui vivono i nostri bambini, i nostri adolescenti, i nostri giovani, gli adulti (ancora troppo pochi) che rientrano nel sistema di istruzione e la generazione di adulti (il personale della scuola), a cui la Costituzione ha affidato il compito di prendersi cura del sapere utile per la cittadinanza e la democrazia.
Le domande che porremo ai nostri ospiti e a quanti ci seguono in presenza e on line sono le stesse che mi sono posta preparando questo intervento. Le proposte nasceranno dal confronto che avvieremo insieme questa sera e nelle prossime iniziative che prenderemo. La scuola del Paese, dunque, e il Sud senza contrapposizioni o sterili rivendicazioni.
Discutendo fra noi ci sono venute in mente molte parole da porre al centro del confronto; ne abbiamo scelte solo tre, quelle che ci appaiono, in questo momento, di grande attualità e su pensiamo vada fatta chiarezza, soprattutto per capire se esse rappresentano la nostra idea di scuola.
Ci mancano, in questa fase, i luoghi collettivi di confronto, ma quando discutiamo fra noi di diseguaglianze educative, la mente torna alla mai risolta questione dell’uguaglianza sostanziale: l’incompiuta.
La scuola – istituzione, a cui continuiamo a pensare, è quella dell’articolo 3 comma 2 della Costituzione che impegna tutti i soggetti della Repubblica nel difficile compito di “rimuovere gli ostacoli”.
Gli ostacoli, dunque, e i dati che dovrebbero rappresentare le situazioni – problema da rimuovere.
Sono più di dieci anni che economisti, pedagogisti, sociologi dell’educazione, giornalisti scrivono della crescita delle diseguaglianze educative soprattutto nel Mezzogiorno.
Sappiamo tutti che, dopo gli anni dell’espansione in cui la scuola ha rappresentato la risposta all’esclusione sociale, si è passati da investimento a spesa, compromettendo gli esiti.
I rapporti internazionali ci dicono che il processo di democratizzazione si è interrotto in tutti i paesi a causa di politiche neoliberiste che hanno investito sul libero mercato e sul capitale umano.  È peggiorato dappertutto, nel mondo, l’accesso ai servizi con scarsa attenzione alla territorialità … il lavoro, la sanità, la scuola non sono più in agenda politica mentre si consuma l’attacco ai principi della scuola democratica. Un ritardo politico – culturale grave sui diritti che, secondo noi, sono precondizioni per accedere a tutti altri diritti.
Segnalo in particolare la riduzione del tempo nella scuola di base, il dimensionamento, la rete viaria dell’800 e il pendolarismo diffuso, che, fra gli altri, sono motivi per snaturare l’obbligo di istruzione secondo Costituzione.
Si pensi alla scarsa diffusione del tempo pieno e prolungato nel sud, alle difficoltà logistiche che impediscono a tanti ragazzi di fruire delle opportunità che le scuole superiori costruiscono in percorsi di ampliamento dell’offerta formativa pomeridiani. Per non parlare dei dispositivi tecnologici disponibili durante la pandemia, della marginalità culturale delle aree interne che tengono lontani dai luoghi di aggregazione migliaia di bambini e di ragazzi, soprattutto quelli delle comunità interne e dei quartieri di periferia nelle città di provincia e medio – grandi del sud come del nord.
Non possiamo considerare un investimento sul piano culturale le scelte del periodo antecedente al 2008 né previste a partire dal 2024; fu contenimento della spesa pubblica e il dimensionamento oggi intercomunale diventa in prospettiva interregionale.  E che dire delle politiche per il lavoro che non c’è e dei rientri nel sistema di istruzione degli adulti e dei NEET? Al diritto all’istruzione si è risposto mescolando istruzione, formazione professionale e apprendistato, vanificando di fatto la scelta di una legge intesa a superare gli “almeno 8 anni” del dettato costituzionale, legge che impegnava tutti nell’acquisizione delle competenze del primo biennio della scuola superiore. Oggi l’obbligo di istruzione si consuma nei centri di formazione professionale e nell’ apprendistato e in alternanza scuola - lavoro.
Su questi temi chiedo ai nostri ospiti di esprimere il proprio punto di vista, tenendo conto   della complessità che questa questione pone in una fase qual è quella attuale, in cui, finita l’emergenza (così pare), si vuole tornare alla normalità proponendo la resilienza che non è di per sé termine positivo se è solo un tornare alle condizioni precedenti.
Non sono pessimista per natura, ma quando sento che i bambini di prima primaria hanno difficoltà ad entrare in relazione fra loro e con il sapere a causa della pandemia che ha impedito che apprendessero insieme e che l’alternanza scuola – lavoro miete più vittime di quanto noi stessi possiamo immaginare negli istituti professionali… non mi sento tranquilla. Né mi tranquillizza la scelta di un docente esperto e il merito. Tutti meritano bravi insegnanti, tutti gli studenti sono meritevoli. L’attacco alla scuola democratica è palese.
Il merito non è la meritocrazia. Le ultime esternazioni del ministro pro-tempore richiamano i due valori di Abravanel, ovvero pari opportunità grazie al sistema educativo e libero mercato ovvero concorrenza, entrambi “carenti nella società e nell’economia italiana”, dice. Ma le pari opportunità non sono a ciascuno il suo fin dalla scuola di base. Sento echeggiare: “Non tutti sono fatti per la scuola” perciò accorciamo i percorsi di studio, investiamo sulla scuola dei mestieri… come se il nostro paese fosse ancora quello degli anni 50. È questo il merito secondo noi, un merito che invoca a riferimento gli esiti delle indagini internazionali OCSE – Pisa o i risultati ai test invalsi (conoscenze vs competenze), oggi inviati alle scuole con l’attribuzione di bollini per chi ha risultati insufficienti?  Cosa ha a che fare tutto questo con l’utopia dell’educazione per tutti che invoca Marc Augè, con le politiche educative che richiedono un investimento sulle competenze culturali per la cittadinanza, con la stessa Agenda 2030 di cui si fa un gran parlare concentrando l’attenzione sulle mete e non sulle misure e sulle risorse necessarie per ciascun goal? Non sono quelle annunciate e perseguite fin dalla crisi del 2008, esclusivamente operazioni di contenimento della spesa pubblica?
Si dice che occorre un sistema educativo fondato sulle competenze, ma si confondono le competenze chiave (fondamentali) con le conoscenze e il merito, le attitudini con gli atteggiamenti. Orientare la scuola verso le competenze culturali di cittadinanza dovrebbe comportare attenzione al sapere della scuola e al protagonismo di chi apprende.
Infine l’autonomia differenziata, che tanto piace ai riformisti, agli enti locali e alle regioni non solo del centro destra e del centro nord. Se l’autonomia è uno strumento, una leva per consentire lo sviluppo culturale, ancorché economico di un paese, possiamo davvero pensare che un paese cresce se si alimenta la divisione al suo interno? Cosa dovrebbe richiamare una legge (se ce n’è davvero bisogno) per garantire occasioni di sviluppo reali che facciano leva non sulla presunta superiorità che viene dal pagamento dei tributi (tutta da verificare) e dal numero di abitanti? Non è ancora un prima il nord? Né possiamo cavarcela con l’idea che basta definire i LEP. E quali sono i LEP? E con quali risorse? Il tempo scuola è un LEP?
L’assessore regionale alla FP della Campania propone 40 corsi nel triennio 2023 – 2025 dicendo che è un percorso quadriennale e quindi un diploma professionalizzante da cui si può accedere all’università. Mi sembra di ricordare che la FP regionale non è l’istruzione professionale. La prosecuzione degli studi all’università è possibile solo per chi segue un percorso di istruzione superiore. Le famiglie saranno informate sul portale Scuola in chiaro… e qui taccio.
Le analisi mostrano che i problemi di cui il Mezzogiorno soffre sono gli stessi. Se il Sud continuerà ad essere tema residuale in agenda politica (forse crea imbarazzo parlarne, scegliere e decidere) avremo sprecato un’altra occasione. Sarà solo un parlare dell’Agenda 2030 che impone a tutti i paesi di “assicurare una istruzione di qualità, equa ed inclusiva, opportunità di apprendimento permanente per tutti”. Nei fatti si pratica l’esclusione e il Paese non può tollerarlo.

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