Festina lente, la forza della lentezza

10 Dicembre 2022
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Roberto Paraccchini

Ricordo un uovo di legno infilato dentro una calza; e l’indice e il pollice di mia nonna che vi maneggiavano abilmente ago e filo: per rimediare a uno strappo che aveva allargato uno sfilacciato. Io, bambino, quell’uovo lo guardavo con curiosità, certamente, ma anche rispetto, quasi ammirazione credo, perchè rimediava a molte cose. Calze, maglioni, gonne, giacche, pantaloni e tanto altro quasi per magia, ai miei occhi di bimbo, riprendevano vita; non ho mai capito il perché ma quell’uovo mi dava sicurezza. Ai miei sguardi meravigliati, la nonna chiariva che quell’ovale di legno era importante. Poi, assieme a un sorriso-sospiro mi confidava, quasi fosse un segreto, che “sai, però, senza l’abilità delle mani, l’uovo non serve”. E concludeva con un precetto morale: “Bisogna sempre rammendare perché è giusto così; così le cose restano nuove e durano di più”.
In un’altra dimensione dell’immaginazione appaiono due persone: lei è una donna nata oltre un secolo e mezzo fa, nel 1864 a Casatisma (Pavia). Lui è un uomo con i natali nella prima metà del secolo scorso, nel 1937 a Genova. Lei è suor Giuseppina Nicoli. Lui è l’architetto Renzo Piano. Lei, diventata autorevole e rispettata esponente delle suore Figlie della carità, è stata fatta Beata nel 2008. Lui è oggi uno dei più prestigiosi progettisti viventi, nominato senatore a vita nel 2013. Lei ha dedicato la sua vita ai più fragili e all’educazione delle bambine e dei bambini più emarginati, impegnandosi nell’arte della cura degli altri. Lui, vulcano di idee innovative, è sempre stato molto attento all’arte della sostenibilità ambientale e del rispetto del territorio.
Lei ha puntato al rammendo dei danni maggiori prodotti nei più piccini dall’emarginazione e l’abbandono, come quando, trasferita a Cagliari (nel 1914), in città fece dell’asilo della Marina, nel quartiere omonimo, un grande luogo di accoglienza. Lo trasformò in un centro di formazione e scuola per le bambine delle famiglie più povere e per is Picciocus de Crobi, che preparò a un mestiere. Senza dimenticare l’attenzione per le operaie della  vicina Manifattura tabacchi, a cui con l’aiuto di suor Teresa Tambelli, diede appoggio e assistenza, e per le giovani donne che venivano dall’interno in città per “servire” nelle famiglie più abbienti, a cui insegnò a leggere e a scrivere.
Lui invece ha dedicato la sua attività professionale alla realizzazione di opere che col territorio cercano di avere un rapporto non casuale, quasi fossero un rammendo urbanistico: per unire un vuoto apparente o, meglio, la mancanza di significato di un sito col suo contesto e produrne una nuova sintesi di senso. Tra le tante sue opere sparse per il mondo, a Cagliari va ricordata la sede del CIS (oggi Intesa SanPaolo). Una struttura-piazza non solo funzionale, tecnologicamente avanzata e aperta alla città, ma anche ricca di simboli che, ad esempio, col bianco del calcare di Orosei, che riveste l’edificio, crea un rapporto con la basilica di Bonaria e la tradizione culturale e i colori del capoluogo dell’isola; un edificio le cui forme geometriche giocano anche col vento, in assonanza con la luce filtrante dalle ampie vetrate.
Rammendare è una parola che nella sua etimologia (da ammenda e menda) indica la ripetizione di un atto verso un qualcosa, che torna e ritorna, ma mai uguale a sè stesso; come l’arte della cura che delicatamente accarezza muovendosi verso una persona o un oggetto. Rammendare, quindi, cose, o persone, o un territorio; ma sempre il rammendo implica il non scartare, il non sprecare, il rimediare a un danno (piccolo o grande che sia) e, in definitiva, a curare con delicatezza: rammendare, appunto.
In tempi più recenti le eredi delle Figlie della carità della beata Nicoli avviarono, sempre  nel quartiere Marina, una sorta di educazione al recupero, in cui si rammendavano tutti gli indumenti che avevano avuto qualche infortunio (strappi, lacerazioni, usura del tempo ecc. ecc.). Quasi una rivisitazione attualizzata di un costume più antico, una specie di primo passo verso il riciclo e il riutilizzo contemporaneo. Attività, poi dismessa, ma raccolta da altri artigiani del rione. Su una scala più ampia oggi in campo nazionale e internazionale vi sono aziende che hanno costruito il cuore del loro business nel riutilizzo creativo e su vasta scala proprio di prodotti e pezzi di abbigliamento scartati.
Renzo Piano da quando è stato nominato senatore a vita ha impiegato la diaria da parlamentare per finanziare tanti piccoli cantieri in diverse periferie del Paese: “per rammendare il territorio fragile”. Come spiegato in una intervista (pubblicata, dopo la tragedia di Ischia, lo scorso 28 novembre su Repubblica a firma di Francesco Merlo), l’architetto Piano ha ribadito la necessità di agire operativamente: di fare qualcosa per rimediare a un territorio spesso pericolante, soprattutto a causa delle infinite ferite inflitte da una edificazione selvaggia, che non si è fatta scrupolo di edificare neppure sui letti dei fiumi o in terreni franosi. E la Sardegna col suo passato e tragico tributo di morti non fa certo eccezione. Grazie alla sua lunga esperienza l’architetto Piano ha imparato che “rammendare il territorio fragile non solo è possibile dovunque e comunque: è necessario”.  Sono infatti talmente tanti i territori compromessi che “non possiamo buttare giù l’Italia e rifarla daccapo”. Mentre col rammendo del territorio, ha spiegato Piano nell’intervista a Repubblica, “non si elimina il rischio, ma lo si limita, lo si prevede senza fare gli scongiuri e magari lo si governa pure”.
Qualcuno potrebbe però fare spallucce adducendo che si tratta di una visione prevalentemente poetica, dimenticando però che la poesia è spesso molto lungimirante; oltre al fatto che questo tipo di intervento è fattibile visto che, come precisato da Renzo Piano sulla base della sua esperienza specifica, necessita in media di duecentomila euro a progetto (decisamente meno che per gli interventi di messa in sicurezza). Non solo: il rammendo del territorio produce anche un importante contributo alla limitazione del riscaldamento globale. La forestazione è infatti “il preliminare indispensabile anche perché gli alberi rallentano l’acqua, un bosco frena e trattiene l’irrivazione. Vale a dire il tempo che ci mette l’acqua a diventare rivo, e poi il rivo torrente e il torrente fiume”.
Il rammendo, quindi, come attenzione e cura sia verso i piccoli oggetti che i più grandi; sia verso le persone che le cose. Festina lente (affrettati lentamente) si potrebbe dire: vai avanti, muoviti ma datti il tempo di riflettere su quello che fai per poi ottenere il miglior risultato possibile.
A ben guardare il rammendo è pure un modo diverso di vedere il mondo. Non come un qualcosa che possiede una sua geometria perfetta da raggiungere applicando un algoritmo predefinito, ma come un agglomerato di avvenimenti che si intersecano a vicenda e che richiedono percorsi da costruire e inventare volta per volta. Un modo diverso di vedere il mondo che richiede più ascolto e dialogo, e molta attenzione sprattutto alle cose apparentemente meno risolutive perché meno mastodontiche e/o definitive. Più attenzione e cura, quindi, a quegli avvenimenti che sembrano ai margini, più legati a situazioni particolari, ma proprio per questo più fertili ad efficaci e pazienti rammendi.

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