Il referendum funziona solo se si raggiunge il quorum?

24 Giugno 2009
2 Commenti


Andrea Pubusa

Dunque - com’era prevedibile - il quorum non è stato raggiunto e la riforma elettorale proposta dal duo Segni-Guzzetta non è passata. Sì, perché questo referendum non  mirava ad abrogare una pessima legge (il Porcellum) rimettendo al Parlamento il compito di deliberarne una nuova, ma si proponeva di introdurne esso stesso una nuova legge più che bipolare, accentuatamente bipartitica. 
A fronte di questo risultato la maggior parte degli opinionisti e dei politici parlano di fallimento dell’istituto referendario. Ma domenica e lunedì è stato inferto un colpo al referendum come istituto di democrazia diretta? O il referendum ha funzionato ed è stata bocciata l’indecente proposta di legge elettorale Segni-Guzzetta? Il quesito è giustificato perché la disciplina sul quorum costitutivo legittima una triplice facoltà di voto: il sì, il no e l’astensione per invalidare la consultazione. Il no ha dunque due possibilità: il voto contrario espresso o la diserzione del seggio.  Il sì due ostacoli: quorum costitutivo e prevalenza dei sì. E’ un sistema illogico? Non proprio. E’ una disciplina volta a dare stabilità alle deliberazioni legislative del Parlamento. Perché la legge, deliberata dalle Camere, promulgata dal Presidente della Repubblica e pubblicata, possa essere abrogata non è sufficiente una qualsiasi consultazione degli elettori, occorre ch’essa sia partecipata dalla maggioranza degli aventi diritto al voto e il quesito abrogativo abbia ottenuto il consenso della maggioranza dei votanti.
L’istituto referendario, dunque, domenica non ha mostrato crepe rispetto alla sua attuale disciplina costituzionale. E’ stata soltanto battuta la pretesa di accentuare la forza dei due maggiori partiti attraverso un marchingegno elettorale, che assegna al maggior partito, sempre e comunque, almeno il 55% dei seggi.  
Tuttavia non bisogna nascondersi sotto un dito. L’astensionismo è un fenomeno in grande espansione. Rispetto ai primi anni della Repubblica ha assunto caratteri massicci; ormai in molte competizioni non si supera o si raggiunge faticosamente il 50% dei votanti, fenomeno, questo, che palesa un deficit democratico preoccupante: sindaci, presidenti e assemblee vengono eletti col consenso del 30% dell’elettorato. Ora, se si aggiunge l’astensionismo fisiologico del 30-40% a quello consapevole dei contrari al quesito referendario, la bocciatura di quest’ultimo è scontata. Così è stato per la fecondazione assistita, così è stato domenica e lunedì scorsi. Così negli ultimi 15 anni. 
Ci sono rimedi? Intanto, prima di toccare l’istituto occorre capire dove si vuole andare a parare. Si vuole preservare e valorizzare il referendum o lo si vuole affossare? Il quesito è fondamentale. In Sardegna, ad esempio, la proposta di Legge Statutaria ed anche il testo definitivo si muovevano nell’ottica di ridimensionare o mettere in soffitta l’istituto, aumentando in modo eccessivo il numero delle firme per la proposizione e riportando al 50% più uno il quorum costitutivo. A livello nazionale salta fuori l’eterno ritornello dell’aumento delle firme per la richiesta di consultazione che è vecchia di qualche decennio: l’avanzarono anche i comunisti quando i radicali usarono il referendum come modo ordinario di far politica.
Oggi, l’iniziativa referendiaria è più contenuta, quindi il problema è meno impellente. E’ più evidente la difficoltà di raggiungere il quorum di validità del 50% più uno. Si tratta allora di riflettere sull’opportunità di un abbassamento della soglia o della sua eliminazione totale. In Sardegna, fin dalla seconda metà degli anni  abbiamo abbassato la soglia di valudità al 33%, che tuttavia si è rivelata ancora molto alta in relazione all’estendersi dell’astensionismo. Si potrebbe allora ulteriormente ritoccare il quorum costitutivo portandolo al 20-25% oppure lo si potrebbe rendere flessibile rapportandolo alla percentuale dei votanti nelle ultime elezioni politiche. Oppure ancora lo si potrebbe eliminare del tutto, elevando il numero di firme necessario a promuovere la consultazione popolare. E’ quanto ha proposto ieri D’Alema.
Quali i pregi e i difetti delle diverse proposte?
L’abbassamento del quorum  favorisce le abrogazioni, mentre l’aumento delle firme rende più difficile l’indizione della consultazione e limita le abrogazioni per volontà popolare. Che fare dunque? C’è un possibile equilibrio? Due dati sono certi, e da essi occorre partire. Anzitutto, oggi la raccolta delle firme è più semplice. Possono autenticare in molti, anche i consiglieri comunali (in passato solo notai e cancellieri). Dunque, un aumento del numero delle firme è ragionevole. Occorre stabilire la giusta misura, che recuperi la maggior facilità di raccolta senza aggravarla rispetto al passato. Resa più difficile, ma equilibrata, la promozione, si può anche eliminare il quorum di validità. E qui si tocca il seconso dato obiettivo, mutato dal 1948 ad oggi: l’aumento abnorme dell’astensione abituale. Se gli elettori ordinariamente sono interessati al voto in una percentuale poco superiore al 50% , è ragionevole e necessario intervenire su queto elemento. Ciò faciliterà le abrogazioni? O, peggio, condurrà ad abrogazioni disinvolte e poco meditate? In realtà, ogni allarmismo è forse ingiustificato. La flessibilizzazione o l’eliminazione del quorum di validità renderà meno difficili (oggi quasi impossibili) le abrogazioni; sicuramente verrà impedito il cumulo fra astensioni passive e astensioni attive. E questo è un bene. Tutti gli elettori attivi saranno costretti ad andare al seggio se voglio salvare o abrogare la legge soggetta al referendum. La competizione refererdaria sarà meno frequente, ma più vera. Sarà in ogni caso decisiva. La scelta sarà rimessa al voto degli elettori e non al cumulo perverso di astenuti cronici e astenuti tattici. Forse è un bene.  Forse l’istituto verrà rivitalizzato in modo equilibrato. Che ne dite?    

 

2 commenti

  • 1 settimo spiga
    25 Giugno 2009 - 15:50

    “Il no ha dunque due possibilità: il voto contrario espresso o la diserzione del seggio”.
    Due possib legittime e politicamente, costituz ammissibili?
    Nel caso il ref sia una truffa la diserzione è cosa buona?
    Ripenso a quanto che ci hanno detto taluni da sinistra per il ref saccheggiacoste! Disabituate il popolo al voto premessa di derive antidemocr. Brrrrrrrr!
    Che gente! C’è gente che non ha pudore in questa Italia in ginocchio.

  • 2 Sergio Ravaioli
    25 Giugno 2009 - 19:24

    Il Consiglio Regionale Sardo è stato eletto dal 55% degli elettori: per l’esattezza 815.667 voti validi. Non per questo si sente menomato e legifera per il 100% dei Sardi.
    A livello nazionale la percentuale è un po’ maggiore (… per ora) ma il ragionamento è lo stesso : i provvedimenti che si chiede di abrogare non sono stati approvati dal 50% + 1 degli elettori. Quindi sarebbe ragionevole, come ipotizza Pubusa, “…rapportarlo alla percentuale dei votanti nelle ultime elezioni “. Meglio ancora alla percentuale dei voti validi e non dei votanti.
    Fermo restando che il sempre più basso numero di votanti è sintomo di una grave patologia, in stretta correlazione con lo scadimento non solo della vitalità democratica dell’Italia e della nostra Regione, ma anche con il decadimento del benessere materiale e della qualità della vita.

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