Enrico Palmas
Comincio questa mia riflessione dagli interessanti contributi pubblicati su questo sito nei giorni scorsi.
Così, rifletto sulle prospettive della nostra democrazia, m’interrogo sulla percezione diffusa del valore dei precetti costituzionali e m’indigno per la (in)consistenza politica ed intellettuale della classe dirigente che dovrebbe rappresentarci.
Peraltro, ogni considerazione “tecnica” sulla prossima consultazione referendaria mi appare viziata da banalità, per il fatto di presentarsi tremendamente uguale a quelle che a suo tempo abbiamo formulato all’atto della presentazione dei quesiti del c.d. referendum Segni – Guzzetta.
Ed infatti, quelle considerazioni sono le medesime che possono farsi adesso. Eppure, riproporle può essere d’aiuto per chi – e sono tanti – ancora non sa se andare a votare e come farlo.
Innanzitutto, mi spaventa l’uso che negli ultimi anni troppe volte si è fatto del principale istituto di democrazia diretta previsto dal nostro ordinamento costituzionale. Un uso distorto che ne ha determinato lo svilimento, fino a farlo diventare un banale strumento di pressione nei confronti del legislatore, con la dichiarata finalità di espungere dall’ordinamento alcuni lemmi di un comma di un determinato articolo di legge, per costringere il Parlamento ad intervenire sulla stessa legge per cambiarla. Se questo è il solo valore che sappiamo attribuire all’istituto, la logica conseguenza è l’astensione diffusa e via via crescente da parte del corpo elettorale.
Mi sconcerta, in secondo luogo, la posizione ufficiale del principale partito di opposizione attualmente presente in Parlamento. Leggo testualmente sulla home page del PD: «La destra dice che cambierà la legge porcata in Parlamento. Non lo hanno fatto in questo anno di governo, e non lo faranno nei prossimi anni. A meno che tu, con il tuo si al referendum, non li costringa a farlo». È vero che la destra governa da un anno e ancora non ha proposto alcuna modifica della legge elettorale, ma il PD durante gli anni in cui era al governo, lo ha forse fatto? Si è tutt’al più limitato a proporre una bozza (poco condivisa al suo interno) che lasciava inalterato il meccanismo delle liste bloccate.
E poi, abbiamo chiaro che legge elettorale verrebbe fuori dal referendum, nel caso di raggiungimento del quorum e vittoria del SI?
Per meglio comprenderlo, è sufficiente lanciare una ricerca su un qualsiasi motore su internet, ponendo come chiave di ricerca la dicitura “legge Acerbo”. Appariranno una serie di documenti – alcuni dei quali facenti riferimento ad atti piuttosto risalenti nel tempo – dai quali sorprendentemente verrà fuori un quadro d’insieme di sconcertante attualità. In particolare: la legge elettorale (Acerbo dal nome del proponente) istituiva il premio di maggioranza a favore del partito che riportava il maggior numero di voti validi, facendo in buona sostanza valere la proporzionale per le sole minoranze. Stabiliva, in via di estrema sintesi, i seguenti criteri:
- determinava nel numero di 535 i deputati da eleggere;
- istituiva un unico collegio nazionale, suddiviso in circoscrizioni elettorali per tutto il Regno;
- attribuiva i 2/3 del numero totale dei deputati (356) alla lista che avesse raggiunto il 25% dei voti validi, ed il maggior numero di voti nell’intero collegio nazionale;
- stabiliva l’assegnazione dei restanti seggi alle liste di minoranza con metodo d’Hont.
Era, cioè, quella fascista, una legge molto più garantista della porcata risultante dalle modifiche proposte dai primi due quesiti referendari: il meccanismo del premio di maggioranza scattava in quella a favore del partito che avesse raggiunto il 25% dei consensi, mentre in questa tale limite non sarebbe previsto. Le conseguenze sono facilmente immaginabili….
L’intento degli estensori, «al di fuori di altri intenti collaterali» era dichiaratamente quello di «assicurare al popolo, il quale anela a vedere debellata al sommo della cosa pubblica ogni incertezza e tergiversazione, un governo conscio dei suoi doveri e capace di adempierli».
Quante similitudini… direi troppe per non essere seriamente preoccupati.
In tutto questo disarmante quadro, le voci a sostegno del SI possono essere così esemplificate:
- il PD, che apertamente, come detto, si schiera per il SI;
- ovviamente, il duo di proponenti, Antonio Segni e Giovanni Gazzetta («Andiamo tutti a votare per picconare il porcellum, la peggior legge elettorale della storia repubblicana», s’affannano a gridare);
- il presidente della Camera Gianfranco Fini, che di recente ha dichiarato: «Io vado a votare e lo faccio convintamente». E anche sul “come” esprimerà il proprio voto, è lecito nutrire pochissimi dubbi…
Capito quale fulgido esempio di lungimiranza politica ci offre l’attuale classe dirigente?
I dirigenti del PD si vergognino! Povera Italia, povera sinistra, poveri noi!
C’è davvero qualcuno (in qualsiasi parte del globo terracqueo, ovviamente… vale anche uscire dai confini. Unico requisito richiesto è la sanità mentale.) che in buona fede sia convinto del fatto che, votando “SI” ai due quesiti sul premio di maggioranza alla Camera ed al Senato (i primi due, per intenderci), si otterrà il risultato di far modificare in melius l’attuale porcellum?
E le preferenze? In tutte le (poche) proposte che di recente sono state avanzate, casualmente (?) nessuno – neanche nel PD – ne ha parlato. Eppure, quello è percepito dai più come il vero vulnus al principio democratico della libertà nell’espressione del voto, ma tant’è… è la siderale distanza tra il mondo dei Partiti (… di plastica, quelli di oggi), e noi cittadini, a rendere complesso un concetto che, in se e per se considerato, è davvero molto semplice.
In conclusione, condivido pienamente l’idea di andare a votare per il solo terzo quesito – ovviamente votando SI – e di non ritirare le altre schede (magari avendo cura di farlo mettere a verbale dal Presidente), anche se, per quanto mi riguarda, farò diversamente: per la prima volta in vita mia, a votare non ci andrò proprio.
Me ne andrò, invece, al mare in attesa di tempi migliori, e la mia coscienza – almeno questa volta – sarà in pace per la raggiunta consapevolezza di non aver preso parte attiva allo scempio dell’istituto referendario, con buona pace degl’illustri statisti che ancora compongono la classe dirigente e pretendono di rappresentarci.
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