Brigata Sassari: la poesia popolare fra esaltazione della balentia, dell’eroismo dei sardi e la subalternita’ al massacro imperialista

20 Agosto 2022
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Andrea Pubusa

Altri appunti sulla Brigata Sassari dopo quelli pubblicati il 18 scorso.

La Grande guerra non poteva mancare di esercitare un irresistibile richiamo per i poeti popolari. Nell’isola si e’ mantenuta la tradizione della Grecia antica dei pastori poeti. In effetti si poetava, nelle solitudini delle campagne e dei salti, nelle bettole e, naturalmente, nelle piazze alle feste religiose e alle sagre pagane. Le gare poetiche sono sempre state al centro delle piu’ importanti ricorrenze fino a pochi decenni fa e attraevano l’intera popolazione. Non si poteva ritenere ben riuscita una festa senza una gara poetica all’altezza. E non a caso anche i soldati le organizzavano nei loro momenti di pausa nella trasposizione sul teatro di guerra delle loro tradizioni. Celebre, per la grande partecipazione, quella tenutasi in Val di Piana nel 1917. Ma, detto incidentalmente, anche gli austriaci ci dettero qualcosa, “sa fuba”, ad esempio, il footboll, il calcio che al mio paese, Nuxis, fu portato da mio zio Giuseppe, classe ‘98, al rientro dalla guerra, gioco appreso nelle partiteĺe coi prigionieri austriaci, nei momenti di relax. Ed anche qui il pastore aveva dei numeri in piu’. Era veloce  resistente, l’andare veloce nei salti lo rendeva particolarmente adatto al dribling. Mio zio Giuseppe in bidda era un campioncino.

Ecco perche’ le composizioni poetiche sulla Grande guerra mettono in luce un andamento monotematico. Il valore dei soldati sardi (”pro gherrare son fattos apposta” - R. Calvisi) e uno sardo ne vale venti austroungarici (”o soldati d’Asburgo, bastan venti contro cento di voi” - S. Pola). Il riconoscimento di questa superiorita’ diventa generale e supera i confini nazìonali (”sa fama de sos sardos est essita/ ca in donzi giornale est iscritta” - R. Calvisi) perfino in “s’America e in Europa b’est s’istoria/ de sos sardos onore e gloria” (G. P Meridda), ammessa anche dal nemico che e’ terrorizzato dallo scontro coi diavoli isolani (”s’innestamos sa nostra bajonetta/ s’innimigu tremet pius che mai”), e se puo’, se la da’ a gambe. “Asburghesi, levate le calcagna!” (S. Pola).

C’e’ poi la lode dei poeti locali agli eroi della propria bidda, non in concorrenza con gli altri ma per metterne in luce le gesta spesso veramente eccezionali e l’eguale balentia.

E perche’ tutto questo? Po distruire sa canaglia, su tedescu imperu (R. Calvisi).

All’assalto si va in allegria,  anche se “de sessanta torreini vintisette” (S. G. Meridda). E gli austriaci? Sono “razza vile”, “zente de furca digna”, anche i  poveracci che sono in trincea come i sardi e si massacrano a vicenda senza una ragione diretta. E le mamme e le spose? Devono essere orgogliose per i loro cari “caduti mitragliati con l’arme in pugno, intorno al tricolore” (S. Pola). “Ogni bonu sordadu italianu devede istare fedele a su rei”. Cieca ubbidienza ai Savoia nonostante la permanente sottomissione e oppressione dei sardi. “Unidos cum coraggiu in custa gherra benzat redenda s’irredenda terra”.

Ma oltre questi slogan lanciati dai comandi e dalla imboscata borghesia urbana, che ne sanno i soldati sardi della guerra?  Per chi si combatteva e perche’? “Guardi, noi sardi, seppure sia vergogna dirlo, cosa vuole, tutti pastori e contadini, e qualche artigiano, non sapevano nulla”, dice candidamente Settimo Cauli fante del 152°, all’intervistatore.

Nella poesia la scissione dall’ideologia dominante, la conquista di una consapevolezza e soggettivita’ politico culturale dei combattenti non c’e', non compare, ma ci sara’ nella realta’; sara’ la guerra stessa ad insegnarlo, quando ci si accorgera’ che i prigionieri sono contadini, pastori e artigiani come i sardi, popolo mandato al macello come noi. E ce lo descrivera’ mirabilmente piu’ di tutti Emilio Lussu, uno degli artefici principali di quel movimento combattentistico sardista, che voleva cambiare radicalmente la Sardegna e   concorrere alla rivoluzione italiana. Il popolo sardo per la prima volta - dice il Capitano dei rossomori - compare come protagonista nella storia col movimento sardista e socialista.

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