Palomba: come abbiamo vinto la siccità in Sardegna. Un vademecum per il Nord oggi a secco

3 Agosto 2022
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Federico Palomba

Dall’ex presidente della Regione riceviamo e volentieri pubblichiamo.

 

(Diga Bau Pressiu - Nuxis)

 

Si parla con grande preoccupazione della siccità che ha colpito l’Italia, soprattutto al nord. Ma alcuni media, sopprattutto locali, tengono a mettere in evidenza che la Sardegna non presenta gli stessi problemi di siccità. Ciò discende dal fatto che la nostra Isola, nel tempo afflitta da quella millenaria piaga, quell’incubo lo ha già provato e superato. E non per una magia, ma per un un’opera dura e lungimirante, che può essere utile conoscere anche da chi oggi si cimenta col problema. Con l’intento principale di trasmettere una metodica posso portare la mia esperienza perchè si tratta di un campo nel quale mi sono direttamente trovato ad operare appena eletto presidente della regione nel 1994.
In quello e nell’anno successivo si era presentata la più grave siccità degli ultimi 70 anni. L’acqua veniva erogata per due ore al giorno per evitare le perdite nelle tubazioni. Le famiglie avevano realizzato dei piccoli serbatoi. Le colture annuali erano state sacrificate; la poca acqua disponibile era riservata a quelle pluriennali (alberi da frutto). Nel fondo degli invasi c’erano 20 centimetri di acqua mista a fango.
Lo segnalai al governo centrale che emise la dichiarazione di emergenza. Subito dopo venni nominato (era la prima volta in Italia) commissario governativo per l’emergenza idrica con tutti i poteri, anche di deroga ed assegnazione diretta dei lavori. Avevamo pensato a tutte le ipotesi: inseminazione delle nuvole con ioduro d’argento (ma bisognava che vi fossero nubi); divieto di pozzi privati; trasporto di acqua dalla Corsica, dissalazione, prelievo dell’acqua delle miniere dismesse (ma i tempi non coincidevano) fino al trasporto con navi della marina militare.
Con l’ottimo assessore dei lavori pubblici dell’epoca abbiamo subito messo mano al collaudo delle dighe, che era rimasto molto indietro. L’ufficio del commissario per l’emergenza programmò, ed in gran parte effettuò, lavori sulle infrastrutture acquedottistiche per quasi 500 miliardi, tutti con regolare gara d’appalto accelerata. Tra essi il grande impianto di depurazione di Is Arenas, che restituisce acqua per uso agricolo. Si cominciò a mettere mano alla riparazione dalle perdite, così come ai collegamenti tra invasi per evitare che l’acqua in esubero finisse in mare. Fu studiata una programmazione dell’uso su base pluriennale, e non più solo annuale. Fu così che le prime piogge poterono essere interamente recepite e conservate negli invasi; tanto che alla fine della legislatura e del mio incarico commissariale gli invasi poterono accogliere più di 300 milioni di metri cubi di acqua in più. Se consideriamo anche il collaudo della grande diga di Busachi (800 milioni di metri cubi d’acqua, la seconda in Europa) abbiamo che la Sardegna è una delle regioni più invasate d’Italia, con collaudi recenti delle dighe e invasabilità al massimo della capacità. E’ allora che furono poste solide basi per la sconfitta definitiva della millenaria piaga di cui parliamo, conquistata grazie anche al proseguimento dell’esperienza commissariale e alle rilevanti professionalità in materia presenti nella regione sarda.
Al 31 di maggio, a fronte di una capacità invasabile di circa 1900 milioni di metri cubi d’acqua, il  nostro sistema idrografico ne conteneva circa 1400, più del 70%. Una buona scorta, certamente. Ma il riflesso condizionato della terribile esperienza descritta mi induce a formulare un invito alla prudenza: é quando c’è l’acqua che la si deve risparmiare, perché quando non ce n’è più sopraggiungono i problemi e le sofferenze.
Gli aspetti sono tanti. Il primo riguarda i consumi pro capite: i sardi consumano per gli usi domestici più acqua dei cittadini italiani, ed ancor più europei; ciò significa che possono risparmiarne. Occorre, quindi, una vigorosa campagna educativa al rispetto dell’acqua ed una politica tariffaria che garantisca un quantitativo fisso minimo a prezzo politico e renda più costoso il di più. La stessa politica va adottata nei confronti dell’irrigazione in agricoltura, ove devono essere vietate o scoraggiate le forme più dispersive ed arcaiche in favore di quelle più selettive (anche con impianti sotto terra).
Va poi posta mano subito all’eliminazione delle perdite delle infrastrutture acquedottistiche. Un recentissimo studio della CNA rilancia l’allarme sulla grave situazione lungo i 13.450 km della rete  acquedottistica sarda che perdono lungo il percorso più del 50% delle risorse immesse dagli invasi, con una punta del 63% a Sassari. Vetustà e corrosione ne sono i principali responsabili. Lo studio citato utilizza dati ISTAT elaborati in occasione della giornata mondiale dell’acqua celebrata qualche mese fa. Lo studio stima che ricostruire a nuovo la rete acquedottistica  costerebbe circa 2,7 miliardi di euro. Ma la sola manutenzione così come è condotta attualmente non è più sufficiente. Si consideri che a livello nazionale, dove la situazione media è meno compromessa, agli attuali ritmi di sostituzione della rete con più di 50 anni si stima che si arriverebbe ad una situazione di rinnovo complessivo in 52/55 anni.
Anche su questo aspetto ci vuole lungimiranza: se una rete perde il 50% si deduce che per erogare la stessa quantità che arriva alla destinazione finale ci vorrebbe il doppio degli invasi: ma ciò non è possibile. E’ ncessario, quindi, lavorare sull’eliminazione delle perdite anche usando ove possibile tecnologie moderne e poco invasive, quali quelle che, attraverso sonde fatte penetrare nelle tubature, consentono di individuare i punti deteriorati e di incamiciare dall’interno la tubatura con adeguate sostanze poste a disposizione dalla tecnologia. In ogni caso, questo è il fronte più delicato da affrontare immediatamente. Di questo ho parlato con le autorità regionali, tra cui il compianto assessore Frongia; penso che ora l’autorità politica dovrebbe imporre agli enti gestori di fare  preziosi investimenti sulla rete di tubatura che consentano di conservare l’acqua faticosamente invasata; magari differenziando ente gestore dell’acqua e struttura tecnica che fa installazione e manutenzione. E poi c’è da recuperare ancor più i reflui per destinarli all’agricoltura.
Insomma: l’acqua è uno dei beni più preziosi: i sardi, che dopo tante privazioni hanno conquistato l’autonomia idrica, dimostrino ora di conoscerne il valore e di saperla conservare e rispettare. E le  conquiste fatte dalla Sardegna più di venti anni or sono possono essere utilizzate per affrontare il problema a livello nazionale, ove la politica degli invasi e l’eliminazione delle dispersioni costituiscono certamente elementi principali di intervento, insieme ai dolorosi ma necessari razionamenti.

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