Il principio d’insularita’ impone un grande impegno, come fu per la Rinascita

2 Agosto 2022
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Andrea Pubusa

 

La reintroduzione del  principio di insularita’ in Costituzione pone compiti complessi di attuazione. I principi dettano un indirizzo, ma i risultati conseguono all’adozione di misure concrete che modificano la realta’. Lo compresero le forze della sinustra dopo l’entrata in vigore della Costituzione e dello Statuto sardo, che vollero usare i nuovi strumenti istituzionali per rinnovare la Sardegna. Un parlamento democraticamente eletto, un’assembkea regionale in rappresentanza del popolo sardo, un esecutivo per governare i processi di sviluppo, una serie di potesta’ legislative in materia economica apparivano elementi idonei a consentire l’impresa di togliere dalla Sardegna l’atavico ritardo che la rendeva - secondo Lussu - la regione piu’ arretrata d’Europa. C’era poi nello Statuto un articolo particolare, il 13, che impegnava lo stato in questa opera di trasformazione, rendendo quella sarda “questione nazionale”.
L’occasione era storica e andava colta. L’impegno fu massimo e capillare. Furono indetti convegni zonali di tutte le cstegorie produttive. Fu mobilitata la migliore intellettualita’ progressista, i consigli comunali e i sindaci. Il risultato fu, nel maggio 1950, il Congresso del popolo sardo, che pose le basi per il Movimento della Rinascita.
Renzo Laconi nella sua piana relazione introduttiva da’ atto di tutto questo fin dall’impostazione. Un’azione per lo sviluppo non un programma  ideologico con nascosti intenti  politici. Erano tempi di grandi scontri politici, ma qui si voleva creare un ampio fronte unitario, al di la’ delle opzìoni ideologiche. Cio che interessava era la Sardegna, la sua rinascita.
I punti su cui far leva sono l’industria,  l’agricoltura e la pastorizia. Cio’ che prima era stato contrapposto viene unito, secondo la visione di Gramsci e Lussu, del movimento combattentico sardista e comunista.
L’agricoltura, la riforma agraria poneva il problema della terra e dell’acqua. Distribuire la terra significava limitare le grandi proprieta’ assenteiste, che vivevano di rendita senza produrre e reinvestire. Un intervento di redistribuzione poteva anche indurre i vecchi proprietari assenteisti, seppure con proprieta’ meno estese, a misurarsi con la produzione moderna. Per i pastori occorreva sfatare il luogo comune della loro immobilità senza speranza. In realtà anche qui, oltre che il problem dei pascoli, occorreva creare un comparto capace di utilizzare le tecniche moderne di allevamento.
L’acqua chiamava in causa la SES che monopolizzava i bacini a fini idroelettrici, sottraendo l’acqua  all’agricoltura. Bisognava incrementare i bacini ma limitare il monopolio privato della SES - Soc. Elettrica Sarda. La soluzione fu trovata nel Piano Levi che rilanciava il carbone Sulcis per la produzione di energia  tramite una centrale termoelettrica.
La struttura portante della  Rinascita era cosi’ individuata nel contesro di interventi che dovevano toccare a fondo i trasporti, la pubblca amministrazione. Centrale diveniva l’intervento finanziario dello Stato anche se si auspica l’impegno dell’imprenditoria privata mossa dal richiamo non solo del profitto ma dell’utilita’ sociale come previsto dall’art. 41 Cost.
Una relazione, quella di Laconi, aperta al contributo di altre forze sociali e politiche, nel convincimento  che solo un grande movimento unitario puo’ assolvere efficacemente al compito di far uscire l’isola dalla storica arretratezza.
Certo, ora i tempi son mutati, ma rimane l’esigenza di un grande movimento che investa tutti i settori. Se no, l’insularita’ rimarra’  un bel principio senza gambe.

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