Carbonia. I 72 giorni della non collaborazione. Via le autoblindo e la forza pubblica in armi dalla città, mentre si apre il processo contro Giardina e altri 50 operai. In una lettera a L’Unità le scuse dei poliziotti di stanza a Carbonia durante la lotta: “Cercavamo di provocare i minatori e di impaurire la popolazione inerme”

10 Luglio 2022
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Gianna Lai

Di domenica,: dal 1.9.2019, pubblichiamo un post sulla storia di Carbonia.

 

Sono le riflessioni del dirigente sindacale Moretti, su L’Unità del 28 dicembre, a ridefinire il contesto della miniera sulcitana dentro una “grave crisi di mercato che dipende dalla concorrenza americana, fortemente agevolata dall’indirizzo generale politico-economico del governo italiano. Crisi legata alle croniche deficienze tecniche ed organizzative del settore”, pur auspicando Moretti, “un radicale cambiamento di politica economica”. Che tuttavia resta ben lontano anche dall’orizzonte degli addetti ai lavori, dice L’Unità, se persino “il recente Congresso minerario, massimo consesso minerario italiano, ad Iglesias, ha glissato su questi fatti: unico intervento interessante, quello di Mario Levi”, fermo nella proposta di trasformazione del carbone Sulcis. “Mentre son stati lasciati fuori i minatori” e la voce dei loro rappresentanti e le proposte del sindacato, su un possibile futuro del bacino. A sottolineare l’importanza di quell’assise, il prefetto di Cagliari nella sua relazione del 28 novembre, per la partecipazione dei più qualificati esperti a livello generale, “Secondo Congresso nazionale minerario, con afflusso di tecnici e scienziati, tenutosi tra Cagliari e Iglesias nei giorni scorsi”. E poi L’Unione Sarda, “Preludio al Congresso Minerario Mondiale, il Secondo Congresso Minerario italiano inaugurato nell’Aula Magna dell’Università di Cagliari, alla presenza dell’Alto Commissario e del Sottosegretario all’industria Cavalli”, nella cui relazione, i programmi futuri sulla base delle assegnazioni dei fondi ERP; nell’intervento dell’ing. Rollandi, l’industria sarda e l’industrializzazione del Mezzogiorno.

Il primo ad esprimere invece soddisfazione, per l’andamento della ripresa produttiva, è l’Ufficio Provinciale dell’Industria e del Commercio, a dicembre, ” Salita vertiginosamente la produzione nel Sulcis, dopo la fine della lunga agitazione, fino a raggiungere le quote del periodo precedente”. L’aumento della produzione già subito visibile, per L’Unità del 23 dicembre 1948, fino al “30% in più: ….. contro le normali 2300 berline, oggi ne son state estratte 3000″, mentre la produzione complessiva per il 1948 si attesterà, alla fine dell’anno, sulle 861 mila tonnellate di carbone estratto, 12 mila i minatori occcupati. E poi il prefetto nella sua relazione del 30 dicembre, questa volta possibilista sulla ripresa, “Distensione nel bacino dopo le trattative fra SMCS e rappresentanti dei lavoratori. Una specie di armistizio in attesa di eventi”.
Ma l’esito più evidente della lotta, il significato più pregnante della mobilitazione di quei mesi, nel nuovo assetto della città finalmente liberata dall’oppressione poliziesca: almeno per un certo periodo di tempo, dai piazzali della miniera e dal centro di Carbonia scompaiono camionette e autoblindo e, in tenuta antisomossa, carabinieri, polizia e militari armati di mitra. L’assedio iniziato con i fatti del 14 luglio e poi, sempre più stringente, nel corso dei 72 giorni, accompagnato da minacce, interrogatori e fermi continui di operai. Ora si chiede l’allontanamento del commissario Pirrone, scelto apposta da Scelba ministro dell’Interno, a duro avvertimento per minatori e forze che li rappresentano in città: se la miniera deve chiudere, non si tollerino lungaggini e compromessi, spezzare subito il movimento che rischia di propagarsi all’intera Sardegna. E attaccarne i dirigenti, sindaco in Municipio e responsabili di partito nelle loro sedi, sono queste le pagine tra le più buie della nostra storia nazionale, tutti quei Pirrone che hanno caratterizzato la continuità col passato, allo stesso modo nel resto dell’Italia, attraverso l’uso delle leggi fasciste e del Codice Rocco e attraverso la politica di De Gasperi subito dopo l’avvio della Guerra fredda. E se al disimpegno del governo si debbono aggiungere i segnali gravi della pertinace, ideologica opposizione di Confindustria e Associazione Mineraria Italiana ad ogni possibile accordo col sindacato operaio, a Carbonia si cerca tuttavia di ricostruire fiducia e partecipazione, pur di fronte ai nuovi, difficili impegni immediati: pronti i doni natalizi, presso la Camera del Lavoro cittadina, destinati alle famiglie dei carcerati, ora che nuovi detenuti, quelli arrestati a seguito dei fatti del 14 luglio, si sono aggiunti ai compagni già in prigione per lo sciopero del gennaio 1947, tra poco in fase di giudizio presso il tribunale di Oristano. “Avviato il processo contro 56 lavoratori”, Marco Giardina e altri 10 dirigenti sindacali detenuti a Buoncammino da oltre 15 mesi, tra i difensori Umberto Terracini e Giuseppe Sotgiu”, leggiamo su L’Unità del 28 dicembre. “Il mandato di cattura, dopo 9 mesi di istruttoria, per Giardina e altri 10, e il rinvio a giudizio per i rimanenti 45 lavoratori”. Contro gli accusati, “particolarmente intransigente Stefano Chieffi, amministratore delegato nel gennaio 1947”: le intenzioni dell’azienda, secondo L’Unità, “far fuori i dirigenti sindacali proprio alla vigilia delle elezioni della nuova Camera del Lavoro di Carbonia”.

E se in città si continua a pagare per la solidarietà espressa nei giorni della lotta, licenziato il direttore della PTB Benvenuti, avendo anche concesso credito agli operai durante l’agitazione, con lo sciopero rispondono i dipendenti del grande magazzino, riuniti presso la sede del sindacato cittadina, come la lotta della miniera infondesse nuovo coraggio a tutti i lavoratori, compresi quelli degli altri settori. In risposta ancora la serrata del negozio fino al 30 del mese, a immagine e somiglianza della stessa SMCS che, quanto a comportamento antisindacale, continua a dettare legge su tutta la città. Dove non c’è tregua neppure a Natale, annunciando la Carbosarda che stipendi e salari saranno pagati solo a Capodanno, e neppure completi, verificheranno gli operai, mancando in busta paga cira 15 mila lire sulle trattenute effettuate durante l’agitazione e sulla gratifica natalizia. Né son stati ancora richiamati ai cantieri gli operai della bonifica, come annuncia con preoccupazione L’Unità del 28 dicembre 1948, mentre il fronte di lotta si mantiene aperto sulla riduzione della settimana lavorativa, e sulla raccolta di firme per la proroga dei fitti, a favore del progetto di legge CGIL- Associazione Inquilini e Senza tetto, per contrastare l’entrata in vigore, il 1 gennaio, dell’aumento dei fitti già approvato dal governo. Quel che risulta certo in città, già pronti 5.000 licenziamenti per i mesi a venire.

A chiudere il 1948, la lettera di un gruppo di agenti di Pubblica Sicurezza sugli ultimi episodi di violenza in città, durante i 72 giorni, “Cercavamo di provocare i minatori e di impaurire la popolazione inerme”, inviata a L’Unità che la pubblica l’ultimo dell’anno, il 31 dicembre 1948: “Si parte da Cagliari alle 6,30 del 9 dicembre, siamo in 40 agenti di Pubblica Sicurezza, un ufficiale e un funzionario, metà dell’interforza della Celere di Cagliari. Pirrone ha sollecitato la nostra presenza. La nostra colonna entra nella cittadina all’impazzata, all’urlo delle sirene delle jeeps, con lo scopo di intimidire. Ci accasermiamo presso il Centro assistenza lavoratori, -per ristabilire l’ordine seriamente minaccaiato-. Ma gli unici a creare disordine eravamo noi con le nostre sirene, con le nostre corse sfreanate attraverso la città, col continuo spiegamento di forze. E nei pozzi e nelle discenderie e nelle strade e nei pochi negozi da noi frequentati, venendo a contatto con i tanto calunniati minatori, con coloro cioè che -sobillati da agitatori comunisti, dovevano crepare di fame per il prestigio di Spano-….. Eravamo a Carbonia non per tutelare l’ordine pubblico ma per spalleggiare le decisioni della Carbosarda. Pirrone era a disposizione del trio Spinoglio, Cosentino, Busonera. La stessa direzione forniva gratuitamente il carburante per i nostri automezzi, 100 litri giornalieri circa tra nafta e benzina. Provvedeva a coperte, alloggio e, in parte, a vitto per tutti noi. Il padrone manteneva le truppe: eravamo stati dati in prestito all’ingegner Spinoglio. Si volevano ottenere le seguenti cose, primo, annullare la forza della Camera del Lavoro e delle Commissioni interne e licenziare gli esponenti per fare ‘tabula rasa’ dei minatori più attivi; secondo, creare disordine e aizzare i minatori a compiere atti illegali, sequestro di sorveglianti, minacce e percosse ai possibili crumiri. In vista di ciò Carbonia si è popolata di agenti e di carabinieri. Celere da Cagliari e da Sassari e da Roma, autoblindo carabinieri da Iglesias e da Cagliari, la sera del 15 dicembre raggiungemmo Bacu Abis con l’ordine di attraversare il paese spiegando continuamente le sirene. Il tenente Arru, fiero della gloriosa e audace impresa che si era in procinto di compiere, aveva più volte manifestato l’idea di lanciare bombe a mano a scopo intimidatorio. Ma si dovette poi rientrare a Carbonia, dopo un imponente schieramento di forze davanti a Pozzo Nuovo, senza aver potuto far valere l’autorità. Il 15 ci hanno rispedito a Cagliari. Amici minatori, noi che vi abbiamo guardato dal campo nemico, noi che abbiamo cercato un punto qualsiasi per fare breccia e scompigliare le vostre forze, sinceramente vi diciamo che avete vinto. Avete vinto la SMCS e noi della polizia con la legalità della vostra agitazione”. A firma di “Un gruppo di agenti di Pubblica Sicurezza della Sardegna”, su L’Unità del 31 dicembre 1948.

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