Assange: complesso caso giuridico, ma chiara la prevalenza della libertà di stampa

8 Luglio 2022
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Andrea Pubusa

Sul caso Assange c’è un po’ di confusione anche se alla fine mettendo a posto i fatti, sotto il profilo giuridico, le posizioni di chi chiede la libertà sono quelle giuste, anzi sacrosante.
In ogni ordinamento esistono norme penali a tutela del segreto di stato. Nel nostro codice penale l’art. 261 punisce con la reclusione fino a 5 anni chiunque rivela taluna delle notizie di carattere segreto concernenti la sicurezza dello Stato. E anche negli ordinament democratici la libertà di stampa incontra il limite del codice penale. L’art. 21 della nostra Costituzione ammette  il sequestro della stampa, ma  soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria “nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili” (non è ammessa la stampa clandestina). Nel caso di delitti, dunque, la libertà di stampa incontra limitazioni, fino al sequestro anche ad opera della polizia giudiziaria. Ma c’è la garanzia giurisdizionale. E’ il giudice che dispone o preventivamente o sindacando gli atti immediati della polizia giudiziaria. La terzietà del giudice è la garnazia. E’ i giudice che deve stabilire se c’è violazione e se essa va sanzionata. E il giudice decide con un giusto procedimento, anzitutto nel rispetto del contraddittorio, principio anch’esso costituzionalizzato col diritto di difesa in ogni stato e grado del giudizio.
Ora, è evidente che anche l’Italia potrebbe chiedere l’estradizione per giudicare giornalisti che abbiano violato il segreto di stato. Tuttavia sarà non l’autorità politica, ma il giudice a decidere nei modi indicati.
Anche in USA grosso modo è così. Quindi non deve stupire la richiesta di estradizione. Ciò che turba e crea un’opposizione di massa è il contesto. Anzitutto viene in risalto la c.d. “legitima suspicione“, ossia il legittimo sospetto circa la libertà di determinazione di coloro che giudicano nel processo; questo solo sospetto consente una attribuzione di competenza ad un giudice diverso da quello territorialmente competente, secondo le regole ordinarie: si tratta di una deroga al principio del giudice naturale dettata dalla necessità di garantire il regolare svolgimento del processo. I motivi riguardano l’ambiente dove il processo deve svolgersi: una estesa opposizione all’imputato, una campagna di stampa contro di lui che manifesti un clima ostile etc. giustifica lo spostamento del processo in altra sede, dove il contesto sia più sereno.
Ora nel caso di Assange questo clima diffusamente ostile si è creato negli USA, egli è stato additato come traditore degli Stati uniti anzitutto dai governanti e da gran parte dei media. E non è possibile in quel paese avere luoghi o sedi giudiziarie che siano immuni da questa rappresentazione fortemente negativa. La convinzione diffusa è che Assange debba avere una dura lezione, che serva da esempio per il futuro.
Le corti inglesi su questo aspetto non si sono pronunciate. Hanno piuttosto incentrato l’attenzione sul sistema penitenziario americano, ritenendolo inadeguato ad assicurare ad Assange, un trattamento tale da consentirgli di attendere serenamente il processo. E’ stata messa in luce la fragilità psicologica di Assange, che ne ha rivelato istinti suicidi. In primo grado il tribunale inglese ha respinto la estradizione per queste ragioni. E la Corte d’appello ha ribaltato il giudizio, a seguito di formali assicurazioni statunitensi sul buon trattamento dell’imputato una volta estradato. Nessuno dei due ha invece fatto riferimento al clima incandescente di ostilità intorno ad Assange creatosi negli States perfino ad opera dei suoi presidenti. Qui la legitima suspicione calza a pennello, nessuna corte americana può giudicare senza l’influsso di questo accanimento verso il giornalista. L’ambiente non consente un giudizio sereno, giusto e imparziale. La moglie di Assange ha rivelato anche del fondato sospetto che i servizi segreti a stelle e strisce volessero far fuori il marito.
Quindi, non potendo trovare in USA un giudice che agisca in tutta serenità, l’unico modo per tutelare Assange è negare l’estradizione.
Poi c’è il merito della vicenda, che pone anch’esso delicati problemi. Il giornalista, se ha una notizia di pubblico interesse, deve darla. Questa è la regola deontologica dei giornalisti, questa è la garanzia della libertà del giornalismo, sancita nelle Carte. I giornalisti non devono fermarsi neppure di fronte al codice penale. Ma è il giudice che deve decidere quale posizione prevale nel caso concreto: la libertà di informzione o il codice penale, che tutela anch’esso interessi generali. E qui il giudice può sindacare anche la meritevolezza di segretezza delle notizie divulgate. Merita tutela nascondere efferati delitti di uomini dell’apparato? Merita tutela il segreto su veri e propri delitti di stato? Su torture e stragi di stato? Pare proprio di no. Qui non c’entra la sicurezza dello Stato, anzi è vero proprio il contrario: gli ammazzamenti, le torture, le decisioni criminali che hanno provocato morti e grande malessere devono essere denunciate e divulgate non solo perché si faccia giustizia, ma perché vanno nella direzione di salvaguardare ed affermare quei valori di civiltà che negli stati di diritto si sono affermati. Sono quei fatti a costituire reato, non la loro divugazione, che serve a punirli o a stigmatizzarli.
Assange, dunque, in un giudizio equo e sereno vedrebbe giustificata la sua condotta, essendo la sua attività divulgativa non in danno della sicurezza dello stato, ma a difesa del suo comportamento secondo diritto e rispetto delle persone.
Su questo il contesto USA non offre alcuna garanzia. Ecco perché la estradizione va negata e giustamente in questo caso, badando al merito delle notizie, si deve affermare che Assange ha compiuto pienamente il suo dovere, svelando fatti, essi sì, criminosi e meritevoli di dura punizione. Ad assange va data una medaglia non una pena!
Questo è un caso paradigmatico in cui è giustificata e da intensificare la campagna pro Assange e la difesa della libertà di giornalismo.

 

 

 

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