Gianluca Scroccu
Il primo dato che emerge dalle recenti consultazioni europee è che Berlusconi, nonostante le indicazioni dei suoi consiglieri, non gode di consensi plebiscitari come del resto era perfettamente dimostrato dai voti da lui ottenuti dal momento della sua discesa in campo nel 1994. Da allora l’attuale Presidente del Consiglio ha saputo vincere più volte rispetto al centrosinistra solo perché il suo potere di creare coalizioni è stato più incisivo: senza la Lega, però, non può andare da nessuna parte tanto che l’unico strumento che potrebbe garantirgli il 55% dei consensi in solitario sarebbe il nefasto referendum Segni-Guzzetta. Il PD, invece, esce dalle urne come un progetto che si sta ormai prosciugando sulle sue contraddizioni. Nato per dare concretezza ad un supposto valore aggiunto rispetto a DS e Margherita, il risultato delle europee appare lontanissimo dalle somme raggiunte normalmente dai due partiti divisi, anche nei momenti di sconfitta come in occasione delle politiche del 2001 quando raggiunsero il 31,1%. Insomma, una delle ragioni che portarono allo scioglimento di DS e Margherita è venuta meno dopo poco meno di due anni e si rischia di rivivere vicende già viste nella storia politica italiana, come nel caso specifico dell’unificazione socialista del 1966. Si potrebbe dire che di autosufficienza del PD oggi potrebbe parlare solo qualche dirigente politico privo di una robusta cultura economica o storica e ricco invece di quella derivante dal mondo del sogno e della finzione per eccellenza: il cinema (ogni riferimento a candidati premier già segretari sonoramente sconfitti in più occasioni ma pronti la mattina del 9 giugno a dettare roboanti dichiarazioni alle agenzie di stampa del tipo “la Serracchiani l’ho sostenuta io” è puramente casuale). I risultati di PD e PDl evidenziano del resto come il bipartitismo coatto che si voleva imporre non ha futuro perché nessuno dei due è in grado di vincere senza alleati, per quanto quelli del centrosinistra siano divisi, frammentati e incapaci di leggere e capire realmente le dinamiche della società. È per questo, soprattutto per il centrosinistra, che sarebbe necessario riflettere sugli errori fatti quando si sono accettate le visioni politiche dell’inquilino di Palazzo Chigi sul bipartitismo, il voto utile o la semplificazione per raggiungere una fantomatica governabilità. Ciò renderebbe necessario, ad esempio, una riflessione aggiuntiva più organica sulla gestione democratica dei mezzi di informazione, che durante la campagna elettorale ha dimostrato tutte le sue gravi carenze. Naturalmente non bisogna essere così provinciali dal non vedere come la crisi dei progressisti non sia solo italiana, ma di tutta il Vecchio Continente, per quanto non si capisce perché i commentatori italiani abbiano insistito solo sulla presunta debacle, tutta da dimostrare, di Zapatero. Un’Europa che ha palesato le sue insufficienze nell’incapacità di affiancare alla costruzione comune sul piano economico una altrettanto radicata sul piano politico, e che di fronte alla crisi economica mondiale vede riaffiorare, nell’affermazione di forze euroscettiche a partire da partiti xenofobi e di destra pura, alcune delle pulsioni realmente pericolose il cui rifiuto era stato proprio all’origine del movimento di unificazione. Le forze progressiste, e socialdemocratiche, hanno pagato quella che, in un suo straordinario volumetto appena edito da Il Mulino, lo storico Giuseppe Berta ha definito “eclisse della socialdemocrazia”, lampante nelle questioni di politica economica. Ad iniziare da quel New Labour che oggi sembrerebbe scaricare le colpe solo su Gordon Brown, ma che invece dovrebbe rivedere e discutere criticamente le scelte del suo leader Tony Blair. Non a caso Anthony Giddens, che negli anni Novanta cantava le prospettive di rinnovamento radicale della socialdemocrazia in salsa blairiana, oggi di fronte alla crisi globale ammette che sì, ci fu “dipendenza e piaggeria nei confronti della City” e che un aumento delle aliquote per i redditi non sarebbe una cosa da rifiutare come negli anni precedenti. È evidente che ci troviamo in un momento di passaggio fondamentale destinato a cancellare le visioni del decennio precedente, a partire dal cambiamento prodotto in America con l’elezione di Obama, che rende simmetricamente obsolete, e patetiche, formule astruse come “l’unione dei comunisti”, guidata peraltro da sbiaditi burocrati che oramai non hanno più niente da dire. Insomma centomila volte meglio leggere un articolo o ascoltare Joseph Stiglitz, Paul Krugman o Vandana Shiva per non dire del sempre attuale Keynes che sentire le dichiarazioni al telegiornale di un Rizzo, un Diliberto o un Ferrando che chiede l’uscita dalla Nato appagando così la voglia di apparire dieci secondi al Tg1.
Libertà e giustizia sociale fortemente redistributrice devono essere le guida di un nuovo socialismo, ispirato veramente ai criteri dell’inclusione e della partecipazione in modo da fermare definitivamente tutte le retoriche di chi credeva che dando briglia sciolta agli operatori economici tutti potessero tranne benefici a cascata. Occorre ripristinare una cultura delle regole, ecco l’imperativo. Assegnando, finalmente, una centralità assoluta alla questione ambientale e alla piena affermazione dei diritti sociali del cittadino così ben delineati nella prima parte della nostra Costituzione, senza le quali la nostra Europa rischia di ricadere nei pericolosi vortici di tragedie da cui, ingenuamente, si riteneva immune.
1 commento
1 Sergio Ravaioli
18 Giugno 2009 - 16:49
D’acccordo che l’imperativo sarebbe quello di ripristinare la cultura delle regole, la quale non è prerogativa né della destra né della sinistra, ma presuppone serietà che in Italia non vedo né a destra né a sinistra.
Programma troppo ambizioso, direbbe De Gaulle.
Spero invece che alla “dipendenza e piaggeria nei confronti della City” (giudizio da incorniciare!) si sostituisca la “dipendenza e piaggeria nei confronti di Obama”.
Di più non oso sperare.
In fin dei conti in due secoli la sinistra non ha saputo proporre che due paradigmi economici - sociali. Nell’ 800 quello di Marx - Engels e nel ‘900 quello di Keynes. Il primo ha prodotto i disastri che sappiamo, del secondo la sinistra quasi non se ne è accorta e lo ha, in sostanza, “regalato” alla destra. Adornandosi di “patacche” quali Blair o Veltroni.
Non mi sorprenderei troppo (ma mi incazzerei molto) nel vedere la destra italiana impadronirsi della politica di Obama (Tremonti ci sta provando!).
E la sinistra continuare a gingillarsi con i vari Turigliatto da una parte e Binetti dall’altra!
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