Carbonia. I 72 giorni della “non collaborazione”. Dopo un mese e mezzo di lotte, l’incontro a Roma col Sottosegretario La Pira. Capisquadra, sorveglianti e la città intera dalla parte degli operai, Di Vittorio consegna a Velio Spano un milione di lire raccolto tra i lavoratori della penisola

12 Giugno 2022
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Gianna Lai

 

Per discutere del Sulcis e, su richiesta di Giuseppe Di Vittorio, il Sottosegretario La Pira incontra il 19 novembre a Roma i sindacati, presenti Bitossi, Segretario generale CGIL, Lama vice Segretario, Velio Spano, Segretario della Camera del lavoro di Carbonia, Manera Segretario Filie. I quali fanno “le seguenti richieste: pagamento integrale dei salari, sulla base dei minimi contrattuali, per il lavoro in economia; annullamento dei provvedimenti disciplinari, dalle multe alle sospensioni ai licenziamenti; sospensione degli arbitrari aumenti di luce, carbone e fitti; recupero della tredicesima; fissazione dell’inizio delle trattative. Su questi punti gli operai sono disposti a riprendere il lavoro a cottimo ma, nonostante la pressione di La Pira, i dirigenti SMCS hanno respinto le proposte, dichiarandosi favorevoli, al massimo, a concedere la corresponsione dell’80% dei salari ad economia e ad un eventuale riesame delle punizioni inflitte”. E’ quanto si legge su L’Unità del 21 novembre 1948, la prof. Di Felice a ribadirlo: nulla di fatto dopo “gli incontri tra i rappresentanti dell’azienda e delle commissioni interne che si tennero ai primi di dicembre, …. la prima puntava a dissuadere i minatori dal proseguire nella lotta con altri licenziamenti, con la riduzione dei salari e delle giornate di lavoro. Neppure gli incontri svoltisi presso il ministero del Lavoro tra i rappresentanti della SMCS e i rappresentanti dei lavoratori sarebbero stati risolutivi”. E mentre la mobilitazione diviene generale, nel quadro delle nuove richieste sindacali di aumenti salariali per i minatori della provincia, cui le aziende rispondono col solito silenzio, si va sempre più allargando il fronte della solidarietà cittadina, fino a comprendere i maestri elementari, che convocano un’assemblea per definire i modi dell’adesione alla lotta. E poi gli impiegati, i professionisti e i commercianti, che già garantiscono il credito alle famiglie degli operai e che, in un loro ordine del giorno rivolto alle autorità, chiedono la risoluzione nel più breve tempo possibile della vertenza. E poi i dipendenti del grande magazzino PTB, compreso il direttore Benvenuti, immediatamente licenziato dopo questo importante segno di solidarietà cui risponde, altrettanto immediato, un nuovo sciopero dei 30 dipendenti. A livello territoriale e nazionale, camion “carichi di lavoratori” partono tutte le settimane verso i centri agricoli a richiedere la solidarietà dei contadini, “molte decine di migliaia di lire raccolte fino a questo momento e decine di quintali di viveri, nonostante la miseria che accomuna ai minatori queste popolazioni”, cui si deve aggiungere “la mezza giornata di lavoro sottoscritta all’Ospedale civile da medici e dipendenti”. Ma determinanti nel garantire grandi aiuti, già fin dall’inizio della lotta, ancora le Cooperative del Nord: la sopravvivenza di queste migliaia di lavoratori, ormai senza salario, grazie ai “forti quantitativi di viveri” inviati direttamente presso la Camera del lavoro cittadina, come scrive L’Unità del 23 novembre. Mentre la CGIL nazionale offre il primo milione di lire, consegnato da Di Vittorio al Segretario della Camera del Lavoro Velio Spano, ancora sostegni annunciati per le settimane immediatamente successive, come leggiamo su L’Unità a novembre e a dicembre.

E diviene in miniera più concreta la solidarietà e la partecipazione alla lotta dei sorveglianti e dei capisquadra, per questo minacciati di provvedimenti punitivi dalla SMCS, e che si preparano ad “uno sciopero di 24 ore qualora la direzione confermasse domani [29 novembre n. d. a.], giorno di paga, le trattenute sul salario”. E, riuniti a loro volta in assemblea, essi esprimono solidarietà agli operai, dichiarando “che continueranno l’agitazione a fianco dei minatori e non accetteranno provocazioni da parte della direzione che minaccia di portare la settimana lavorativa a tre giornate”. E intanto, non compilando i “ruolini dei cottimi”, impediscono che altre rappresaglie si compiano contro i lavoratori, come si legge su L’Unità di quei giorni. L’intervento a livello ministeriale e la pressione popolare così ampia e organizzata, induce ora l’azienda a convocare le rappresentanze di fabbrica, pur mantenendosi rigida la linea già adottata: incontri delle Commissioni interne con gli ingegneri Spinoglio, Taddei e Fioretti che propongono, a nome della SMCS, il pagamento dei salari al 92%, la revisione delle punizioni, tranne quelle dovute a motivi disciplinari, l’integrazione dell’aumento del prezzo del carbone con la concessione agli operai di lavorare la domenica, lo stanziamento di 50 milioni di lire per l’apertura di spacci aziendali, corsi di qualificazione per il personale. Proposte dichiarate inaccettabili dai lavoratori, che sostengono le richieste sindacali definite nell’incontro col sottosegretario La Pira, e che vogliono mantenere forte la protesta, “a costo di mangiar erba per altri 63 giorni”, mentre continuano a spargersi in giro voci, denuncia ancora L’Unità, su premi “promessi dalla Montecatini al direttore SMCS qualora l’azienda venisse definitivamente smobilitata”.
Così a Carbonia, a detta dell’Unità, gli unici dalla parte dell’azienda restano i cattolici e i fascisti, “Parroco e caporioni del MSI invitano gli operai a desistere”, mentre l’azienda costruisce, “in combutta con gruppi fascisti e cattolici, elenchi fasulli di minatori che intendono riprendere a lavorare a cottimo”, e liste di crumiri “nelle sedi dei partiti che appoggiano la SMCS”. E poi, a dire il vero, è dalla parte della Carbosarda, in città, anche il “microfono di Dio”, il gesuita padre Lombardi: “dopo averlo ascoltato per mezz’ora la gente ha cominciato a sfollare sì che è rimasto solo con gli scelbini”, su L’Unità del 3 dicembre 1948. Ma a Cagliari, dalla parte della SMCS ci sono il prefetto, che dedica la sua relazione del 29 novembre 1948 esclusivamente al Sulcis, e il questore, che riferisce di 300 operai di Pozzo Nuovo a Bacu Abis, in sciopero contro le decurtazioni salariali”, e di “migliaia di lavoratori del Sulcis che chiedono la definitiva sistemazione”. Ricorda il prefetto gli “aumenti dei prezzi delle locazioni, dell’energia elettrica, del carbone da parte della SMCS”, e parla di “presunte diminuzioni apportate alle tabelle cottimo, per applicare il sistema della non collaborazione, da parte delle organizzazioni sindacali”. E ancora di “atteggiamento inconsulto per la esiguità degli aumenti suddetti, già concordati con il Consiglio di gestione, nel quadro di un risanamento economico dell’azienda, inteso a portare i costi di produzione su una giusta base di rapporti col prezzo di vendita del carbone estero importato. Diminuzione del rendimento nei cantieri, conseguente elevazione dei costi”: così son “diminuiti i salari, in proporzione al rendimento”. Ma si apre una nuova prospettiva, sempre a detta del prefetto, se è stato “inutile l’intervento dell’Alto Commissario, sembra vada trovando consenso tra i minatori l’opera dei liberi sindacati del bacino del Sulcis Iglesiente”, probabilmente in riferimento alle notizie di cui sopra, la presenza di cattolici, cioé, che preparano “liste fasulle” di operai decisi a riprendere il lavoro a cottimo. Sicché a dicembre deve ammettere, il prefetto, “dal 7 al 17 dicembre i minatori Sulcis si astengono dal lavoro a cottimo, sempre sostenuti dalla Camera del Lavoro”, ed il questore a ribadire, “lo sciopero, un atteggiamento voluto solo dagli organi sindacali per mera speculazione politica”.

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