Pietro Maurandi - Coordinatore regionale di Sinistra Democratica
L’aspetto più rilevante delle elezioni europee, il cui risultato rischia di essere falsato dalla bassa affluenza alle urne, mi sembra essere la sconfitta delle sinistre e del centrosinistra, a prescindere dalla collocazione al governo o all’opposizione.
Questo primo dato ci impone di riflettere sul perché la sinistra europea arretra davanti ad una crisi che dovrebbe esaltare i temi propri delle sinistre, quelli dell’uguaglianza e della giustizia sociale e della difesa dei diritti dei più deboli. Bisogna aggiornare molte analisi e chiedersi perché il centrodestra riceve più consensi e li riceve anche dalle classi popolari che dalla crisi sono più colpite.
La risposta non credo che sia da cercare nel rifiuto del modello europeo di welfare e di dialettica politica. Credo invece che i ceti popolari che si rivolgono alla destra siano convinti di trovare proprio lì forme efficaci di protezione dei loro interessi minacciati. La destra dà risposte rassicuranti alle preoccupazioni delle classi popolari, non dico efficaci ma rassicuranti, che vanno dalla negazione della crisi e dei suoi effetti, all’affermazione che comunque noi stiamo meglio degli altri, che la crisi sia ormai passata, che nessuno verrà lasciato solo ma tutti avranno garanzie di aiuto e di protezione; il tutto condito dall’idea che occorra un certo grado di protezionismo e il rifiuto dell’immigrazione per impedire che gli stranieri tolgano lavoro ai residenti. Tutto questo non porta a misure efficaci e sistematiche contro le minacce al lavoro e al reddito ma ha evidentemente una capacità di penetrazione profonda, fino a convincere molti che senza conflitti e senza lotte sociali, c’è qualcuno che lavora per salvare tutti. Sono le armi del populismo che proprio in queste situazioni si dispiegano nel modo più penetrante ed efficace.
Di fronte a questa situazione stanno le mancate risposte della sinistra che, in tutte le sue sfumature, è piuttosto attardata sulle ricette e sulle parole d’ordine del Novecento, stenta a confrontarsi con i nuovi processi che investono il mondo e che richiedono una forte capacità di aggiornare analisi, pratiche e modalità dell’agire politico.
E’ già accaduto nella storia d’Europa che crisi devastanti sfociassero in movimenti di destra e aprissero la strada a tendenze autoritarie e a feroci dittature. Se questo è vero, sarebbe sciocco pensare che il problema sia “passare la nottata” in attesa che sorgano spontaneamente situazioni più favorevoli; bisogna invece lavorare, durante la “nottata”, affinché l’alba porti risultati. E qui viene il discorso sul centrosinistra e sulla sinistra italiana.
Mentre il progetto del PD mostra la corda, perché non emerge il profilo politico di un partito strutturalmente diviso sulle questioni più rilevanti e in grado di esprimere una opposizione efficace, rigorosa e alternativa al centrodestra; per quanto riguarda le due liste di Sinistra, i risultati elettorali confermano l’esistenza di due progetti politici per ora non conciliabili: uno, di Rifondazione e dei Comunisti Italiani, che si propone l’unità dei comunisti, l’altro, di Sinistra e Libertà, che si propone di costruire il Partito della Sinistra.
Sbaglia chi pensa che bastasse mettersi tutti insieme per battere il famigerato 4%; la politica non si fa con l’aritmetica e la prova del cartello elettorale è stata già fatta con l’Arcobaleno, con risultati disastrosi. La realtà è che dietro la scelta di due liste diverse c’è una notevole diversità di analisi e di concezioni. Chi punta all’unità dei comunisti pensa che la crisi della sinistra derivi dalla rinuncia a concezioni, modalità e progetti consolidati, con tutto il corredo di simboli, parole d’ordine e bandiere che questo comporta. Chi punta a realizzare il Partito della Sinistra ha ben presente che si tratta di fondare una Sinistra nuova, che abbandoni con coraggio miti e suggestioni del Novecento e che sappia rimettere al centro il lavoro e costruire un linguaggio e una pratica politica capace di parlare agli uomini e alle donne di oggi. Per questo si cerca di mettere insieme forze provenienti da esperienze diverse e spesso contrastanti, di rimuovere le divisioni che le hanno lacerate, perché non si tratta di contemplare o di ricostruire il passato ma di progettare il futuro. Su questo terreno la discussione è stata intensa, ci sono stati scontri e divisioni nei congressi di RC e del PDCI; un discorso analogo va fatto nei confronti del PD. Non è detto che questa diversità di analisi e di progetto debba restare tale in eterno, anzi penso che si debba lavorare in positivo per superarla; ma è a questo livello che bisogna porre il problema dell’unità della Sinistra e non sul piano di onesti e accorati auspici che portano a qualche cartello elettorale e a molta confusione. Le analisi politiche non vanno ridotte a cose di poco conto, al contrario devono essere il terreno proprio del confronto e della ricerca di convergenze e di unità.
Altra cosa naturalmente sono le alleanze, a livello locale e nazionale, su cui è possibile e necessario costruire accordi e progetti unitari di governo. Naturalmente a condizione che nessuno pensi che sia possibile “andare da soli”. Del resto anche su questo le elezioni europee hanno detto qualcosa: il sogno bipartitico accarezzato da PDL, PD e referendari è stato spazzato via, visto che insieme gli aspiranti “partiti unici” non vanno al di là del 62% e che i partiti “minori” sono vivi e vegeti. Il previsto fallimento del referendum farà il resto, perché il sogno/incubo bipartitico è stato cancellato dagli elettori.
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