Gianna Lai
E’ passato un mese dall’inizio della “non collaborazione”: nella lotta della miniera, mai lo sciopero ad oltranza, che danneggia fortemente le maestranze, sempre forme di resistenza articolata, secondo i turni, la dislocazione delle squadre, le singole miniere. E secondo le strategie definite da Camera del lavoro, leghe e Commissioni interne. Come adesso che gli operai si limitano al lavoro in economia, rispettando rigorosamente il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro, a garanzia del salario, destinato, altrimenti, ad essere bruciato in poco tempo. Anche se c’è da sottolineare quanto numerose fossero le agitazioni e le proteste a Bacu Abis, forse il luogo dove di più gli operai risentono della durezza del trattamento, il meno produttivo e, perciò, il più esposto al disinteresse dell’azienda e del governo, ai pericoli e alle conseguenze, quindi, di una scarsa manutenzione.
Forma originale la non collaborazione a Carbonia, il rispetto letterale dei regolamenti fin nei minimi particolari, come spiega Sergio Turone, in riferimento alle lotte nazionali , mutuata direttamente, appunto, dalle altre fabbriche italiane e adeguata alle esigenze di un impegno che deve coinvolgere il maggior numero possibile di operai. Ma, sopratutto, realizzabile grazie al livello di consapevolezza raggiunto in quegli anni di lotta, al valore politico di una battaglia proiettata a determinare nuovi rapporti nei cantieri, nuovo e vero riconoscimento della rappresentanza. A ribadirlo il sindacato e i dirgenti della sinistra, dalle risorse del territorio e dalla crescita di una comunità forte e combattiva, un importante confronto democratico. E c’è adesso il momento di passaggio da affrontare, imposto dalle adesioni via via più ampie alla protesta, mentre l’azienda annuncia ancora centinaia di provvedimenti disciplinari e sospensioni. Ora che, con gli operai, solidarizzano anche capisquadra e sorveglianti, presso i quali le maestranze non si recheranno più, al termine del normale turno, a registrare il proprio lavoro, costringendo così la direzione a compiere direttamente essa stessa gli accertamenti. E gli operai rispondono con lo sciopero alla rovescia, dopo ogni sospensione, presentandosi ugualmente in miniera, e capisquadra e sorveglianti, solidali con i minatori nel non registrare il loro lavoro, continuano a non compilare i ruolini dei cottimi venendo, a loro volta, colpiti da multe e sospensioni. “Per la salvezza di Carbonia- il volantino che li coinvolge nella lotta, - patrimonio comune di tutto il popolo sardo e di tutti i lavoratori”, riprendendo una citazione della prof. Di Felice, dal Quaderno n. 60 di Renzo Laconi.
La non collaborazione e lo sciopero alla rovescia: “gli operai entrano ogni giorno in fabbrica ma, in luogo di prestare l’opera con l’intensità normale, cioè quella stabilita dall’ufficio dei tempi, compiono le operazioni strettamente previste…e rifiutano i tempi di lavorazione stabiliti dalla direzione…..Da una forma di lotta come lo sciopero, di blocco della produzione, …ad una forma che si configura come maggiormente incisiva, perché provoca perdite più grandi al padrone, consente di percepire una parte del salario e, quindi, di avere la forza di resistere di più; ed infine obbliga gli operai, nei reparti, a prendere piena coscienza dei meccanismi della produzione e appropriarsene”. Così Renzo Gianotti, ex operaio torinese, in “Lotte e organizzazione di classe alla Fiat, 1948-1970” edito da De Donato, secondo un’ analoga esperienza di non collaborazione iniziata il 25 ottobre del 1948, e durata “un mese esatto”, per la riassunzione di 7 lavoratori licenziati, di cui 2 membri di Commissione interna, a seguito dello sciopero generale del 14 luglio. Ed è lotta complessa, prosegue l’autore citando Celeste Negarville: ci vuole una coscienza alta, tale da “evitare che essa diventi sabotaggio”, tale da tener conto che, “mentre lo sciopero raggruppa i lavoratori all’interno o all’esterno degli stabilimenti, la non collaborazione li isola, ponendo ogni operaio di fronte a responsabilità individuali che i dirigenti e i tecnici possono rilevare e punire o minacciare di punizioni”. Perciò è necessario “legare alla lotta gli impiegati e i tecnici, per riuscire a attenuare o neutralizzare i loro interventi di tipo disciplinare verso gli operai: in altre parole ottenere che anche gli impiegati e i tecnici attuino la loro particolare non collaborazione”.
A Carbonia si rafforzano i Comitati di cantiere, come a Torino i Comitati per la difesa del lavoro che, “ in città, spiegano i motivi della lotta”, dice ancora Gianotti nel suo libro. E la SMCS reagisce esattamente come la FIAT: “La Fiat dichiara che la lotta è illegale, e che la responsabilità ricadrà interamente sull’organizzazione sindacale; cerca di rompere l’unità della lotta con l’azione dei capi, sospende l’erogazione degli scatti semestrali già concordati, tenta di isolare nella città gli operai in sciopero con una campagna di stampa, ma non ottiene risultati soddisfacenti”. Fino a dover sottoscrivere con le Commissioni interne, l’azienda torinese, un accordo per porre fine ai licenziamenti e riassumere i 7 operai precedentemente allontanati, tale la carica partecipativa messa in evidenza dalla non collaborazione, così come si legge nelle considerazioni finali dell’autore sulla vicenda,
A Carbonia il documento delle leghe, L’Unità 16 novembre 1948, dichiara che “I lavoratori non sono obbligati per contratto a lavorare a cottimo e, qualora lavorino in economia, la direzione non può accampare la pretesa di stabilire unilateralmente quale sia il livello normale della produzione che essi debbono fornire”. Non resta quindi che preparsi ad estendere la formula dello sciopero alla rovescia, entrare in miniera anche dopo sospensioni e licenziamenti ignorando, col sostegno del sindacato, i provvedimenti della direzione.
Ma cosa la SMCS non tollera, perchè tanta durezza contro l’intero movimento? Se “quel che importava a Confindustria era, come ricorda Vittorio Foa, la salvaguardia del carattere capitalistico della ricostruzione in fabbrica, cioé, il ripristino delle prerogative padronali nell’organizzazione produttiva e nella disponibilità della forza- lavoro”, la stessa cosa vale per la SMCS, azienda di Stato. Ora, in quel quadro determinato dall’adesione “a una linea generale produttivistica”, la non collaborazione avrebbe potuto invece mettere in luce una spinta di lotta verso l’egualitarismo, intollerabile nell’azienda capitalistica, sempre impegnata a dividerli gli operai e, piuttosto, ad aumentarne lo sfruttamento. Ancora ragioni di natura ideologica, dunque, per ostacolare quella nuova capacità orientata verso il coinvolgimento di tutte le categorie, quel fronte compatto davanti alla minaccia di chiusura e a salari falcidiati da un processo inflazionistico galoppante in tutta Italia, che il meccanismo della scala mobile non riesce peraltro a controbilanciare. Ma è forse anche questione di tempo, “di perdita di tempo”, tanto più seccante se si costringe l’azienda, ed il governo, a rallentare i ritmi della smobilitazione, a rallentare i licenziamenti di massa. E sono eversivi del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro, oltre alle multe e alle sospensioni, il taglio dei salari, già definiti nel Contratto Nazionale stesso e, da sempre, la paga a cottimo, che non rispetta i conteggi secondo le tabelle aziendali; e poi la vera e propria serrata, che impedisce la discesa delle gabbie e, quindi, il lavoro nei pozzi, quando la SMCS blocca l’erogazione dell’energia elettrica nei cantieri, per contrastare la protesta.
Il fatto è che non c’è rassegnazione a Carbonia, una classe operaia indomita riesce a esercitare, essa stessa, un minimo di controllo sui tempi dell’esodo, già annunciato così minaccioso, e sul “trasferimento in massa” degli operai del Sulcis verso gli altri luoghi delle miniere, sparse in tutta Europa se, come ricorda ancora la professoressa Di Felice, “il numero degli addetti era calato di ben 4.000 unità nell’arco degli ultimi quattro mesi” a Carbonia. Oltre alla sospensione dei cottimi, la politica SMCS vera responsabile del repentino e irreparabile calo produttivo del combustibile sardo, ormai superfluo, si può dire, nel mercato nazionale, dominato definitivamente da quello internazionale.
1 commento
1 Franco Meloni - Aladinpensiero
22 Maggio 2022 - 07:18
Anche su aladinpensiero online: http://www.aladinpensiero.it/?p=133618
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