Ripartire a sinistra: velleitario o possibile?

11 Giugno 2009
4 Commenti


Antonello Murgia

Sono abbastanza pessimista sulla capacità di PD e partiti della sinistra, nel breve periodo, di incidere sulla fase politica attuale. Per alcuni motivi che proverò a dire brevemente. Il limite dei partiti di sinistra è la tendenza, dalla notte dei tempi (da Rosa Luxemburg/Bernstein alla scissione di Livorno, giù, giù fino ai giorni nostri) a dividersi con motivazioni che per giunta negli ultimi 15 anni sono andate perdendo la carica ideale per configurarsi, almeno agli occhi di gran parte dell’elettorato d’area, come paravento di giochi di potere e di poltrone. Il problema dei partiti di sinistra è, a mio avviso, la loro credibilità, la loro capacità di apparire, agli occhi dell’elettorato, come portatori di un progetto di cambiamento della società in senso progressista, al di là degli slogan di rito. Questa credo sia la lettura che è stata data della scissione di Rifondazione Comunista, al di là della dichiarazione d’intenti degli scissionisti di voler riunificare tutta la sinistra, verdi compresi. Un tipo di lettura destinato, a mio avviso, a non esaurirsi a breve.
Per quanto riguarda il PD e i partiti socialisti e socialdemocratici europei, credo che il problema principale sia stato determinato (tralasciando lo specifico italiano della “fusione fredda” Margherita/DS su cui ho espresso a suo tempo le mie poche speranze) dall’abbandono della linea progressista, per andare a cercare nello sfondamento al centro i numeri per conquistare il governo; nell’illusione che coltivare/coccolare i moderati fosse l’arma vincente. Ritengo che Walter Veltroni abbia impersonato questa linea molto più chiaramente di altri, ma gli esempi si sprecano anche fuori dei confini nazionali (Tony Blair per esempio). In un articolo apparso su La Repubblica del 9 giugno, dal titolo “La destra keynesiana che batte il socialismo”, Bernardo Valli, descrive il paradosso di questa fase politica: “Le elezioni europee hanno espresso il primo grande voto dopo il crollo finanziario d’autunno. Non sarebbe quindi stato troppo azzardato, o troppo presuntuoso, attendersi un verdetto severo nei confronti dei partigiani della deregulation, del laissez-faire, responsabili obiettivi della crisi”. Le urne hanno invece premiato (con le sole eccezioni di Grecia e Slovacchia) quella “destra liberale o conservatrice, al governo o all’opposizione, rappresentante del neoliberismo fallimentare… La destra non ha avuto troppi riguardi per i bilanci, aggravandoli di vistosi deficit per rafforzare gli ammortizzatori sociali; ha fulminato con clamorose denunce i paradisi fiscali; si è affrettata a elencare regole da imporre al mercato; non ha esitato a nazionalizzare banche sull’orlo del fallimento; ha promosso piani di rilancio, e aiuti più o meno diretti alle grandi industrie, in particolare quelle automobilistiche. La destra neoliberista è diventata super keynesiana. I campioni della deregulation hanno imbrigliato i mercati”.
Ciò che B. Valli non spiega è perché ciò sia potuto accadere. Si limita a dire che la sinistra ha bisogno di idee e di leader capaci di comunicare e di sostenere il confronto con i leader avversari. Francamente è un po’ poco, ma forse non poteva essere diversamente, se consideriamo che anche “La Repubblica” ha strizzato l’occhio a lungo ad una modernizzazione all’insrgna di “meno Stato e più mercato”.
I neocon ed il grande capitale che li ha sostenuti, attraverso anche le grandi istituzioni economiche e monetarie internazionali, hanno allevato/arruolato una classe di economisti, giornalisti, ricercatori, etc. che, caduto il muro di Berlino, hanno imposto quello che Ramonet indicò, nel suo famoso articolo del 1995 su Le Monde Diplomatique come il “pensiero unico” e cioè “la trasposizione in termini ideologici, che si pretendono universali, degli interessi di un insieme di forze economiche, e specificatamente di quelle del capitale internazionale… Il fondamento del pensiero unico è il concetto del primato dell’economia sulla politica, tanto più forte in quanto un marxista distratto non lo contesterebbe”. Nell’ultimo ventennio, purtroppo, i marxisti distratti non sono stati pochi, anche quando è diventato sempre più chiaro che per primato dell’economia doveva intendersi il primato del mercato. La destra neocon e neoliberista ha saputo far tesoro dell’insegnamento gramsciano sull’egemonia culturale, abbandonato anch’esso da marxisti distratti? Forse; oppure la destra aveva già ben chiaro, di suo, il concetto. Sta di fatto che, per fare solo un esempio, colpisce il parallelismo fra l’importanza attribuita da Gramsci alla scuola come luogo fondamentale di esercizio dell’egemonia e il suo smantellamento sistematico ad opera della destra nostrana (anche qui, con quanti cedimenti ideologici da sinistra, fra presidi manager e consigli d’Istituto trasformati in consigli d’amministrazione!).
Con questo intendo sommessamente sottoporre alla riflessione dei lettori la convinzione, sempre più forte, che la sinistra non ha saputo presidiare i propri caposaldi e che il disinvolto uso da parte della destra degli insegnamenti di Keynes (che solo un anno fa erano per i neoliberisti come bestemmia in chiesa) è stato reso possibile dalla perdita d’identità e di valori dell’area socialista. L’intelligente ancorché interessato progetto della destra neocon avrebbe avuto bisogno, per essere contrastato, di un centrosinistra capace di non smarrirsi e di mantenere la rotta, di un centrosinistra che non lasciasse ampie porzioni del proprio territorio alla mercé delle incursioni dell’avversario. E allora che fare?
Credo che una proposta progressista di uscita dalla crisi che non voglia restare pura testimonianza non possa prescindere dal confronto con il PD, o meglio con la parte democratica del PD (chiamatelo pure pregiudizio: non riesco a concepire la possibilità di un progetto comune con chi da tempo si è appiattito sulle posizioni di una gerarchia cattolica becera). Senza indulgenze al massimalismo, ma ritessendo i fili di un progetto condiviso basato sulla solidarietà e la difesa degli interessi dei più deboli. E’ certo urgente una proposta di sinistra per uscire dalla più grave crisi economica internazionale almeno dal 1929, come peraltro nel nostro piccolo, avevamo cercato di fare a febbraio-marzo nella proposta di costituzione di un Forum Sardo di iniziativa democratica. Proposta che aveva anche avuto un inizio di formalizzazione con l’agenda suggerita da Andrea Raggio e condivisa da tutti i partecipanti. Credo però che sia necessario preliminarmente, prendendo in prestito una terminologia informatica, riformattare il disco rigido, eliminare tanti programmi insediatisi subdolamente nel nostro sistema operativo e funzionali a progetti che non ci appartengono, non ci servono e rallentano moltissimo il lavoro della macchina. Dobbiamo ripartire producendo un’elaborazione di sinistra dei principali temi economici (per es. chi e come paga la crisi economica?), dei diritti (la salute è un diritto inalienabile o una variabile dipendente di scelte economiche spesso discutibili? l’accettazione della compatibilità economica non è stato forse il cavallo di Troia per ridimensionare la sanità pubblica e favorire una privatizzazione strisciante?), istituzionali (quale regalo maggiore dei cedimenti sulla Costituzione in nome della governabilità si poteva fare alla destra?). La mia impressione è che senza questa operazione non andremo avanti: potrà accadere che il Veltroni di turno prenda atto del suo fallimento e si ritiri e che venga il Franceschini di turno a darci speranza correggendo la rotta. Per poi buttare a mare tutto alla prima occasione importante, decidendo di invitare a votare SI al referendum sulla legge elettorale. Ci mancano i fondamentali, come si direbbe nello sport, e abbiamo necessità di acquisirli se vogliamo intraprendere una carriera di atleti. E dobbiamo anche poter scegliere nuovi allenatori, non coinvolti nei gravi errori del passato. Ne saremo capaci?

4 commenti

  • 1 andrea raggio
    11 Giugno 2009 - 10:38

    D’accordo, riformattiamo il disco rigido se necessario ma partiamo una buona volta

  • 2 rita carboni boy
    11 Giugno 2009 - 19:31

    Una analisi untelligente e accorata, in piccola parte da me non condivisa, ma più che condivisa la necessità di riformattazione e l’urgenza di farlo senza cedere al buonismo che, in realtà, nascondeva una incapacità di fronteggiare il nemico. Che si debba essere politicamentge SCORRETTI?

  • 3 rita carboni boy
    11 Giugno 2009 - 19:33

    condivido le conclusioni , vedo l’urgenza di riformattazione,condivido solo in parte l’analisi, che trovo tuttavia acuta ed intelligente

  • 4 ANITA
    13 Giugno 2009 - 20:32

    pulita e sinetica analisi estremamente condivisibile, avrei da aggiungere, che forse, tanta incapacità è da ricercare anche, ma non solo, nell’accozzaglia di burocrati presenti nelle direzioni pd, e non solo. Lo sterminio virtuale degli intellettuali, teorici, filosofi, che oltre 20 anni fa portarono contributi e stimoli di lettura nuovi rispetto alla società da cambiare è responsabile di una classe di politici incapaci di approffondimenti critici seri, e sempre più ritirati su un aventino sterile d’idee. E’ necessario partire tutti da una seria analisi politica dell’esistente e lasciare che passi anche attraverso scontri, pareri diversi, dialettiche produttive.
    Paghiamo aimhè lo scotto della “morte delle ideologie”.
    Certo le ideologie della sinistra, moderata o estrema, le abbiamo buttate a mare per rifarci al qui ed ora, senza un minimo di filo conduttore.
    Peccato che la destra, le sue ideologie se l’è tenute così strette da farne il marciume imperante.
    in alternativa c’è il niente, almeno come sistemi di comprensione del mondo storico e politico.
    grazie antonello per lo stimolante articolo

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