Gianfranco Sabattini
Il 29 maggio è stato presentato l’annuale “Rapporto sulla Economia della Sardegna” del Crenos che fotografa la struttura economica della Sardegna. E’ un documento importante, forse poco considerato nell’analisi e nella riflessione politico-culturale nell’Isola. Ecco perché riteniamo utile valutarne i risultati criticamente e per questa ragione pubblichiamo ben volentieri questo esame del Prof. Gianfranco Sabattini, profondo conoscitore della realtà sarda e noto economista.
Il 29 dello scorso mese è stato presentato a Cagliari, nell’Aula Magna di Ingegneria, il XVI Rapporto Crenos sull’economia della Sardegna. Il Rapporto non reca alcuna sostanziale novità rispetto agli ultimi anni; esso, infatti, al di là della messa in risalto del cambiamento delle modalità con cui l’Istat, per garantire una migliore confrontabilità dei dati a livello europeo ed Ocse, ha proceduto alla stima delle serie storiche relative agli aggregati dei Conti Economici Nazionale e Territoriali, evidenzia una situazione economica dell’isola della quale da tempo si aveva contezza. Il Rapporto, dopo aver sottolineato, per il periodo 2001-2006, una performance tra le più negative in termini di tasso di crescita medio del PIL pro-capite dell’intero sistema economico nazionale rispetto alle economie del resto dei Paesi Ocse, evidenzia anche che una riduzione sostanziale di tale aggregato ha interessato tutte le regioni italiane.
Con riferimento alla Sardegna, il Rapporto osserva che, fatta eccezione per la “vecchia” provincia di Cagliari, che non “ha fatto registrare bruschi decrementi”, quelle di Sassari, Nuoro ed Oristano sono passate da tassi di crescita in linea con quelli dell’Europa a tassi di crescita negativi. In un contesto come questo, continua il Rapporto, la performance dell’economia sarda, nell’arco di tempo di riferimento, “appena in linea con la media italiana…appare chiaramente insufficiente a tenere il passo con le altre regioni europee che viaggiano su binari nettamente più veloci”.
Più che esporre, sia pure criticamente, i numerosi confronti territoriali, che nella struttura del Rapporto sembrano indulgere a sottolineare che se Sparta piange, Atene non ride, ovvero che se la Sardegna va male, le altre regioni, soprattutto quelle dell’Italia meridionale, non vanno meglio, sembra importante sottolineare un vuoto interpretativo che può trarsi da una lettura attenta del Rapporto; un “vuoto” forse non rilevato perché le sue analisi sono riferite alla sola parte reale dell’economia della Sardegna, con totale silenzio sulla parte finanziaria, della quale si saprà il prossimo 10 giugno allorché la sede di Cagliari della Banca d’Italia presenterà il suo esame per il 2008 dell’economia della Sardegna. A quale vuoto interpretativo ci si riferisce? Alla mancata evidenziazione delle implicazioni più importanti che il confronto tra gli andamenti delle principali macrograndezze considerate dal Rapporto avrebbe dovuto suggerire.
Stando al Rapporto, il tasso di crescita del PIL pro-capite nel periodo di riferimento 2001-2006 (trascurando il dato relativo al 2007 perché provvisorio) presenta un andamento “piuttosto altalenante” espresso dal susseguirsi di declini e di riprese; sintomo questo di una sostanziale debolezza della struttura produttiva isolana, priva di ogni stabile dinamica. Di ciò è prova il fatto che, nello stesso periodo, la produttività per occupato, espressa in termini di PIL per occupato o di PIL per ora di lavoro, è stata di segno negativo. A fronte di questi trend, il Rapporto segnala che in Sardegna, contrariamente a ciò che succede per il PIL pro-capite e per il PIL per occupato, i consumi pro-capite sono invece aumentati, senza presentare quelle fluttuazioni che caratterizzano la dinamica dell’incremento del PIL pro-capite. Sul punto, il Rapporto, evidenzia il vuoto interpretativo, limitandosi ad affermare che l’andamento crescente dei consumi “può fare ipotizzare una buona tenuta del sistema economico nel suo complesso”. Ipotesi, questa, del tutto infondata, se si considera che, con un andamento altalenante del PIL pro-capite e la diminuzione della produttività per occupato, tutto si può giustificare, tranne che un andamento crescente dei consumi pro-capite. L’andamento crescente di questi, infatti, può trovare solo riscontro nel fatto che, com’è possibile desumere dalle “Note dell’andamento dell’economia della Sardegna nell’anno 2007” della sede regionale della Banca d’Italia, nel periodo successivo al 2004, a fronte di limitate variazioni dei depositi bancari, in Sardegna è stato registrato un incremento dell’indebitamento delle famiglie sarde nei confronti del sistema bancario. Ciò, in altri termini, evidenzia, più che una buona tenuta del sistema economico regionale, un sostanziale processo di impoverimento delle famiglie stesse, come stanno a dimostrare le indagini condotte a livello nazionale da diverse istituzioni pubbliche e private, le quali, indipendentemente l’una dall’altra, hanno accertato la crescita della povertà dei sardi, come d’altra parte, lo stesso Rapporto non manca di rilevare. Infatti, analizzando i dati recenti sulla povertà relativa all’interno dell’intero Paese ed in particolare la stima dell’incidenza della povertà relativa (% delle famiglie e delle persone povere sul totale delle famiglie e delle persone residenti nell’isola) calcolata sulla base di una soglia convenzionale che stabilisce la “linea di povertà” che individua il valore della spesa per consumi al di sotto della quale una famiglia è definita povera, il Rapporto evidenzia che l’incidenza della povertà in Sardegna negli ultimi due anni (2006-2007) è aumentata di sei punti percentuali, facendo registrare l’aumento più significativo tra le regioni italiane.
L’ipotesi di una buona tenuta del sistema economico regionale formulata in funzione dell’aumento dei consumi pro-capite viene anche smentita dallo stesso Rapporto in sede di analisi dei dati riguardanti l’occupazione e le esportazioni di merci verso l’esterno dell’isola. Con riferimento al mercato del lavoro, il Rapporto osserva che, nel periodo 2004-2007, il tasso di occupazione, anche se con ritmi più contenuti rispetto agli anni precedenti, ha continuato a crescere, sebbene nel 2008 sia stato rilevato un suo leggero decremento. Sulla natura dell’andamento positivo del tasso di occupazione si possono nutrire le stesse riserve formulate con riferimento all’andamento crescente dei consumi pro-capite. A fronte di una produttività decrescente per unità di lavoro occupata, come può essere giustificato, dal punto di vista economico, un aumento dell’occupazione se non in termini di “occupazione di cantiere”, precaria e temporanea, indotta forse dall’erogazione dei trasferimenti pubblici, la cui rimunerazione riesce a compensare a stento le diminuzione della produttività della forza lavoro occupata?
Inoltre, la buona tenuta del sistema economico regionale è anche smentita dall’analisi dei dati sulle esportazioni. Il Rapporto sottolinea la crescita della quota delle esportazioni sul PIL regionale, sebbene tale crescita risulti, innanzitutto “drogata” dal “peso” delle esportazioni dei prodotti petroliferi, i quali, nel periodo compreso tra il 2002 ed il 2007, hanno appunto “pesato” sul totale delle esportazioni regionali per il 64% circa. In secondo luogo, limitata, nel suo impatto sull’intero sistema economico regionale, dalla bassa capacità della Sardegna di esportare prodotti ad elevata o crescente produttività. In terzo luogo, compromessa dalla bassa competitività internazionale del sistema produttivo sardo, dalla sua bassa integrazione nei mercati esteri e dalla sua bassa capacità di attrazione delle domanda estera; riguardo a quast’ultimo aspetto, la Sardegna, anche riguardo al turismo, nonostante la sua vocazione al potenziamento dell’”industria delle vacanze”, presenta un trend tendenzialmente stabile e, dunque, al di sotto delle sue reali potenzialità.
Ulteriori indicatori significativi della debolezza della base produttiva regionale sono espressi: a. dalla dinamica in entrata e in uscita dal mercato delle imprese; b. dall’indice di infrastrutturazione economica; c. da un mix di fattori immateriali (addetti alla ricerca e sviluppo, intensità brevettuale e incidenza della spesa pubblica in ricerca e sviluppo) rilevanti per il miglioramento delle competitività dell’economia regionale. Negli ultimi anni, il primo indicatore ha subito una pesante caduta, nel senso che sono aumentate le cessazioni delle imprese e diminuite la costituzione di nuove attività produttive; il secondo, esprimente la dotazione di reti stradali, ferroviarie, aeroportuali, per la telefonia, la telematica ecc, sempre negli ultimi anni, ha presentato valori molto al di sotto della media nazionale; infine, il terzo ha sinteticamente evidenziato un numero di addetti alla ricerca e sviluppo pari a circa la metà rispetto a quello nazionale, un’intensità brevettuale pressoché nulla e una spesa pubblica in ricerca e sviluppo che è stata, anche se stabile, superiore alla media nazionale, cui va però associata una spesa privata nulla come l’intensità brevettuale.
Che dire a conclusione di queste brevi note critiche sul XVI Rapporto Crenos sulla stato dell’economia della Sardegna per il 2009? In sostanza, il Rapporto non ha fatto che presentare il commento di dati che da anni vengono monotonamente ripetuti. Nel migliore dei casi, per effettuare dei confronti territoriali utili per dire che se in Sardegna le cose andavano male, nella altre regioni meridionali andavano peggio. Oggi, però, neppure questo può essere più detto, in considerazione del fatto che la base produttiva del sistema economico della Sardegna, negli ultimi anni, quando non è peggiorata, è andata omologandosi allo stato dell’economia meridionale complessivamente. Che utilità presenta questo tipo di analisi? Non sarebbe più conveniente chiedersi, pur considerando gli esistenti motivi di crisi a livello internazionale ed a livello nazionale, perché il peggioramento dell’economia regionale è avvenuto soprattutto in questi ultimi anni? Dove si è sbagliato? Che cosa non è stato fatto per evitare il peggioramento delle condizioni economiche dell’isola? Se il Rapporto tentasse di dare risposte a questi interrogativi, forse contribuirebbe a consentire di formulare delle politiche pubbliche con cui, quando la “locomotiva” dell’economia internazionale ed il “treno a scartamento ridotto” dell’economia nazionale riprenderanno a correre, sarà possibile imprimere al “vagone” alquanto sconnesso dell’economia regionale una ragionevole spinta per il superamento dell’inerzia che da sempre lo tiene fermo su un “binario morto”.
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