Gianluca Scroccu
Il 10 giugno di ottantacinque anni or sono veniva trucidato per mano fascista Giacomo Matteotti, socialista, uomo di legge, una grande figura del socialismo italiano. Il suo discorso del 30 maggio 1924 alla Camera dei deputati rimane un esempio di lucida analisi e denuncia del fascismo e del suo Capo, Benito Mussolini. Ora, mentre gli ideali del socialismo per cui Matteotti si batté, pagando con la vita, vengono irrisi e vilipesi o abbandonati anche da coloro che se ne dicono eredi, è più che mai necessario ravvivare il ricordo di quanti, col sacrificio della loro vita, ci hanno consegnato una libertà che così male stiamo custodendo. Ci aiuta in quest’opera Gianluca Scroccu, con un profilo di Giacomo Matteotti, seguito dal discorso da lui tenuto alla Camera il 10 giugno 1924.
10 giugno 1924. Roma, Lungotevere Arnaldo da Brescia. In un pomeriggio di ottantacinque anni fa, dalla via Pisanelli, un uomo sta uscendo dalla sua abitazione per recarsi probabilmente alla Biblioteca della Camera. Improvvisamente viene affiancato e caricato a forza su una Lancia Lambda. Quell’uomo è Giacomo Matteotti, deputato in carica del Partito Socialista Unitario. Dopo esser stato seviziato e torturato verrà brutalmente ucciso e sepolto nella campagna romana, presso la località della Quartarella, dove il suo corpo verrà recuperato il successivo 16 agosto. Ma chi era Giacomo Matteotti? Nato a Fratta Polesine, in provincia di Rovigo, il 22 maggio del 1885, da una famiglia che partita da modeste condizioni era poi diventata agiata grazie al piccolo commercio e al consolidamento di cospicue proprietà terriere, si era laureato in giurisprudenza ed era diventato avvocato e stimato studioso del diritto penale. Per estrazione e condizione sociale non sembrava destinato ad aderire al socialismo. Ed invece proprio alla causa socialista avrebbe dedicato la sua vita, sino alla morte. La zona del Polesine e la provincia di Rovigo divennero l’area d’azione del suo impegno politico. Metodico e scrupoloso nella sua attività di sindaco, consigliere comunale e provinciale, si schierò sempre a fianco delle lotte dei contadini insegnando loro gli strumenti democratici per ottenere i propri diritti contro le prepotenze dei più reazionari proprietari terrieri. Un impegno che incontrava molte ostilità, comprese quelle della moglie Velia, che pure l’amava moltissimo. Un riformismo, quello di Matteotti, declinato però in chiave personale, sostenuto da un rigore intransigente nell’opporsi alle prepotenze degli agrari e sorretto da un fermo pacifismo che lo avrebbe portato ad opporsi strenuamente alla partecipazione italiana alla Grande Guerra: a suo avviso i diritti non si potevano rivendicare auspicando la rivoluzione, ma incanalando le proprie richieste all’interno del percorso democratico con una costante azione di autogoverno a partire dai livelli istituzionali più bassi come le amministrazioni comunali. Un’idea della politica corroborata dal costante riferimento all’etica e alla questione morale, che metteva al centro la difesa del Parlamento e delle assemblee locali per la realizzazione di un socialismo umanista che sapesse coniugare libertà e giustizia sociale. Eletto deputato nelle elezioni politiche del novembre del 1919 e del maggio 1921, fu tra i primi a denunciare il carattere eversivo del fascismo. Intuì, come un altro giovane antifascista torinese suo estimatore, Piero Gobetti, che la violenza squadrista era componente essenziale del movimento guidato da Mussolini, strumento per guadagnare il consenso tramite la paura ma anche per intimorire eventuali avversari.
Divenuto segretario del PSU in seguito all’ennesima scissione tra riformisti e massimalisti, dopo che i comunisti avevano già dato vita al loro partito, Matteotti mantenne sempre la schiena dritta di fronte alle lusinghe di un Mussolini molto abile nell’attirare, grazie alle pratiche seduttive tipiche dei sistemi politici guidati dall’uomo solo al comando, molti dirigenti riformisti e sindacali come D’Aragona. Passava ore alla Camera a documentarsi per preparare i suoi interventi in aula e commissione con cui contrastare il fascismo e denunciarne la pericolosità; le aggressioni che subì non scalfirono la sua intransigenza di oppositore. Mussolini sapeva che quel deputato era un nemico pericoloso, perché testimoniava come ci si potesse ancora opporre alla normalizzazione e alla sottomissione al partito unico. Anche per questo Matteotti intensificò i contatti con i socialisti e i democratici europei, al fine di spiegare anche a loro la vera natura totalitaria del fascismo; un altro colpo contro il Duce, che aveva una vera ossessione per il giudizio internazionale sul suo operato in vista del suo riconoscimento internazionale quale statista.
Il discorso alla Camera del 30 maggio 1924, dove, tra le urla dei deputati fascisti, denunciò le irregolarità con cui si erano svolte le elezioni del precedente 6 aprile, quelle tenutesi con la legge maggioritaria detta “Acerbo”, rappresentò il momento dopo il quale si decise di farla finita con quel pericoloso oppositore che alterava l’immagine del Mussolini vincente. La storiografia discute ancora sulla vera natura del suo assassinio: un delitto sostanzialmente politico per storici come Sabbatucci e Tamburrano; con aspetti inquietanti legati ad una denuncia che Matteotti si apprestava a fare circa presunte tangenti versate dalla compagnia petrolifera americana Sinclair direttamente a Mussolini e al fratello Arnaldo per l’ottenimento del monopolio della ricerca petrolifera in Italia, come ha sostenuto Mauro Canali. Subito dopo il ritrovamento del cadavere nacque il mito attorno alla sua figura: novello Cristo, attorno a lui si sviluppò un vero culto antifascista che il Regime cerco di contrastare in tutti i modi come ha ben descritto lo storico Stefano Caretti. Un giovane avvocato ligure, Sandro Pertini, chiese non a caso che la data del rapimento fosse trascritta nella sua tessera di iscrizione al PSU. Sarebbero seguite settimane convulse, che videro vacillare il fascismo ma che sostanzialmente, sia per la forza parlamentare su cui Mussolini poteva contare dopo le politiche del 6 aprile, sia per le indecisioni e le divisioni delle opposizioni riunitesi sull’Aventino, non portarono ad una vera crisi. Il 3 gennaio del 1925 il Duce riprese definitivamente in mano la situazione, accelerando da allora l’instaurazione della dittatura. Ventuno anni dopo non sarebbe però sfuggito al suo rendiconto con la storia e il 29 aprile 1945 il suo cadavere sarebbe stato sfigurato proprio come le sue squadracce avevano fatto con il corpo di Matteotti, buttato senza nessuna pietà in una squallida buca della campagna romana.
Ecco ora l’ultimo discorso di Matteotti (30 maggio 1924) nella sintesi di Pietro Nenni
MATTEOTTI - Noi abbiamo avuto da parte della Giunta delle elezioni la proposta di convalidazione di numerosi colleghi. Ci opponiamo a questa proposta…
(UNA VOCE - E’ una provocazione).
MATTEOTTI - … perchè se nominalmente la maggioranza governativa ha ottenuto quattro milioni di voti, noi sappiamo che questo risultato è la conseguenza di una mostruosa violenza.
(Dai loro banchi, i fascisti mostrano i pugni all’oratore. Nell’emiciclo, i più violenti cercano di slanciarsi contro Matteotti. Impassibile al suo banco, Mussolini, lo sguardo corrucciato, assiste alla scena senza fare un gesto, senza dire una parola).
MATTEOTTI - Per dichiarazione esplicita del capo dei fascismo, il governo non considerava la sua sorte legata al responso elettorale. Anche se messo in minoranza sarebbe rimasto al potere…
STARACE - Proprio così, abbiamo il potere e lo conserveremo.
(Adesso tutta la Camera grida contemporaneamente. Una voce erompe: - Vi insegneremo a rispettarci a colpi di calcio di fucile nella schiena! Un’altra voce apostrofa: - Siete un branco di vigliacchi! Padrone di sè stesso, Matteotti lascia affievolirsi il tumulto, senza raccogliere le interruzioni).
MATTEOTTI - Per sostenere questi propositi del governo, c’è una milizia armata…(A Destra - Viva la milizia!)- …che non è al servizio dello Stato, né al servizio del paese, ma al servizio d’un partito…
(- Basta! Basta! - si grida a destra. - Cacciatelo dalla tribuna!)
(Adesso l’oratore denuncia la lunga serie delle violenze; l’impossibilità degli elettori dell’opposizione di raccogliere liberamente le firme per la proclamazione delle candidature; l’impossibilità per i candidati di prendere contatto coi corpo elettorale; l’interdizione della propaganda; le violenze contro la stampa.
Al banco del governo, Mussolini non pronuncia una parola per ottenere il rispetto del suo avversario. Ha il mento appoggiato sulle braccia incrociate sul banco e rimane immobile, impenetrabile. Adesso l’oratore socialista allarga il dibattito. Invoca, al di sopra delle dottrine, il sentimento di giustizia).
MATTEOTTI - Badate, il soffocamento della libertà conduce ad errori dei quali il popolo ha provato che sa guarire. La tirannia determina la morte della nazione…
(Le violenze della destra raddoppiano. Tutti insieme i deputati urlano e insultano. Affaticato dal lungo sforzo, Matteotti non cede. Nessuna traccia di demagogia nel suo discorso. Egli espone dei fatti, dice ciò che ha visto, oppone agli insulti dei documenti. La sua perorazione è di una grande sobrietà).
MATTEOTTI - Voi volete rigettare il paese indietro, verso l’assolutismo. Noi difendiamo la libera sovranità dei popolo italiano, al quale rivolgiamo il nostro saluto e del quale salvaguarderemo la dignità domandando che si faccia luce sulle elezioni.
(In piedi la sinistra acclama Matteotti. A destra si grida:-Venduto! Traditore! Provocatore!).
- E adesso - dice sorridendo Matteotti, ai suoi amici - potete preparare la mia orazione funebre.
Fra un tumulto indiavolato la seduta è tolta. Un gruppo di deputati circonda Mussolini e l’acclama.
II «duce» non nasconde più il suo malumore. Il giorno prima, interrompendo un oratore, aveva detto: - Dodici pallottole nella schiena costituiscono un ottimo rimedio contro gli avversari in malafede.
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