Andrea Pubusa
C’è un’istintiva propensione ad aiutare anche con le armi chi è aggredito. Risponde ad un pensiero elementare socorrere chi appare più debole di fronte all’aggressività del più forte. Si comprende quindi umanamente chi cerca di far ammettere dalla nostra Carta costituzionale la facoltà di invio di armi in Ucraina. Ma il diritto è un’altra cosa: c’è il testo normativo e ci sono le regole d’interpretazione e c’è anche la forza del “precedente”, che nel diritto costituzionale ha una particolare forza cogente per regolare i casi futuri.
Voglio partire da qui per ricordare che la Costituzione rigida impone una condotta alle maggioranze contingenti del futuro di qualsiasi colore esse siano. Quindi, chi sostiene una certa interpretazione e crea un precedente deve sapere che la regola così formata vale per qualsiasi maggioranza e per qualunque caso si presenti in futuro. Per parlarci chiaro, se io dico che possiamo inviare armi, ciò vuol dire che, ove domani in Italia si formasse una maggioranza di estrema destra e questa simpatizzasse per uno stato fascistoide, il quale lamentasse un’aggressione, il parlamento potrebbe votare l’invio di armi in una situazione del tutto ribaltata rispetto a quella attuale. Quindi, attenzione!, quando avanziamo interpretazioni e quando le istituzioni le applicano, esse valgono non solo per i casi che condividiamo, ma anche per quelli da cui fortemente dissentiamo. Non ci possono essere due pesi e due misure.
Detto questo, voglio esaminare sul piano strettamente giuridico l’articolo di Massimo Villone sul Manifesto dal titolo “La Costituzione fra difesa legittima e ripudio della guerra“. In esso Villone ammette che l’art. 11 non consente l’invio di armi dell’Italia al di fuori delle organizzazioni internazionali volte alla risoluzione in modo pacifico delle controversie internazionali. Se così non fosse, non ricorrerebbe, come invece fa, all’art. 10, che cosi’ suona: “L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute“. Ora fra queste vi e’ quella che consente la legittima difesa dei paesi aggrediti e, dunque, soggiunge Villone, anche il soccorso con l’invio di armamenti.
Questa tesi avrebbe un fondamento ove si negasse che l’art. 11 disciplina il caso della guerra di aggressione, ma lo stesso Villone ammette che la preveda e che non ammetta l’invio di armi. Ed è così. Basta leggere l’incipit dell’art. 11: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli …“. Il caso è proprio quello della Russia che attacca l’Ucraina (lasciamo da parte il cotesto ostile ispirato dalla NATO, che ci porterebbe lontano). La Carta dice che l’Italia ripudia queste guerre, ossia le condanna sul piano giuridico e morale, senza se e senza ma. Ma individua anche le modalità per chiudere questi conflitti. Se l’attacco riguarda l’Italia i cittadini e le istituzioni hanno il sacro dovere di difendere la patria, la nostra patria. Art. 52: “ La difesa della Patria e’ sacro dovere del cittadino“. La disposizione è rivolta ai cittadini italiani, quindi la patria attaccata è l’Italia. Se invece lo Stato attaccato è un altro, la Costituzione condanna quella guerra “come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali“, ma ci dice anche cosa, in vista di tali evenienze, deve fare l’Italia: “consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo“. L’Italia interviene a riportare la pace in seno alle organizzazioni internzionali a ciò preposte. L’art. 11 dunque esclude iniziative autonome dell’Italia per riportare la pace con azione armata o anche con modalità che alimentino l’uso delle armi. L’invio di armi e di uomini è consentito in seno a organizzazioni come l’ONU. Ma tali non sono la UE (che è un ordinamento di Stati europei) e tantomeno la NATO che è una organizzazione militare di alcuni Stati.
Stando così le cose, la preclusione del ricorso all’art. 10, intesa come norma generale sulla materia, discende dal noto principio interpretativo “lex specialis derogat legi generali“; questo brocardo esprime uno dei principi o criteri tradizionalmente utilizzati dagli ordinamenti giuridici per risolvere le antinomie normative: il criterio di specialità. Risponde a un ragionamento logico prima che giuridico. Se una materia ha una disciplina generale, ma per una parte o taluni aspetti di essa il legislatore ha introdotto una disciplina specifica, questa deroga a quella generale. Nal caso nostro, assumendo come disciplina generale della materia la normazione del diritto internazionale generalmente riconosciuta (art. 10), l’art. 11, disciplinando la guerra insieme all’art. 52, deroga alle regole che si dovrebbero applicare in assenza dello stesso art. 11.
C’è poco da fare, l’art. 11 non è aggirabile se non con forzature. Operazione pericolosissima per il futuro. L’art. 11 ha una ratio precisa e condivisibile. A parte la difesa diretta del nostro territorio, che è sacro dovere nostro e delle nostre istituzioni, tutti gli altri casi in cui si ponga il problema di un intervento con armi dev’esseree sottratto alla maggioranza parlamentare di turno ed essere rimessa ad una più ponderata valutazione e decisione di organizzazioni internazionali di pace, di cui l’Italia è parte. Una bella garanzia contro avventure o decisioni unilaterali.
1 commento
1 Aladinpensiero
11 Aprile 2022 - 07:40
Anche su aladinpensiero online: http://www.aladinpensiero.it/?p=132263
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