La differenza

12 Maggio 2008
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Andrea Raggio
 
Michele Serra: “… è di destra chi vota avendo per guida i propri interessi, di sinistra chi vota pensando all’interesse collettivo. La sinistra è condannata in eterno a mediare tra la natura degli individui e la cultura della collettività: e dunque a immaginare ciò che ancora non c’è, suggerire novità, progettare cambiamenti”.  Sulla differenza tra destra e sinistra, vista anche alla luce delle recenti elezioni, non vedo cos’altro si possa aggiungere. Sulla funzione della sinistra, quella che la fa sempre viva e attuale – saldare la quotidianità alla prospettiva – ritengo utile, invece, tentare qualche ragionamento.
Sento ripetere che il nuovo partito deve occuparsi dei problemi concreti che angustiano i cittadini e radicarsi nel territorio. Talvolta se ne parla come se questa fosse una scoperta della destra leghista. Invece non è così, sappiamo tutti che è un’antica scoperta della sinistra. Ma la differenza c’è ed è fondamentale: riguarda la qualità delle rivendicazioni e, quindi, la saldatura tra l’interesse dei singoli e quello della collettività, tra la lotta quotidiana per strapare condizioni di vita migliori e la visione di una società più giusta. Può darsi che la destra berlusconiana si decida a vestire panni meno sgradevoli del passato. E’ certo, però, che non muterà natura, agiterà ancora gli egoismi e negherà il futuro. Così com’è certo che la Lega farà pesare sulle scelte del governo, con la forza del condizionamento, il suo federalismo pasticcione e a vocazione secessionista. Dobbiamo preoccuparcene, anche perché il leghismo è meno lontano di casa nostra di quanto appaia. Non mi riferisco tanto alla sua presenza organizzata ed elettorale – il fenomeno siciliano mi sembra qui da noi improbabile - quanto alla penetrazione dei suoi orientamenti nell’opinione pubblica e nella pratica politica. La destra berlusconiana e quella leghista si possono sconfiggere solo con una politica di sinistra. Le correnti della DC socialmente più sensibili ci tenevano a definirsi di sinistra. Non capisco la riluttanza del PD. Ma non è questione soltanto terminologica. 
La criminalità urbana e la sicurezza dei cittadini sono un problema anche in Sardegna e il probabile aumento degli sbarchi clandestini nelle nostre coste gonfierà la percezione del fenomeno. Non basta invocare più polizia, così come non basta denunciare l’incerta legalità delle ronde private. Ed è fuorviante armare i vigili urbani, così come è irresponsabile lasciare che la vita cittadina si rassegni a comportamenti da coprifuoco. La sicurezza dei cittadini invece, come suggerisce l’Unione europea, può e deve essere assicurata con una combinazione di misure che vanno dalla progettazione e creazione di spazi aperti e protetti, alla specializzazione degli operatori impiegati in questo campo, all’istituzione dell’agente di quartiere, all’adozione d’iniziative e forme di collaborazione di quartiere tra forze dell’ordine e cittadini. 
Il radicamento nel territorio è una necessità vitale, il partito territoriale è un’altra cosa. E’ un partito che mira alla tutela degli interessi locali prescindendo da quelli generali. Un partito per il quale le grandi questioni nazionali – quella meridionale e quella cosiddetta del Nord - non riguarderebbero lo sviluppo e la competitività dell’intero Paese, ma sarebbero, appunto, questioni d’interesse locale, sia pure di macro aree. E’, questa, la logica perversa della coperta corta: stiracchiandola non solo si lasciano allo scoperto le aree deboli, ma si finisce per indebolire anche quelle forti. E più è stiracchiata, più sono colpiti all’interno di ciascun’area i cittadini meno protetti. Il problema, invece, è lo sviluppo, senza il quale non c’è equità sociale. E lo sviluppo non è una questione soltanto locale.
La riforma federalista, si annuncia, darà alle regioni deboli nuove risorse. Queste, però, avranno efficacia solo se verranno a far parte di una politica nazionale di coesione economica e sociale, in caso contrario andranno ad alimentare il malaffare e il clientelismo, contro il Mezzogiorno. Di tale politica, purtroppo, non si vede traccia. Nei Trattati comunitari la coesione, invece, è una finalità dell’Unione, perché indispensabile allo sviluppo e alla competitività dell’intera Europa (i divari territoriali nel vecchio continente sono più del doppio rispetto agli USA). La politica europea di coesione ha, perciò, carattere strutturale e tende a orientare tutti i programmi e le azioni dell’Unione.
La politica europea di coesione ha, inoltre, buone gambe istituzionali. Mi riferisco, in particolare, al partenariato, cioè al rapporto relazionale tra l’Unione, i Governi nazionali e le Regioni, nella predisposizione dei programmi e nel loro monitoraggio, in base al principio di sussidiarietà. Con la revisione del titolo V del 2001, tale principio è stato recepito nella Costituzione la quale oggi, insisto nel sottolinearlo, dischiude una visione del rapporto tra le istituzioni e tra queste e i cittadini non più gerarchico e conflittuale ma paritario e relazionale. La sussidiarietà è il principio sul quale si fonda la moderna democrazia partecipativa, che consente ai cittadini di incidere in modo meno episodico e più efficace sul governo della cosa pubblica. E’ una potente leva dello sviluppo (il capitale sociale è importante quanto quello finanziario) e, nella forma di sussidiarietà orizzontale concorre, sia pure indirettamente, ad alimentare le risorse proprie dei comuni. La partecipazione è, in conclusione, la sola vera risposta a quella domanda di protezione che viene illusoriamente rivolta a capi carismatici e al localismo, minore o macro. E’ però indispensabile completare la revisione costituzionale del 2001 con l’istituzione del Senato delle Regioni e la modifica della normativa governatoriale sulla forma di governo delle regioni, normativa alla quale si è sino ad ora rassegnata anche la Regione sarda benché possa compiere scelte diverse, tali da restituire pienamente all’Autonomia il suo connotato democratico. 
Ho fatto cenno a questioni che, a mio parere, richiedono una svolta nella politica regionale. L’impegno dei partiti è, invece, rivolto esclusivamente a tessere alleanze, per vincere o per non perdere. Capisco la destra, l’attuale assetto governatoriale le va benissimo, se vince potrà governare a suo piacimento. Non capisco il PD. Non affrontando il tema della riforma istituzionale lascia che si scarichino esclusivamente sulla giunta e sulla maggioranza le responsabilità di questa legislatura difficile e molto criticata. Così non solo fa il gioco della destra, ma rinuncia a quello che dovrebbero essere il suo connotato principale: il coraggio dell’innovazione.

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