La sinistra o è alternativa o non è (e crolla)

16 Giugno 2009
1 Commento


Andrea Pubusa

Quali le ragioni del declino dei partiti socialisti in Europa? Sono sicuramente tante, ma forse alcune sono più visibili di altre. Il primo lo indicava, con la sua abituale acutezza, Luigi Pintor qualche anno fà, commentando una riunione dell’Internazionale socialista: una variegata congrega di personaggi, molti rispettabili, altri nemmeno questo, accomunati però dal non manifestare alcunché di alternativo rispetto al sistema capitalistico. Così icasticamente Pintor. Anzi in molti casi gestori di esso senza alcun intento correttivo, talvolta addirittura responsabili di esecrabili atti di violenza e di guerra. Insomma, in centocinquant’anni l’organizzazione creata per seppellire il capitalismo e formata da rivoluzionari o riformatori radicali di vario tipo è diventata un’innocua associazione di benpensanti, talora perfino di dubbia fede democratica. Voi direte: acqua sotto i ponti ne è passata, e certo la società capitalistica attuale è stata mitigata proprio dall’azione delle forze socialiste e democratiche, che l’hanno profondamente trasformata. Dunque, niente più rivoluzionari, bastano i rifomisti. Sarà. Ma negli ultimi 30 anni il capitalismo, col neoliberismo, slegatosi da vincoli e regole, ha riassunto il volto aggressivo d’un tempo, procedendo inesorabilmente in quella globalizzazione che Marx ed Engels hanno così mirabilmente scolpito nel Manifesto del 1848, creando intollerabili squilibri a livello mondiale e riaprendo la forbice della disuguagliana e dell’incertezza all’interno dei Paesi guida. L’impoverimento del terzo mondo, ma sopratutto la mancanza di ogni speranza conduce a migrazioni bibliche inarrestabili, che ricordano le invasioni barbariche del decadente impero romano. Il capitalismo senza regole poi strangola se stesso per l’ingordigia del guadagno. Viene meno il manager con resposabilità generali (i cc.dd. statisti aziendali) che si facevano carico di contemperare il profitto e la libertà d’impresa con i diritti sindacali e con gli interessi dei lavoratori, puntando così a creare una forte coesione sociale nell’interesse generale. L’epoca attuale ci mostra piuttosto il manager-pirana proteso ad affamare e precarizzare i lavoratori, a cancellare i sindacati e a massimizzare i profitti e i guadagni personali.
La crisi attuale è frutto di questo sistema cannibalesco, nel quale il capitalismo non solo fa strage dei lavoratori, ma si autodistrugge. travolgendo l’intera società. Ora, in presenza di una crisi di queste dimensioni, che ha visto inevitabilmente tornare in auge la guerra, era ed è necessario un disegno alternativo. Da questo punto di vista la vicenda degli States è emblematica. Kerry ha conteso la presidenza a Bush scendendo sul suo terreno con qualche temperamento. La sconfitta è stata devastante. Obama, invece, ha fatto l’alternativo su guerra, questioni economiche e sociali, diritti, ed ha così battuto prima la Clinton (vista come espressione di un notabiliato progressista) e poi il candidato repubblicano. Vittoria esaltante e cambio di pagina nella politica interna e in quella internazionale. Ci sono anche le ombre, ma il mutamento di passo è visibilissimo. Se prima i neocons (ricordate Kagan?) imputavano all’Europa un atteggiamenento debole verso il mondo arabo (Venere) a differenza della politica muscolare USA (Marte), ora le parti si sono invertite, e Obama fa della crisi l’occasione per un cambio di modello di sviluppo e di vita interno e nelle relazioni internazionali. L’apertura all’Iran e il discorsso storico de Il Cairo ne sono un esempio.
Orbene, rispetto ai gravi problemi dell’Europa e del mondo i socialisti d’Europa fanno come Karry con Bush. Subiscono l’egemonia della destra con qualche correttivo. E perdono. Occorre invece fare come Obama, tentare d’imporre un’egemonia di un progetto alternativo. E così sui migranti o si avanza una proposta radicale, stimolandone la lotta interna e organizzandoli in Europa (un tempo si sarebbe invocato l’internazionalismo proletario) oppure non rimane che la politica delle limitazioni e dei respingimenti, col razzismo dietro l’angolo. E questa è politica di destra. Nel campo del lavoro o si rilancia con forza la battaglia per i diritti dei lavoratori qui e fuori d’Europa, introducendo se del caso anche un protezionismo commisurato al costo della democrazia nei luoghi di lavoro in Europa contro il lavoro schiavile in altri paesi oppure le delocalizzazioni e l’abbassamento generale delle condizioni dei lavoratori sono inevitabili, al pari della fine del sindacato. O alla guerra si sostituisce lo spirito della Carta dell’ONU e lo si pratica senza tentennamenti oppure l’uso della forza diventa inevitabile.
Ora, se esaminiamo tutti questi gravi problemi dell’oggi, alla luce dei principi del socialismo, quello libertario con la riscoperta dell’internazionalismo marxiano, noi troviamo il bandolo della matassa con cui tessere una tela nuova e alternativa. Ed in questo modo si può pensare di contendere alla destra il consenso con politiche più civili e solidali, ma nel contempo più consone agli interessi dei lavoratori e dei ceti medi europei. La lotta per la democratizzazione formale e sostanziale è stata fin dagli albori l’arma vincente del socialismo. Deve trattarsi di politiche non massimaliste, ma con un alto tasso di alternatività rispetto a quelle della destra, anzi di radicale alternatività. Se, invece, si abbassa la guardia e ci si illude di temperare il liberismo, prevale anche nei lavoratori e nei ceti medi in rovina la parola d’ordine del “si salvi chi può”, del tutti contro tutti, delle soluzioni individuali e cannibalesche. Se si accetta l’idea dell’uomo solo al comando e dello stravolgimento dei sistemi elettorali, la destra vince. Anzi questa condiscendenza è già segno di vittoria della destra.
Insomma, occorre ben altro che la notabiliare politica delle socialidemocrazie europee, occorre riscoprire l’insopprimibile alternatività del socialismo e rilanciarlo con forza mediante un’articolazione dei principi in politiche concrete in ogni campo. E lavorare nel sociale per farne strumento di impegno e ottenere risultati. 
Da ultimo ma non per importanza, occorre riscoprire l’alternatività anche sul piano morale: l’idea socialista come tensione verso una società giusta e tendenzialmente egualitaria postula un forte rigore morale. La perdita di quella tensione conduce a condotte lassiste o addirittura illecite, che mentre sono tollerabili a destra (dove ognuno mira al massimo guadagno senza badare ai mezzi), non lo sono a sinistra per la manifesta contraddittorietà rispetto ai fini. Il personalismo, il carrierismo, l’amministrazione disinvolta, presto o tardi, portano sempre alla disfatta delle forze della sinistra (Craxi docet) poichè l’elettorato progressista in tutte le sue espressioni popolari, da quelle più radicali a quelle più composte, ha comunque e sempre nella questione morale il proprio comune denominatore. Questa forse è la riforma intellettuale e morale più difficile.  Ma senza di essa la ripresa sarà soltanto una chimera. Il voto europeo anche da questo punto di vista ci manda un segnale inequivocabile.

1 commento

  • 1 stefano mura
    16 Giugno 2009 - 15:52

    caro sito democraziaoggi,
    siamo incerti sul da fare in occasione di prossimo referendum. Potete dare qualche buon consiglio a chi come noi ha le idee confuse? Vi saremo molto grati elio vilma zara e stefanino

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