Prime riflessioni sul voto del 6 e 7 giugno

9 Giugno 2009
1 Commento


Andrea Raggio

Con due interventi di Andrea Raggio e Sergio Ravaioli iniziamo a pubblicare riflessioni e commenti sul voto, invitando i lettori a intervenire con le loro osservazioni critiche, adesive o integrative.

In Europa crescono le astensioni e avanza il centrodestra. Le sinistre socialdemocratiche registrano forti flessioni, con l’eccezione di Grecia, Svezia e Danimarca. Il voto riflette nell’insieme l’insoddisfazione diffusa per la debole risposta europea – Unione e governi nazionali – alla crisi globale. A offuscare la coscienza europeista hanno contribuito, inoltre, le chiusure nazionalistiche alimentate dai governi, quello di Berlusconi in testa, e la tendenza di questi a scaricare sull’Unione europea, e persino sul Parlamento di Strasburgo, le loro difficoltà. Infine sul voto europeo si sono scaricate le tensioni interne a ciascun paese.
Dal risultato elettorale viene l’ammonimento ad accelerare con decisione l’integrazione economica e politica dell’Europa, sia per contrastare gli effetti della crisi e aprire nuove vie dello sviluppo sia per salvaguardare la prospettiva europea. L’europeismo, infatti, è un processo e come tale non tollera battute d’arresto, o si va avanti o si torna indietro. Stiamo oggi pagando duramente le conseguenze dello stallo comunitario seguito alla mancata ratifica del Trattato Costituzionale.
La sterzata verso il centrodestra certamente non aiuta la ripresa della costruzione comunitaria. A maggior ragione la sinistra, tutta la sinistra, deve rapidamente recuperare il tempo perduto e riproporsi all’opinione pubblica europea e dei singoli paesi come il vero motore dell’integrazione, e perciò come forza alternativa al centrodestra e alla destra.
Il voto italiano rientra pienamente in questo quadro. Il fatto che le astensioni siano percentualmente inferiori ad altri paesi (non a tutti, per la verità) non attenua la severità del giudizio. Anche noi, infatti, rispetto alle precedenti prove elettorali abbiamo raggiunto il punto più basso. Dal punto di vista della politica interna, la sconfitta di Berlusconi, a mio parere, va ben di là dal dato percentuale. E’ vero, non colpisce tanto il centrodestra quanto l’uomo, la sua pretesa invincibilità. Ma proprio per questo può essere l’inizio di un declino che non potrà non influire positivamente sulla vita pubblica nazionale e sulla sua moralizzazione. Anche il risultato di sostanziale tenuta del PD, rispetto alle temute aspettative, non è molto diverso come perdita percentuale da quello delle socialdemocrazie europee. Dal 26% conseguito si può, però, ripartire con un certo ottimismo per realizzare quel partito nuovo che ancora non c’è. La sinistra radicale esce ancora una volta sconfitta. Mi auguro che non si sottragga a una riflessione autocritica volta a favorire una convergenza delle forze democratiche e progressiste.
Per quanto riguarda la Sardegna, infine, il crollo della percentuale dei votanti oltre ogni pessimistica previsione non dovrebbe, a ben vedere, meravigliarci. Agli elettori è stato detto con insistenza che l’unico interesse della Sardegna in queste elezioni era la sua rappresentanza a Strasburgo ma nello stesso tempo è stato anche spiegato che questo risultato era impossibile a causa della legge elettorale. Perché sarebbero dovuti andare a votare? Fortunatamente un buon 40% di elettori ha ragionato con la propria testa ed ha concluso che si doveva votare innanzi tutto per l’Europa e poi per un sardo in grado d’essere un deputato europeo a pieno titolo e non soltanto il rappresentante della Sardegna in quel Parlamento e che un voto compatto e accorto poteva sfidare l’ingiusta legge elettorale. Un importante risultato è quello conseguito dal PD, nonostante le traversie di questo partito nell’isola. Penso che il superamento, in quest’occasione, delle contrapposizioni interne abbia giovato così come un aiuto indiretto è venuto da Berlusconi che in materia di bugie, e non solo, nell’isola ne ha combinate troppe. Dopo questo risultato il PD sardo comincerà a vivere e a fare politica? E’ certamente auspicabile, ma i timori non mancano, anche perché un Franceschini sardo ancora non si vede.

1 commento

  • 1 M.P.
    9 Giugno 2009 - 11:56

    Elettori 1.473.180
    VOTI VALIDI 551.650 37,45 %
    PD 196.396 (35,60) 13,33 %
    Pdl 202,145 (36,64) 13,72 %

    Su 10 elettori 1,3 ha votato Pdl, 1,3 PD e 1,1 si è frammentato in altri partiti o formazioni.
    Come dice Ravaioli il PD, senza l’assillo di Soru, tiene bene comunque.
    L’aspetto eclatante del voto in Sardegna resta però il fatto che SU 10 ELETTORI 6,3 NON HANNO ESPRESSO UN VOTO VALIDO.
    UNA ENORMITA’, 6,3 su 10, CHE MERAVIGLIA E COME, ricordando che gli elettori sardi sono sempre stati fra i più scrupolosi, puntuali e presenti al voto, in ogni occasione.

    FORTUNATAMENTE OLTRE IL 60 % DEGLI ELETTORI HA RAGIONATO CON LA PROPRIA TESTA, ed ha concluso che si doveva innanzitutto dare un segnale chiaro a tutti i politici, a quelli sardi in primis, che l’emergenza è il rispetto della DIGNITA’ DEI SARDI. Dopo viene l’Europa.

    Chi si spira a ideali e valori che mettono al centro il popolo, non può accusarlo di non avere testa se non ne condivide le scelte, ma deve cercare di capirne le ragioni.

    P.S. Dopo un Francescone/Soru forse bisognerà partire dai SARDI, mettendo INSIEME tante persone di buona volontà; e questo in Sardegna probabilmente si potrebbe fare anche senza la figura del GRANDE TRASCINATORE.

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