Gianna Lai
Oggi post domenicale sulla storia di Carbonia dal 1° settembre 2019.
Ma il fatto più rilevante dello sciopero fu, a Carbonia, il disarmo non violento e generalizzato, della forza pubblica da parte dei manifestanti, come racconta Renato Mistroni, molti di loro persuasi che l’attentato a Togliatti fosse una provocazione per ricacciare il movimento nella illegalità: unica difesa, dunque, l’insurrezione popolare. Ed era una convinzione che iniziava ad emergere tra i militanti della sinistra, durante le assemblee e i comizi, forse a seguito delle notizie sui movimenti popolari sempre crescenti nel resto d’Italia, gli operai a presidiare la miniera e gli uffici della Carbosarda e il municipio, sui quali sventolavano le bandiere rosse. Il 15 e il 16 ancora scioperi in miniera e manifestazioni in città, e comizi improvvisati nelle piazze dei vari quartieri e cortei affollati in formazione e ricomposizione permanente. Per due giorni poliziotti e carabinieri, chiusi nelle caserme, a invocare rinforzi e incapaci di intervenire contro la massiccia pressione della folla. Il 16 luglio, proprio mentre la città si apprestava ad impedire l’arrivo di nuovi contingenti di militari, giunge da Roma la decisione della CGIL di porre fine alla protesta, si ché fu immediatamente necessario consegnare alla forza pubblica le armi, e convincere gli operai a rientrare in miniera. Alle ore 12 del 16 luglio “la CGIL aveva proclamato la cessazione dello sciopero, imponendo questa sua decisione a una base piuttosto riottosa”, ricorda Giovanni De Luna in “La Repubblica inquieta”, e a Carbonia Renato Mistroni, “Quando arrivò l’ordine di smettere, le armi furono con immediatezza restituite a polizia e carabinieri, noi ne imponemmo direttamente la consegna a chi le teneva nascoste”, la piazza Roma immediatamente occupata dalle forze dell’ordine,6 concentrate in città da tutto il territorio. Centinaia di carabinieri e poliziotti armati a presidiare strade e cantieri con le autoblindo, rafforzati il nucleo di carabinieri della caserma di Sirai, di via Fertilia e di via Gramsci e dei poliziotti del commissariato, i centri abitati intorno più tranquilli, non avendo conosciuto la mobilitazione di Carbonia e del Sulcis. Così partiti e sindacati organizzano le assemblee, dichiarando la fine dello sciopero: nei dopolavoro cittadini, estenuanti e lunghe discussioni, alla presenza di Renzo Laconi, per convincere gli operai e, insieme, mantenerne la fiducia, lo ricorda anche la prof. Di Felice, “Laconi seguiva con viva preoccupazione l’evolversi della situazione” sapendo, i dirigenti, come rivolgersi agli operai. Dice infatti Giovanni De Luna, “quel momento …. fu quello in cui il ruolo pedagogico del PCI, nei confronti della violenza politica, risaltò con particolare evidenza”. E Renzo Martinelli “I quadri dirigenti del partito nuovo dimostrano ampiamente….di saper arginare le reazioni più pericolose, reggendo efficacemente, nel complesso, una situazione assai difficile. La maturità politica dei segretari regionali e di federazione è, in questo senso, uno dei risultati più importanti cui perviene il partito nuovo nel suo processo di costruzione” .
In effetti, a Carbonia, non tutti ripresero subito a lavorare, ci volle una vera opera di persuasione, “la rabbia era enorme, così la maggior parte degli operai rientrò in miniera solo il 19 luglio”, conclude Mistroni e, non essendoci stati arresti durante i disordini, proprio adesso la polizia iniziava ad eseguire i primi 15 contro lavoratori e dirigenti delle leghe: 8 arresti e 89 denunce contro dirigenti di partito e sindacalisti. A Carbonia iniziano subito le “provocazioni poliziesche”, denuncia L’Unità, i mezzi blindati stazionano in città, mentre vengono arrestati 15 tra dirigenti sindacali e rappresentanti di Commissioni interne, 8 subito rilasciati, fin dal 22 luglio. E le trattative con il prefetto per il rilascio degli altri, non impediscono che, nel mentre, “vengano ancora interrogati e trattenuti in questura decine di lavoratori che, con minacce e intimidazioni, dovrebbero confermare piani insurrezionali” con, a capo, i dirigenti del movimento operaio. “E poi perquisizioni continue alla ricerca di armi, mentre non si denuncia Pomata che il 14 ha sparato contro la folla”, su L’Unità del 23 e del 25 luglio. In preparazione degli arresti di fine agosto, la polizia perquisisce molte abitazioni alla ricerca di armi e interroga decine di persone e, mentre Pomata, il missino che ha sparato, viene subito rilasciato, arrestati nei giorni seguenti anche i militanti comunisti intervenuti nel contrasto.
Altre astensioni dal lavoro si resero necessarie, quindi, per ottenere la liberazione degli operai, fino a quando il prefetto non ebbe assicurato che l’autorità giudiziaria si sarebbe astenuta dal prendere provvedimenti contro i partecipanti alla protesta e che sarebbero state rilasciate le persone non incriminate per “delitti comuni”, secondo quanto stabilito dal ministro degli interni Scelba, nei giorni immediatamente successivi l’attentato. Così annunciava L’Unità del 19 luglio, “48 ore di lotta di tutto il popolo italiano” e, sulle rappresaglie contro i minatori del bacino, “terminato domenica 18 alle 12 lo sciopero del bacino minerario, dopo un’imponente assemblea all’ENAL sull’attentato, uno sciopero più lungo di quello proclamato nel resto d’Italia, dopo aver preso atto delle dichiarazioni del governo, secondo le quali non saranno esercitate rappresaglie contro i lavoratori che hanno partecipato alle manifestazioni”.
E se gli operai di Carbonia, come quelli del resto d’Italia, continuano tuttavia a mantenere una grande diffidenza nei confronti del governo, sui documenti prefettizi di Cagliari, poco benevola in verità, la considerazione rispetto ai protagonisti del Sulcis e al loro comportamento durante lo sciopero. Leggiamo nella relazione del questore sul mese di luglio, in quella parte dedicata specificamnete a Carbonia, che c’erano state in miniera, “a causa della crisi alimentare, un susseguirsi di astensioni dal lavoro, culminate nello sciopero di protesta per l’attentato a Togliatti, … luttuosi gli incidenti seguiti”. Ne traeva spunto l’autorità di pubblica sicurezza per inquadrare, a modo suo, l’insieme degli eventi: “gli scioperi per la rivalutazione dei salari, organizzati dalla Camera del lavoro, hanno rivelato l’esistenza di un piano prestabilito di campagna denigratoria, … e motivo di odio tra le classi sociali e tra esponenti politici”. Non diverso il tenore nelle note del prefetto, Carbonia al centro della relazione del 31 luglio, “Alle 13 del 14 luglio la radio dette la notizia dell’attentato, mentre erano già in sciopero 500 salinieri della Conti Vecchi, i dipendenti del Comitato italiano petroli, i 500 dipendenti Italcementi e, altresì, i ferrovieri. Ad Iglesias in sciopero i 500 dipendenti della Piombo - zincifera, a Carbonia le solite agitazioni organizzate da quella Camera del lavoro, ora per il licenziamento di qualche capo servizio, ora per protestare contro il caro vita, gli organi di polizia del posto in stato di allarme. Bloccando la manifestazione dei salinieri il centro città [di Cagliari, n.d.a.], immediato l’intervento della forza pubblica. Il 15 sciopero generale, i convogli ferroviari delle ferrovie complementari partono guidati da personale volontario, la polizia presidia edifici pubblici e privati, aziende e opifici, per garantire libertà di lavoro. Nel pomeriggio pervengono notizie da Carbonia di incidenti piuttosto gravi, devastazione di sedi, comizi non autorizzati. Ho chiesto rinforzi all’Alto Commissario per la necessità di reprimere i disordini in atto. Invio a Carbonia di un battaglione mobile carabinieri, rinforzati con 4 autoblindo. Il 16 lo sciopero terminava in tutta la provincia. ….. Ho avuto l’impressione che fra i dimostranti fosse viva l’attesa di un movimento insurrezionale, ma che i capi non fossero in possesso di un preciso piano d’azione. L’attentato, un pretesto per scendere in piazza…” E al paragrafo Opinione pubblica: “attenatato esecrato dalla stampa e dall’opinione pubblica, ma ugualmente esecrate son state le violenze che si sono verificate a Carbonia. La denuncia dei responsabili, quasi tutti esponenti sindacali, provoca apprensione e sbandamento nel luogo e nell’ambito degli organi che essi rappresentano. Avvenuto l’arresto dei responsabili degli incidenti, è cessata l’agitazione di fronte all’atteggiamento dell’autorità”.
1 commento
1 Aladinpensiero
13 Febbraio 2022 - 09:42
Anche su aladinpensiero online: http://www.aladinpensiero.it/?p=130842
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