Gianna Lai
La storia a puntate domenicali di Carbonia prosegue ininterrotta dal 1° settembre 2019.
“I toni si fanno più truculenti col 1948”, scrive lo storico Paolo Spriano in Le passioni di un ventennio. “Si vuole incutere terrore nei timorati di Dio puntando sulla ferocia del capo comunista, sulle sue intenzioni di vendetta, di strage”. Togliatti l’oggetto di quella “campagna d’odio, …. incredibilmente accesa; mirata, come si dice oggi. E’, comunque, il 1948; sono gli anni di forti scontri sociali, nei quali la polizia spara così spesso contro lavoratori in sciopero e braccianti e contadini pacifici che occupano i fondi. Il solco si scava anche tra i protagonisti della vita politica, tra De Gasperi e Togliatti, tra Saragat e Togliatti”: quest’ultimo, “deciso, da un lato, a perseguire una politica di alleanze, a non farsi mettere fuori legge, e non varcare certi limiti troppo rischiosi, dall’altro, impegnato ad essere il più solerte difensore della politica estera sovietica”. Alle parole di Spriano fa eco lo storico Renzo Martinelli nella sua “Storia del Partito comunista italiano. Il Partito nuovo dalla Liberazione al 18 aprile”, ricordando come Togliatti avesse da poco, durante il VI Congresso, riaffermato “la prospettiva democratica e la legittimità di una ricerca della via italiana”.
Lo scontro politico molto forte dopo 18 aprile, inquadra dunque la scena dell’attentato, il 14 luglio, che “suscitò un vastissimo movimento in tutto il paese; solo l’intervento del PCI e della CGIL valsero a riportare la calma nei luoghi di lavoro, ma la repressione che ne seguì fu gravissima per il movimento operaio italiano e si ripercosse a livello sindacale con l’uscita della corrente democristiana dalla CGIL”. E vi sarà una pesante repressione di polizia e giudiziaria, più di 92.000 lavoratori, di cui 73.000 comunisti, arrestati e rinviati a giudizio, 19.000 i condannati a pene varie: il fossato scavato non sarebbe stato colmato facilmente, ….. i veri anni bui della guerra fredda erano appena cominciati e sarebbero durati almeno fino al 1953″. E, ancora su Spriano, Palmiro Togliatti, in una lettera a D’Onofrio, avrebbe ricordato come De Gasperi, “dopo il 14 luglio, non ebbe né una parola né un gesto di umana comprensione per i lavoratori in cui spontaneamente era esplosa una giusta indignazione. Volle che fossero persino esclusi dalla scarna amnistia del 1953.
“Vile attentato a Togliatti”, titolava l’edizione straordinaria dell’Unità di quel giorno: dice Giorgio Bocca, citato in Giorgio Candeloro e in Paolo Spriano, “L’Italia operaia e comunista si muove senza attendere le direttive del partito. Ed è uno sciopero mai visto nella storia italiana, uno sciopero che sospende l’autorità dello Stato nelle maggiori città italiane, aprendo un interregno in cui tutto può accadere”. Alla CGIL non restò che “ratificare il fatto compiuto, proclamando uno sciopero generale di 48 ore”. Veri e propri tentativi insurrezionali, come dice ancora Giorgio Candeloro, Genova, Milano, Torino, Livorno, Siena. “Ma non ci fu nessun piano K”, ancora Spriano, piuttosto “il gruppo dirigente comunista …..svolge, qua più efficacemente là meno, un identico ruolo: di bloccare ogni possibile passaggio ad una insurrezione vera e propria. Tiene saldamente nelle mani la guida del partito e delle masse che ad esso si affidano, con il 15 e sopratutto il 16 luglio”.
E Giovanni De Luna, ” l’Italia intera tratteneva il fiato mentre si riaffacciava sinistro lo spettro della guerra civile; per tutti fu subito chiaro che, questa volta,…..si era di fronte a un salto qualitativo dello scontro politico”. E cita, lo storico De Luna, la testimoninaza di Maurizio Ferrara, tra i più stretti collaboratori di Togliatti, “scoppiò dapertutto, prima ancora che qualcuno avesse avuto la possibilità di dare un ordine, uno sciopero generale di proporzioni ed energie mai vedute”, mentre migliaia di dimostranti sfilano davanti al cancello del Policlinico. Torino paralizzata, gli stabilimenti Fiat presidiati dagli operai, “issata sul tetto…degli stabilimenti la bandiera rossa con falce e martello”, la polizia consegnata nelle caserme, mentre “nelle zone in cui si era avuta una più massiccia presenza di partigiani garibaldini e comunisti, sembravano tornare i mesi della resistenza, con la ricostruzione di brigate e distaccamenti… 4000 partigiani armati confluirono su Casale Monferrato, occupandola”. E a Genova, ancora nella descrizione dello storico, le immagini forti di quell’evento, “le tre giornate”: l’intera città bloccata dalle barricate, sotto il controllo degli operai, “assalite e conquistate cinque autoblindo della Celere e i loro equipaggi, conflitti a fuoco che impediscono alle forze dell’ordine di avanzare, la polizia immobilizzata”: 3 morti e 40 feriti il bilancio, mentre il questore telefona all’ANPI - mandatemi dei partigiani a difendere la questura, son qui isolato -” Proclamato il giorno dopo lo stato d’assedio, Velio Spano inviato dalla direzione del partito tra gli operai della città. Così a Milano, occupazione delle fabbriche e folla enorme in piazza, “la Volante Rossa” libera da San Vittore 15 operai, membri delle commissioni interne, precedentemente arrestati. E poi Bari, Napoli e Cagliari.
E poi Carbonia, le testimonianze del sindaco Mistroni e di alcuni operai comunisti, compnenti di Commissione interna e del servizio d’ordine durante quelle manifestazioni, e poi gli articoli de l’Unità di quei giorni, in particolare del 19 luglio, e le Relazioni del questore al prefetto. Subito dopo l’annuncio della radio, i cittadini si riversano nelle strade per raggiungere la piazza Roma, incontrandosi con i minatori che, a migliaia, abbandonavano intanto i pozzi. Togliatti è grave e la popolazione di Carbonia vuole esprimere il suo dolore e la sua indignazione a fianco dei lavoratori di tutta l’Italia. Inizia in questo modo, senza lasciare il tempo alla Camera del lavoro di proclamarlo, lo sciopero generale che avrebbe paralizzato l’intero bacino carbonifero dal 14 al 17-18 luglio 1948. Il sindaco comunista Renato Mistroni, il segretario della Camera del Lavoro Antonio Selliti, il segretario lussiano del Psd’az Silvio Lecca, anch’egli dirigente della Camera del lavoro, i dirigenti del PCI e del PSI denunciano nei loro discorsi il clima di intimidazione in cui si colloca l’attentato: subito dopo la massa dà vita ad un corteo spontaneo, man man sempre più affollato e numeroso, di donne e di uomini che, al suo passaggio, abbandonano le abitazioni per unirsi ai manifestanti. La polizia, agli ordini del commissario Pirrone, segue la folla, senza intervenire, fino ai palazzoni di Corso Iglesias e qui la tiene d’occhio, mentre alcuni agenti si schierano a protezione della sede del Movimento sociale. Il missino Sebastiano Pomata, che aveva esploso provocatoriamente un colpo di pistola in aria, viene prontamente isolato dagli operai comunisti del servizio d’ordine e consegnato alla polizia, ma subito dopo scoppiano i primi incidenti: un gruppo di dimostranti attacca le serrande della sezione dei neofasciti, invadendola e danneggiandone le seppellettili. Secondo la testimonianza ddegli operai comunisti Vincenzo Cutaia e Giuseppe Atzori, tale Cardella tra i provocatori che danno il via al saccheggio. E poiché è difficile controllare una folla di così vaste proporzioni, “una marea di gente, ricorda Renato Mistroni, era impossibile isolarli, i provocatori”, non si poterono impedire, neppure nei giorni seguenti, altri assalti contro le sedi del PSLI, in via Nuoro e delle ACLI in via Cagliari, a Bacu Abis il ferimento del consultore democristiano Luigi Fiorito, ancora presso le ACLI.
Come nel resto d’Italia, “a fare le spese di quella rabbia istintiva e spontanea le sedi dei partito e delle organizzazioni dello ’schieramento clerico-fascista’, la DC, il MSI, le ACLI”, ricorda ancora lo storico Giovanni De Luna . Ma a Carbonia vi si aggiungeva una questione seria, la provocazione da parte di infiltrati, come precisa Renato Mistroni nell’intervista, usata per far precipitare il PCI nell’illegalità. Che, sempre molto guardingo, in particolare nei confronti dei siciliani, spesso usati in tal senso, ne confinava gli iscritti in sezione apposita, onde escluderli dalla conoscenza diretta dei programmi del partito.
La forza pubblica posta a presidiare piazze e strade, in realtà non è in grado, essa stessa, di tenere l’ordine pubblico, fino a quando non arrivano massicci i rinforzi in città, mentre “i minatori son giunti già a presidiare miniere ed uffici e, in vista di una possibile concentrazione in città di altri corpi armati, già ci preparavamo a sbarrare gli ingressi di Carbonia, scaricando nei punti strategici quintali di carbone. Il commissariato stesso ormai bloccato nei suoi uffici, tutte le sedi dei partiti, compresa qualle della DC, in mano nostra, di noi comunisti, dei socialisti e dei sardisti socialisti, il potere a Carbonia era in mano nostra”, conclude il sindaco Mistroni, mentre dalla penisola continuano a giungere in città notizie e indicazioni sul da farsi, sia dei gruppi dirigenti di partito, sia dei segretari delle sezioni che dei responsabili delle leghe.
1 commento
1 Aladinpensiero
6 Febbraio 2022 - 09:07
Anche su aladinpensiero online: http://www.aladinpensiero.it/?p=130713
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