Massimo Marini
A pochi giorni dal voto alle europee bisogna riconoscere, al di là di come politicamente la si pensi, che Dario Franceschini ha compiuto un mezzo miracolo. In soli tre mesi è riuscito a ridare un’anima, o almeno a trasmettere una parvenza di solidità partitica, al progetto del Partito Democratico. E’ riuscito a farlo in un modo apparentemente semplice: mettendo la museruola agli estremismi centristi; riprendendo ad affrontare Silvio Berlusconi, mettendo fine a quell’assurdo teatrino messo in piedi da Veltroni che pretendeva di fare opposizione a prescindere da Berlusconi, come se ci trovassimo in Inghilterra o in Svezia; parlando di temi concreti, avanzando proposte, promuovendo iniziative; denunciando, da vera opposizione, le distorsioni che questa nuova era berlusconiana sta infliggendo alla democrazia italiana. E’ riuscito a farlo sfruttando appieno le occasioni che le circostanze e i media gli hanno presentato, utilizzando un linguaggio netto e chiaro, privo di quell’irritante “ma-anchismo” che ha contraddistinto il partito liquido/liquefatto di Veltroni. L’imminenza delle elezioni europee ha agevolato lievemente il suo lavoro, probabilmente perché con il “ricatto” dell’appuntamento elettorale è riuscito ad ottenere “carta bianca” (come d’altronde aveva avuto Veltroni per le politiche) dalla dirigenza, dai cardinali che a colpi di virgole e punti e virgole cercano di trascinare dalla loro parte, diessina o diellina che sia, il baricentro del PD. E’ proprio durante la conferenza stampa televisiva del 1 giugno su rai 3 per le elezioni europee che Franceschini ha riassunto in modo inequivocabile il nuovo corso del Partito Democratico: un Partito post-ideologico di area riformista che parla di stato sociale, ambiente, economia, lavoro, istruzione, proponendo soluzioni finalmente “di parte” come ammortizzatori sociali, sviluppo sostenibile, centralità della politica rispetto all’economia e soprattutto alla finanza, centralità dell’istruzione e della ricerca in un Paese che vuole dirsi competitivo nello scenario non solo europeo, ma globale. Lo ha fatto parlando di Fiat e di banche, di assegni per chi non tutelato perde il posto di lavoro e di ricerca, di sostegno alle PMI e di energie rinnovabili, rifiutando il nucleare, denunciando con forza il criminale immobilismo dell’attuale Governo davanti alla crisi, denunciando con chiarezza, tanto da provocare la piccata reazione di una giornalista, l’assenza di un giornalismo degno di questo nome. E’ vero naturalmente che in campagna elettorale è facile “fare promesse” e proporre programmi e proposte suggestive, così come è vero che alcune posizioni, esistenti dai tempi dell’Ulivo, si sono sbiadite con l’esperienza governativa del 2006-2008. E’ vero anche che ancora tante sono le ombre che ruotano attorno al PD, specie per quanto concerne il rapporto con la base, ancora farraginoso, pieno di tentazioni restauratrici. Una restaurazione a volte mascherata da primarie assolutamente pilotate e di facciata, come quelle che hanno portato alla guida del Partito Veltroni e del movimento giovanile Raciti, a volte più subdola, come si può trovare nei nuovi regolamenti sui tesseramenti, con gli assurdi vincoli residenziali imposti, e sulla regolamentazione delle attività giovanili del Partito, con l’inserimento di limiti di età che favoriscono lo status quo e la fossilizzazione delle “nuove proposte”. La parabola della Serracchiani è un emblema di questo modo di aprire e subito richiudere, dato che è stata abilmente disinnescata con questa candidatura europea. Però è anche vero che finalmente si intravede un percorso definito e solido sul quale è possibile costruire, discutere confrontarsi in quello che non sarà mai un partito comunista, né per radicalità laicista né per propensione di massa, ma che può diventare un partito progressista nuovo, l’unico in grado di cambiare il corso declinante che sembra aver imboccato il nostro Paese. Ora non rimane che vedere se verrà superata, e di quanto, la fatidica soglia del 25% e come si svolgerà la dialettica precongressuale, lontano da campagne elettorali che facilitano la comunicazione e la compattezza. Da ottobre sarà Bersani a guidare il Partito, entro l’anno si deciderà il futuro del PD, e se vogliamo, il futuro dell’Italia.
2 commenti
1 Sergio Ravaioli
5 Giugno 2009 - 17:01
Scommetto che il PD raggiungerà e supererà l’obbiettivo del 27%. E scommetto che Berlusconi resterà abbondantemente al disotto dell’obbiettivo del 40% che imprudentemente e presuntuosamente si è dato.
Come vado prevedendo da tempi non sospetti:
https://www.democraziaoggi.it/?p=598#more-598
il salto da pifferaio a grande direttore d’orchestra è troppo alto per il vecchio Berlusconi (per quel ruolo sta studiando il giovanotto Fini).
Il Berlusca non riesce a ragionare come uomo di Stato ma sempre come capo di una fazione che ha bisogno del nemico per sopravvivere. Franceschini è stato bravo con il suo contropiede!
In Sardegna prevedo che il risultato sarà per il PDL ancora peggiore che nel resto d’Italia. Nell’isola di Berlusconiani, come l’hanno dipinta i giornali vicini a Berlusconi in sintonia con quelli vicini a Soru, il PDL ha preso a febbraio il 30,2% dei voti validi, ben lonano dall’obbiettivo attuale del40%. I veri vincitori delle elezioni in Sardegna sono stati i partiti intermedi: UDC, Riformatori, PSd’Az e IDV. Verità che i partiti che hanno bisogno del nemico per sopravvivere hanno cercato di nascondere, con un certo successo.
E questa volta non ci saranno, a favorire il PDL, i voti e le astensioni dei tanti che volevano liberarsi di Soru!
Ancora 48 ore e sapremo se avrò vinto o perso la scommessa!
2 Massimo Marini
5 Giugno 2009 - 17:50
In teoria il 30 sarebbe il livello minimo per un Partito come il PD, ma di questi tempi ci si accontenterebbe di stare sopra il 25. Il “successo” si colloca sopra il 33, il clamoroso insuccesso sotto il 25. Questi sono i paletti. E’ probabile che “la verità stia nel mezzo” come spesso accade e che quindi il 27 sia effettivamente il risultato più plausibile. Staremo a vedere.
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