Gianna Lai
Oggi domenica nuovo post settimanale sulla storia di Carbonia, dal 1° settembre 2019.
Ed in effetti, ciò che i dirigenti comunisti denunciano da tempo in miniera, ha immediatamente delle consistenti riprove in città, la Camera del lavoro già impegnata ad organizzare i primi gruppi di minatori sulcitani, pronti a emigrare in Belgio1). L’Unità 26 giugno 1948. Perché ormai precipita la situazione: fin dai primi giorni di luglio, 147.000 tonnellate di carbone giacciono nel porto di Genova e a S. Antioco e nei piazzali della miniera, mettendo seriamente a repentaglio l’incolumità dei lavoratori, per i continui processi di autocombustione, gravemente determinati dalle alte temperature estive, come denuncia L’Unità dell’8 e del 14 luglio 1948. E intanto l’ingegner Taddei annuncia che, a Bacu Abis, il prezzo di estrazione del minerale risulta ormai doppio rispetto a quello di vendita, per l’enorme quantità di sterile, per essere i filoni ormai poco produttivi e per la trascuratezza nella cernita in laveria: senza vero risanamento le gallerie sarebbero state chiuse, con una perdita di valore di oltre un miliardo di lire.
Riprendono quindi le agitazioni fin dal 2 luglio, a Carbonia, in concomitanza con le proteste indette sull’intero territorio nazionale, mezza giornata di sciopero nei cantieri e assemblee, facendosi difficile il futuro dei lavoratori per lo sblocco dei licenziamenti e per il prossimo piano Fanfani, che prevede la decurtazione delle 200 ore. E combattono, gli operai, contro il rifiuto della Confindustria di aprire le trattative sui grandi temi del lavoro e dell’occupazione; nel settore minerario, contro lo smantellamento dei cantieri e per ribadire gli accordi già raggiunti, colpite dai licenziamenti di massa le miniere del Sulcis e del Valdarno in Toscana. Proprio mentre si vogliono aumentare, in città, i fitti degli alloggi, delle tariffe dell’energia elettrica e diminuire l’assegnazione di carbone agli operai. Questo il modo per contenere le spese e sanare il bilancio aziendale, denuncia il sindacato che, dopo una breve tregua, prepara nuove agitazioni d’intesa con le Commissioni interne, piuttosto mettendo in primo piano, così nel resto d’Italia, la rivalutazione dei salari, come leggiamo nell’articolo a firma di Pietro Cocco su L’Unità del 7 luglio. E chiedono i minatori licenziati che, alle varie imprese private, appaltatrici dei lavori SMCS a Carbonia e nel territorio, vengano imposte assunzioni attraverso l’Ufficio di collocamento, mentre il sindacato deve continuamente intervenire, e i lavoratori continuare a scioperare, contro il calo pauroso dei salari, a seguito della solita artificiosa applicazione dei cottimi da parte della direzione, come denuncia L’Unità del 30 luglio. E scioperare contro lo “sfruttamento schiavistico dei minatori trasferiti alla azienda agraria e destinati alla costruzione della strada di Perdaxius: paga bassissima, 650 lire giornaliere, sempre gravi le sanzioni, dalle multe al licenziamento”, in caso di qualunque forma di protesta, come aveva ricordato, nei giorni precedenti, L’Unità 9 luglio.
Giunge ora, l’offesa alla dignità del lavoro, non solo dall’azienda ma anche dalle forze dell’ordine, sopratutto nella persona del nuovo commissario di Pubblica sicurezza, il famigerato Pirrone che (fin dai primi mesi del ‘48) sostituisce il commissario Della Valle: gli operai non possono criticare la politica nazionale, il dirigente della lega minatori, Parboni, “chiamato in questura e diffidato dall’attaccare ulteriormente i ministri democristiani e il governo”, come si legge sull’Unità dell’11 luglio. Mentre restano molto tesi i rapporti, in città, tra sinistre e democristiani i quali, senza alcuna remora, arrivano fino a denunciare direttamente i lavoratori e i loro rappresentanti all’autorità giudiziaria, anche in occasione di futili contrasti. Schierati con l’azienda, e in forte dissenso per il modo e le forme degli scioperi in miniera, sopratutto durante il rinnovo delle rappresentanze nelle Commissioni interne, dove essi continuano ad essere fortemente minoritari. Schierati con i dirigenti, l’amministratore delegato Stefano Chieffi, appena eletto nelle loro liste in parlamento e pronto a modificare i suoi atteggiamenti, rispetto alla difesa delle miniere, propugnata durante i governi di unità nazionale, ora piuttosto verso l’abbandono del settore, propugnato dalla nuova maggioranza governativa. Schierati con la polizia locale e il questore, anche durante i duri interventi di piazza, già denunciati in Senato da Velio Spano, dopo una campagna elettorale tutta giocata sull’anticomunismo e contro la sinistra mangiapreti. Come del resto avviene in tutta la Sardegna dove, nel mentre, ricorda Antonello Mattone, “il 4 luglio 1948, si spacca il Psd’az: Lussu fonda il Partito Sardo d’Azione Socialista che, seppure spesso in polemica con i socialisti e i comunisti, affianca ai partiti operai, nella lotta contro il ‘cancellierato’ democristiano, la tradizione autonomista e contadina del sardismo popolare”. E poi a livello nazionale, frutto della stessa politica messa in atto per emarginare la sinistra, in preparazione la rottura della CGIL se, come ricorda Sergio Turone, già “l’11 giugno Giulio Pastore firmò un Patto di Alleanza coi rappresentanti sindacali del PRI e del PSLI, alla presenza del vice segretario DC Paolo Emilio Taviani”. Proprio quando, “il tradizionale interclassismo cattolico assumeva di fatto una colorazione classista borghese, nel partito condizionato dal voto conservatore”, subito dopo l’esito delle politiche. Dando origine, il giorno dopo, ad una corrente della CGIL, formata da democristiani, repubblicani e PSLI.
Certo, come dice Bruno Trentin, a proposito della crisi del sindacato unitario, nella CGIL degli anni ‘44-’48, “pesava una concezione della democrazia interna e quindi dell’autonomia del sindacato, che si identificava ancora con una sorta di mediazione fra le diverse correnti partitiche [comunista, socialista, democristiana]…. Le elezioni di Commissione interna su liste predeterminate dalle correnti, il monopolio delle tre correnti partitiche sulla promozione dei quadri in una organizzazione in cui più del 50% degli aderenti erano senza partito, sono fatti che esprimevano una concezione ancora angusta dell’autonomia e della democrazia sindacale”. Ed è proprio in base al gioco delle correnti, che “il sindacalismo cattolico era contemporaneamente nella CGIL e fuori”, conclude il dirigente sindacale, citato in Sergio Turone, Storia del sindacato italiano. Così se la centralizzazione del sindacato, come abbiamo già visto, era valsa ad assicurare importanti risultati normativi, riconoscimento delle Commissioni interne, scala mobile, assegni familiari, imponibile di manodopera, minimi di paga, e una serie di limitazioni in materia di licenziamenti, e il blocco degli affitti e le commissioni provinciali per l’equo canone nei fitti rustici, e il lodo De Gasperi per la mezzadria, la politica liberista del governo avrebbe poi imposto il ripristino della sovranità dell’impresa privata, ……cancellando progressivamente ogni forma di partecipazione della classe lavoratrice alle scelte politiche e alla gestione della produzione. E quindi, “sblocco dei licenziamenti, reintroduzione del cottimo e limitazione dei Consigli di gestione a funzioni puramente consultive e assistenziali ,….. basse le retribuzioni …., caduta ormai la possibilità di incidere, mediante le leve del prelievo fiscale, sulla redistribuzione del reddito”. In sintesi, una volta avviata la ricostruzione “a spese dei lavoratori”, non hanno più senso, per le nuove maggioranze parlamentari, i governi di unità nazionale, nè la stessa unità sindacale, già messa a repentaglio dal gioco delle correnti. Il Paese tuttavia ancora travolto da una pesante crisi alimentare, in quel luglio del 1948, a detta dello stesso questore di Cagliari particolarmente grave che, nella sua Relazione del 27 del mese, avrebbe invocato, come unico modo per superarla, gli aiuti all’Italia provenienti dal piano Marshall. Essendo anche necessario contrastare, allo stesso tempo, le “organizzazioni sindacali della corrente estrema”, in particolare di fronte ai continui scioperi e alle continue proteste operaie contro la crisi. E critica risulta la situazione della SMCS, anche secondo la Camera di Commercio di Cagliari, sempre in quel luglio1948, in relazione sopratutto alla vendita dei prodotti e “alla condizione economica della popolazione, aggravata dall’aumento del prezzo del pane e della pasta, a seguito dell’abolizione del prezzo politico, nonostante sia stata introdotta l’indennità di caro pane”.
Né, avrebbe di per sé migliorato le cose, rispetto ai problemi dei lavoratori sardi, l’insediamento il 10 luglio della nuova Consulta regionale, confermata la fiducia all’Alto Commissario generale Pinna, quando fu anche inaugurato e prese a funzionare nell’isola l’istituto di credito del Banco di Sardegna
1 commento
1 Aladinpensiero
30 Gennaio 2022 - 14:35
Anche su aladinpensiero online: http://www.aladinpensiero.it/?p=130439
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