Strike against the war! Se non ora, quando?

24 Gennaio 2022
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Tonino Dessì

Molti reportage giornalistici ci informano in questi giorni che l’Ucraina si prepara a resistere a un’invasione russa che considera probabile.
USA e Russia si parlano e però si minacciano a vicenda.
La Russia ha ammassato truppe e la NATO a sua volta si mobilita, col coinvolgimento militare, al confine Est europeo, oltre che dei Paesi baltici, della Gran Bretagna, della Francia, della Spagna e persino dell’Italia.
L’Europa come UE non c’è: alla sua strutturale debolezza nella politica internazionale si aggiunge l’incertezza politica tedesca dopo l’uscita di scena di Angela Merkel.
Tutte le analisi “professionali” che leggo mi sembrano troppo passivamente intente a mettere sulla bilancia ragioni e torti: la progressiva estensione della NATO a Est che avrebbe ingenerato un giustificato timore di accerchiamento nella Russia, ma anche la rivendicazione della Russia di ripristinare un’area d’influenza diretta lungo tutto il perimetro dell’ex URSS e dell’ex impero zarista.
Tutti gli analisti sono intenti a scrutare lo scacchiere degli altri interessi globali intrecciati: sullo sfondo incombono la Cina e Taiwan, il teatro del Pacifico e quello indoasiatico.
Troppo distacco, tuttavia, troppa inclinazione al risiko, fra uno scetticismo immotivatamente fiducioso che al peggio non si arrivi da una parte e dall’altra, una se non euforica, tuttavia quasi compiacente aspettativa che un conflitto foriero di un nuovo ordine comunque esploda, poi come uscirne si vedrà.
C’è chi pensa che l’Ucraina possa esser trattata come la Cecoslovacchia nel 1938 a Monaco, sacrificata e smembrata, in assenza, al tavolo delle grandi potenze alla ricerca di un temporaneo appeasement per scongiurare o almeno rimandare una nuova guerra mondiale.
C’è chi quasi si augura invece che la Russia faccia il passo falso dell’invasione militare per impantanarsi in un gigantesco Afghanistan eurasiatico dal quale prevedibilmente uscirebbe stavolta peggio di quanto avvenne all’URSS in quelle lontane e irriducibili lande montuose.
C’è persino al contrario chi spera nell’improbabile rivincita dalla sconfitta subita nella Guerra Fredda di una Russia altrettanto inverosimilmente considerata quale erede dell’URSS, stavolta però sostenuta da un patto d’acciaio con Pechino.
Trovo tutto questo cinico, irresponsabile, persino insopportabilmente fatuo.
Considero perniciosa anche la tendenza a schierarsi ideologicamente dall’una o dall’altra parte, quasi come un prolungamento su un altro scenario della diatriba fra provax e novax in questo tempo di pandemia.
E a tal proposito, ma come si può accettare nel 2022 che anziché collaborare per sconfiggere la pandemia e per creare le condizioni globali finalizzate a scongiurarne altre, potenze, stati e rispettive alleanze stiano mobilitando gigantesche risorse economiche per prepararsi a un conflitto militare che potrebbe sconvolgere il Pianeta?
Penso che se c’è una questione e se c’è un’occasione per mobilitare l’opinione pubblica mondiale contro ogni contrapposta strategia di guerra, sia proprio questa.
Non possiamo rassegnarci al fatto che invece veniamo già manipolati, in ciascun Paese, per schierarci passivamente dentro schemi che rispondono a interessi diversi da quelli della pace.
Contro la guerra ci si organizza, si scende in piazza, si impone alla politica di cambiare rotta.
Certo, stavolta è più complicato, perché appena qualche decennio fa poteva sembrare che le prevalenti ragioni stessero da una parte e i prevalenti torti dall’altra.
Chi è vissuto politicamente durante la Guerra Fredda credo immagini a cosa mi riferisco, specie sul terreno ideologico.
Oggi è diverso, per come vedo io le cose.
Se debbo fare un paragone (ma mentre ne scrivo, mi viene persino da evocarlo come auspicio) sarebbe il momento di un movimento epocale analogo a quello impersonato da Fridays for Future sul tema del cambiamento climatico.
Strike against the war, contro i bla bla bla minacciosi di governi, poteri, sistemi che stanno tutti pericolosamente inclinando a precipitarci sul baratro della guerra.
Se non ora, quando?

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