Russia e transizione al mercato. Verso il modello cinese?

30 Maggio 2009
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Gianfranco Sabattini

Per lungo tempo abbiamo discusso sulla transizione dal capitalismo al socialismo. Da vent’anni la sconfitta del comunismo reale e il predominio del liberismo hanno posto all’attenzione teorica e pratica il percorso opposto, verso il mercato. La particolarità sta nel fatto che, contro le previsioni, la democrazia non si è accompagnata automaticamente all’apertura al mercato. Anzi sono sorte nuove forme di autoritarismo, forse anche peggiore di quello precedente. Un esempio ci viene dalla Cina. E la Russia? Si avvia verso lo stesso approdo o persegue un altro modello? Quesito importante, ma molto complesso, sul quale ci aiuta a ragionare il Prof. Gianfranco Sabattini con questa interessante riflessione.

La transizione dall’economia socialista all’economia di mercato, sperimentata in alcuni paesi socialisti (quali, ad esempio, Russia, Cina ecc.), è stata ostacolata dalle difficoltà riscontrate, sia in linea teorica che in linea pGianfranco Sabattini
ratica. L’origine di queste difficoltà ha alimentato una dura controversia tra gli economisti e tra i giuristi. Alcuni (Jeffrey D. Sachs) le hanno imputate alla mancata adozione di una “shock terapy”, fondata sul rapido svolgimento della liberalizzazione dei prezzi, della soppressione di ogni forma di sostegno pubblico e della privatizzazione delle attività produttive con conseguente abolizione di ogni forma di controllo pubblico. Altri (Andrei Shleifer) hanno, invece, sostenuto, non senza fondamento, che le difficoltà sono derivate dal fatto che la transizione economica non sia stata accompagnata da una contemporanea transizione del sistema politico, dalla sua forma autoritaria alla democrazia. Per i sostenitori di quest’ultima posizione, infatti, la “shock terapy” non poteva produrre alcun esito positivo in quanto la conservazione dell’antica struttura istituzionale e della vecchia “nomenclatura” nella quale essa si incorporava non poteva impedire che quest’ultima cessasse di “predare” le risorse pubbliche. Ciò che è accaduto in Russia, ad esempio, per Shleifer, ha confermato questa predizione. Infatti, in questo Paese, la transizione economica ha solo risposto alle aspettative di potenti portatori di interessi (oligarchi), già presenti ed integrati all’interno dell’organizzazione della società politica. In tal modo, le risorse di proprietà pubblica, anziché essere privatizzate nella prospettiva di un loro uso efficiente, in realtà sono state privatizzate solo per ottimizzare lo status sociale ed economico dei nuovi proprietari. Perché tutto ciò è accaduto? La risposta sta nella constatazione che ovunque esista un controllo politico della vita economica, i detentori del potere istituzionale sono sempre interessati ad utilizzarlo per il conseguimento di obiettivi economici strumentali al perseguimento di obiettivi politici personali, come, ad esempio, la conservazione della propria base elettorale, o la prevenzione da eventuali aree di dissenso. Poiché il costo del perseguimento di tali obiettivi economici ricade sull’intero sistema sociale e non sui politici a titolo personale, l’esercizio del controllo politico della vita economica è, come una sterminata letteratura al riguardo sostiene, per sua stessa natura, inefficiente. La corruzione, la predazione e, spesso, la violenza organizzata sarebbero, pertanto, fenomeni strettamente correlati al controllo politico della base produttiva di un sistema sociale.
Le difficoltà teoriche sono state originate dal “disegno” dell’ordine comunista; all’interno di questo disegno, l’impossibile distinzione tra interesse pubblico e interesse privato ha costituito un suo carattere peculiare. Nell’ordine comunista, la distinzione è interpretata nel senso che l’interesse pubblico esprime l’interesse generale dell’intero sistema sociale, mentre l’interesse privato esprime l’interesse autoreferenziale dei suoi singoli componenti e, in quanto tale, estraneo a quell’ordine. Tuttavia, come l’esperienza storica ha evidenziato, l’ordine comunista realizzato ha offerto all’intero sistema sociale la soddisfazione dell’interesse pubblico solo mediante l’azione dello stato-partito, ovvero solo mediante l’azione di un’avanguardia minoritaria (il gruppo dirigente del partito) nella quale si è incorporato organicamente lo Stato. Le difficoltà operative incontrate dai Paesi ex socialisti nella realizzazione della loro transizione ad un’economia di mercato non sono state meno gravi delle difficoltà teoriche appena descritte; esse sono derivate dal fatto che tali Paesi non hanno potuto assumere a priori, per le ragioni viste, la distinzione tra interesse pubblico e interesse privato. La transizione economica avrebbe presupposto almeno la contemporanea transizione dell’organizzazione della loro società politica dal comunismo alla democrazia, per poter inquadrare all’interno di quest’ultima i diritti dei privati affrancati da qualsiasi condizionamento esterno. Alla circostanza che tutto ciò non sia accaduto deve essere, perciò, ricondotto il fallimento della trasformazione dell’economia socialista in economia di mercato. A tutto ciò, per Schleifer, si può porre rimedio, attraverso una strategia pubblica futura che realizzi quanto sinora non è stato realizzato; si deve, però, osservare che questa strategia non sarà priva di costi, sia perché gli oligarchi continueranno, anche se privati del potere politico, a condizionare la transizione istituzionale, sia perché l’iniqua distribuzione della ricchezza pubblica che nel frattempo ha avuto modo di consolidarsi produrrà effetti distorsivi aggiuntivi destinati a condizionare ulteriormente l’uso efficiente delle risorse nazionali. Lo scenario più probabile, perciò, per la Russia di Putin, è quello di una sua omologazione alla Cina; all’economia privata egemonizzata dagli oligarchi si assocerà, almeno nel breve periodo, una dittatura politica che varrà a negare ogni reale liberalizzazione del sistema sociale.

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