Kabul. Dopo la ritirata, la questione Afghana non deve essere archiviata

3 Settembre 2021
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Tonino Dessì

Tutti i Paesi dell’alleanza occidentale che hanno preso parte alla ventennale guerra afghana stanno ufficialmente ammettendo che si è conclusa con un disastro, politico oltre che militare.
Credo che il calcolo di Joe Biden (in fondo il meno colpevole: dieci anni fa, da Vicepresidente di Obama, consigliò di battersela onorevolmente approfittando dell’eliminazione di Bin Laden e non fu ascoltato; in queste settimane ha gestito una fuga strategica già ampiamente concordata, con tanto di passaggio delle consegne ai Talebani, un anno fa, da Trump, il quale in questi giorni gli ha rimproverato nientemeno di non aver sgombrato il campo preventivamente facendo terra bruciata intorno all’aeroporto di Kabul, cosa che è stata peraltro lì lì per succedere) sia stato e resti quello di far dimenticare l’Afghanistan il più presto possibile.
Ho idea che - esodo migratorio con imponderabile effetto domino a parte - più o meno tutti i protagonisti confidino nella stessa cosa.
Però così non va proprio bene.
In Italia, immediatamente dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, fu istituita una Commissione parlamentare speciale d’inchiesta sul tracollo di Caporetto.
È vero che, a guerra conclusa e “vinta”, non fu conferito alla Commissione il mandato di indagare altri che i vertici militari, escludendo monarchia e governi dalla ricerca delle responsabilità (anche costituzionali, a Statuto Albertino vigente) dell’entrata in guerra ed è vero che neppure nei confronti di quei vertici, essendo stato rimosso in corso d’opera il Capo di Stato Maggiore Generale, Luigi Cadorna (ma solo lui: altri, tipo Pietro Badoglio, non meno responsabili, la scamparono) alla fin fine non furono inflitte sanzioni particolarmente disonorevoli.
Tuttavia i resoconti dei lavori di quella Commissione parlamentare contribuiscono ancora oggi a comprendere le dinamiche interne italiane, politiche, istituzionali, militari, che caratterizzarono quella guerra.
Non mi capacito (o forse lo comprendo fin troppo) che a nessuno stia passando per la mente di chiedere l’istituzione di una Commissione parlamentare d’inchiesta sulla guerra in Afghanistan.
Perché l’Italia è entrata in una guerra durata ben vent’anni, in un teatro così lontano dagli interessi nazionali diretti?
Quell’entrata in guerra è stata rispettosa dell’articolo 11 della Costituzione, della Carta delle Nazioni Unite, dello Statuto stesso della NATO?
A tale ultimo proposito, gioverebbe ricordare che lo Statuto della NATO autorizza sia ogni Stato membro, sia l’Alleanza, se richiesta da uno degli Stati membri, a intraprendere ogni azione di difesa armata contro un attacco militare di altri Stati.
Gli USA invasero l’Afghanistan e successivamente ottennero l’appoggio militare all’invasione da parte degli altri Stati membri sulla base dei relativi articoli di quello Statuto.
Ma l’Afghanistan come Stato e come Governo (allora retto da una coalizione politica a egemonia talebana) non aveva una diretta responsabilità nell’attentato alle Twin Tower, così come non l’aveva l’Iraq di Saddam Hussein.
Le due invasioni furono giustificate per il fatto che nei due Paesi erano presenti gli insediamenti di Al Qaida.
Ma questa violazione della sovranità e dell’integrità di due Stati che non avevano dichiarato guerra e che non avevano intrapreso azioni armate contro gli USA, era conforme agli obblighi e ai limiti dell’Alleanza atlantica?
In quali operazioni di guerra, difensiva e offensiva, sono state impiegate le Forze armate italiane e con quali conseguenze sugli afghani, sia belligeranti sia civili?
Quali sono stati gli obiettivi perseguiti e quelli conseguiti di questo impegno militare e politico, il più esplicito, diretto, articolato, gravoso, per l’Italia, del secondo dopoguerra?
Quale correzione permanente di linea politica e militare, anche nel quadro delle alleanze internazionali, si dovrebbe trarne per il futuro?
Sarebbe il momento più opportuno per farlo, aprendo un confronto trasparente sulla collocazione effettiva dell’Italia nel contesto internazionale e dando in tal modo un contributo concreto all’evoluzione della politica estera europea, a fronte della crisi di affidabilità dello storico alleato statunitense e al riaffacciarsi delle opportunità di un possibile, nuovo multipolarismo sullo scenario globale.

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