A.P.
Direte che è un modo vecchio, ottocentesco, di vedere le cose. Eppure questi fatti, che colpiscono sempre le stesse persone, sempre gli operai più indifesi e più bisognosi, mostrano che in quanto accade non c’è fatalità. Il caso colpirebbe indifferentemente questo o quello, il padrone e l’operaio, Moratti o Solinas. Ma qui, certo cambiano i nomi degli sventurati, sardo, campano o rumeno, ma la loro condizione sociale, la loro provenienza familiare, il loro lavoro è sempre lo stesso. Ed allora non è un antico pregiudizio acquisito in gioventù e coltivato per tutta la vita a farmi dire che, anche a volerla cancellare, la divisione in classi, il diverso destino di chi sta da una parte e dall’altra è segnato irrimediabilmente anche quando si cerca di nasconderlo in tutti i modi. Certo. ci può essere e c’è la mobilità sociale, ma questa può riguardare questo o quello, può essere più ampia o ristretta, ma non può riguardare tutti. Ed esiste anche la lotta di classe, che quando - come oggi - è negata, a ben vedere, è condotta consapevolmente solo da una classe, quella dominante. E si vedono i risultati di questa diversa coscienza di classe nell’appropriazione della ricchezza, oggi tutta sbilanciata a favore dei ceti forti .
In realtà, mentre una umanità sazia, ma affamata di ulteriore potere e ricchezza, si muove, rincorre, s’infiamma senza ragione, accadono fatti come questo che un tempo avrebbero messo sotto accusa quel mondo dorato e fatuo e avrebbero acceso l’indignazione e la protesta degli altri.
I Moratti, i Sacconi, la Marcegaglia manifestano la loro solidarietà. Ma domani i primi si trastullerano con Murinho (ormai loro al 100% a suon di milioni), Sacconi continuerà con sprezzo a sovvertire la legge sulla sicurezza di Prodi, la Marcegaglia, in nome del mercato, riprenderà il suo attacco al lavoro e alle organizzazioni sindacali più combattive. E sopra tutti loro Berlusconi cercherà l’eterna giovinezza del cazzo, circondandosi di stuoli di troiette, all’uopo accuratamente selezionate dai suoi incaricati, che formano e gli presentano appositi cataloghi per la scelta, come si faceva un tempo con le schiave, anche se oggi questo ridursi ad oggetto è condiviso.
Dall’altra parte, sempre turni di lavoro massacranti, villaggi turistici o complessi edilizi da finire in fretta, cisterne da pulire, ponteggi da scalare, condizioni di lavoro proibitive, nessuna o insufficienti misure di sicurezza, nessuno o scarsi controlli. Storie di lavoro nero e di sfruttamento. Schiavitù postmoderna, eversiva della Costituzione e delle Carte dei diritti. Gli operai e la classe lavoratrice non sono scomparsi se non nel pensiero di chi dovrebbe rappresentarla e nella mente fredda degli intellettuali, all’inseguimennto anch’essi del mercato. Postdmocrazia senza idealità, senza finalità generali.
Neppure una bandiera su quelle bare, non un drappo rosso, segno della solidarietà e della fratellanza, ormai scomparsa ed irrisa. Quei poveri cristi, crocifissi dall’ingordigia del profitto, dimenticati dalla bramosia del ceto politico e dalla vuotezza dell’intellettualità, finito il clamore mediatico, spesso non si sa dove e neppure chi gli ha dato sepoltura. Scaraventati in fretta chissà in quale buco, come amministrativa misura d’igiene e di nettezza urbana. Chiusa la parentesi, esaurite le parole di circostanza, lo spettacolo continua: Moratti, Murinho, Ibra, il Cavaliere sempre giovane, Noemi…
Ed ora ecco le notizie sul fatto
Red
Tre operai sono morti all’interno degli impianti della raffineria Saras a Sarroch. L’incidente è avvenuto poco dopo le 14, in un impianto di desolforazione (Nh51) e i tre operai sarebbero morti per intossicazione da azoto, che è letale in pochi minuti.
Una prima ricostruzione dell’incidente è stata fornita dai colleghi di lavoro delle vittime, che stazionano davanti ai cancelli della Saras. Un primo operaio si sarebbe sentito male intorno alle 13.30, il secondo avrebbe chiesto aiuto ai due rimasti all’esterno: tutti sarebbero quindi entrati nella cisterna, ma solo uno ne è uscito vivo. Gli altri tre sono stati stroncati dalle esalazioni tossiche sprigionatesi dai residui delle lavorazioni.
Prima delle 14 è scattato l’allarme in tutta la raffineria: i dipendenti sono stati invitati a mettere in sicurezza gli impianti e ad abbandonare lo stabilimento. Almeno 200-300 operai sono usciti e hanno appreso attoniti la notizia della morte dei loro colleghi.
Sul posto sono intervenuti i medici del 118 ma per i tre operai non c’era più niente da fare. I sanitari hanno constatato il decesso in attesa dell’arrivo del medico legale, che dovrà accertarne le cause, e del magistrato di turno cui spetterà il compito di indagare sull’incidente.
Le vittime sono tutte di Villa San Pietro, piccolo paese confinante con Sarroch dove si trovano gli impianti della Saras. Sono Daniele Melis, di 26 anni, Luigi Solinas, di 27, e Bruno Muntoni, di 52. Quest’ultimo era sposato e padre di tre figli.
I tre operai morti erano dipendenti della ditta esterna Comesa arl. La Comesa, gruppo costituito nel 1998 dalla confluenza tra la Sarcomi spa e la Comes srl, conta circa 170 dipendenti e opera nel settore di carpenteria metallica e manutenzione di impianti industriali.
I sindacati parlano di morti annunciate e chiedono di accelerare l’entrata in vigore del testo unico sulla sicurezza. Per domani è stato proclamato uno sciopero di otto ore di tutto il petrolchimico in Sardegna.
Cordoglio e richiami all’esigenza di fare di più contro le morti bianche sono venuti dal mondo politico, a cominciare dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Appena si è appresa la notizia, alla Camera e in Senato è stato osservato un minuto di silenzio, così come in Comune a Cagliari. Cordoglio anche dal segretario del Pd, Dario Franceschini, mentre il Governatore della Sardenga, Ugo Cappellacci ha parlato di “tragedia immane”. Concetti reiterati anche dal ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi (”ora sono doverosi i più attenti e scrupolosi accertamenti sulle responsabilita”) e dalla presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia.
3 commenti
1 Meloni Giacomo /CSS
26 Maggio 2009 - 18:45
Ci inchiniamo davanti alle tre giovani vittime del tragico incidente
sul lavoro nello Stabilimento della Saras di Sarrock.
La nostra è solodarietà piena alle famiglie e ai parenti di
Daniele,Gigi e Bruno,ma è anche dolore misto a sdegno perchè da tempo
si segnalavano timori sulla sicurezza di certi impianti soprattutto
per gli operai delle Ditte esterne di manutenzione molto delicati e
pericolosi.
Ma c’è sempre troppa fretta di cocludere i lavori e talvolta si
trascurano le doverose regole di sicurezza.
Piangiamo questi nostri morti,sapendo che dobbiamo con forza
continuare a difendere i posti di lavoro che però non possono
trasformarsi in occasione e luoghi di morte.
Rivendichiamo maggiori controlli e sicurezza nei posti di
lavoro,maggiore rispetto dell’ambiente e della salute di tutti i
cittadini residenti nei territori vicino agli Stabilimenti dov’è
necessaria la via di fuga ancora non delimitata.
Oggi la civiltà del lavoro si misura soprattutto su questi standars
che devono venire prima degli alti profitti e della ricchezza.
La vera ricchezza infatti devono essere ancora le persone,senza questo
rispetto si ritorna all’inciviltà e alla barbarie.
Cagliari,26/5/09
Giacomo Meloni
Segtretario Generale CSS
2 Carlo Dore jr.
26 Maggio 2009 - 19:00
Morire di lavoro e morire per il lavoro, mentre i potenti continuano a esercitare la loro influenza tra palazzi dorati, veline dal sorriso di cartapesta e bottiglie di champagne. Ci riempiamo tanto la bocca con il concetto di libertà, ma rimane fermo l’insegnamento di un grande maestro del socialismo italiano: non esiste libertà senza un minimo di giustizia sociale. Non è un mondo libero quello dove si ancora muore intossicati, dall’azoto come dal carbone, per scacciare l’incubo di non arrivare alla fine del mese. Nell’epoca di internet e dei grandi consumi, della tecnologia a servizio dell’impresa, una realtà così triste è incompatibile con la mia idea di libertà.
3 M.P.
26 Maggio 2009 - 21:07
Ateros
como si sarban,
àteros istan bivos
cun su coro de custos tres balentes
tirados a podere
da s’enemigu
unu infatu ‘e s’àteru
unu menzus de s’àteru
tzufados a s’inferru
chene timer.
No at a tenner acabu
sa cundenna
de sa zente innossente
disizosa de vida
chi la lassat sa vida
serbinde
pane anzenu?
Chie est chi si los cheret pinnicare,
chi si los tirat intro,
lis ghetat manu a coro e a prumones,
jocandesilos a unu a unu totus ?
L’amus a iscobiare,
e tando, a unu a unu,
ja los at a turrire;
s’urtimunu!
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