Renzo Laconi sugli scioperi di Carbonia. L’ostilità dell’ACaI al movimento dei minatori, mentre si avvia l’adesione del governo al Piano Marshall

8 Agosto 2021
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Gianna Lai

Anche oggi post settimanale sulla storia di Carbonia, come ogni domenica dal 1° settembre 2019.

Su quegli scioperi del 1947 nel Sulcis, citando un passaggio del Quaderno 57, Archivio  Renzo Laconi,  in “Renzo Laconi. Una biografia politica e intellettuale”, al paragrafo “Carbonia, questione di rilievo nazionale”, la professoressa Maria Luisa di Felice annota così: “Queste ultime circostanze avevano allarmato Laconi, tanto da indurlo a raggiungere Carbonia, per valutare l’azione della Camera del Lavoro e della Federazione Regionale dei Minatori Sardi che, affiancata una maggioranza comunista al Segretario Martino Giovannetti,  aveva organizzato il I Congresso dei minatori sardi. Durante  un colloquio con Giovannetti, Laconi aveva condiviso le apprensioni dei lavoratori, provati dall’intensificato sfruttamento praticato dalla SMCS e allarmati dai periodici licenziamenti. Sul deficitario quadro aziendale pesavano i prezzi di vendita imposti dal governo, insufficienti  a coprire i costi di produzione e l’andamento del mercato nazionale, nel quale la Carbonifera sarda- contrariamente al passato autarchico e monopolistico- doveva fare i conti con la crescente presenza del carbone estero”. In quanto, “sin dai primi anni di attività-sottolineava Laconi- per fronteggiare le difficoltà di bilancio, l’azienda si era indirizzata a  diminuire i costi di produzione, inasprendo le condizioni di lavoro e di vita della manodopera, ovvero rendendone sempre più incerte l’occupazione e la permanenza in città, dove tutto, dalle abitazioni alla gestione dei servizi e dei viveri, era nelle mani dell’ACaI”.
E riflessi delle agitazioni, durante quei mesi a Carbonia, anche  nella Relazione ACaI dell’anno successivo,  che addebita le basse produzioni 1947-48 alle “agitazioni delle masse operaie: gli scioperi del settembre e del novembre 1947, con astensioni anche totali delle maestranze, numerose le astensioni parziali nei turni, o nei singoli cantieri…”
Non dello stesso parere la pagina sarda de L’Unità, il 10 luglio 1947: in primo piano, invece, le  responsabilità  dei dirigenti, a spiegare le ragioni della diminuita produzione, durante gli ultimi mesi. Nell’articolo “Da Bacu Abis. Minaccia  di chiusura per le miniere del bacino?”,  si tracciano le linee della vicenda Sulcis, avviata verso una ulteriore stretta politica, dopo l’insediamento del nuovo governo De Gasperi. “La crisi del legname per l’armamento delle gallerie, impone che tutti i giorni si abbandonino posti di lavoro, perchè manca il legname indispensabile per l’armamento dei tagli e dei tracciamenti, dove il minatore deve procedere all’abbattimento del carbone. E gli operai vengono utilizzati per lavori diversi. Interi cantieri scarsamente armati, scarsamente rafforzati, non sufficientemente protetti dall’armamento, danno segni di cedimento, di franamento, annullando gli immensi sacrifici fatti dagli operai per mettere i cantieri stessi in condizione di produrre. Se l’approvvigionamento non verrà subito intensificato, i minatori son convinti che le  miniere non potranno resistere più di 15-20 giorni. Si va incontro a un vero disastro, se queste gallerie si metteranno in movimento, ostruendo l’accesso ai posti di coltivazione. Le gallerie franeranno sotterrando, non solo i posti del carbone, ma tutto il materiale, tutto il ferro dei binari, i tubi dell’aria compressa, le tavole oscillanti, i motori, gli argani”. E, per concludere, “i minatori si chiedono se questo disastro annunciato possa essere fermato, se non nasconda, la crisi dell’approvvigionamento di legname, una volontà della società Carbonifera di ottenere praticamente una serrata, vietata per legge. Evadendo la legge e  realizzando finalità e scopi inconfessabili. Gli operai e gli impiegati non lo permetteranno mai”.
La Camera del Lavoro e l’intera CGIL nazionale a sostegno degli operai di Bacu Abis, contro la politica dell’azienda, che sembra preludere all’avvio di nuovi licenziamenti. Il fatto è che, all’allarme sulla disoccupazione lanciato dalla CGIL nel Paese, fanno presto seguito, dapertutto, avvenimenti assai gravi, se il socialista  Rodolfo Morandi denuncia,  il 30 ottobre alla Camera,  “50-60 mila licenziamenti in corso a Milano e  30-40 mila a Genova”. Nell’industria gli operai  vivono sotto la continua minaccia di chiusura di stabilimenti o di riduzione del personale, come dice SergioTurone parlando del “novembre 1947, mese di fermenti politici, per la crisi che le aziende del Nord attraversano”. E dove il malcontento del ceto operaio si  aggrava dopo la sostituzione, imposta dal ministro Scelba, del prefetto Ettore Troilo, uomo della Resistenza e successore di Riccardo Lombardi. Che “provocò immediate proteste e reazioni: ricomparvero allora alcune armi  della stagione partigiana,  masse di operai e partigiani si concentrarono nei pressi della Prefettura”. E gli ambienti democristiani a interpretare i fatti “come la prova di un persistente pericolo insurrezionale sovversivo da parte della massa operaia, che nel sindacato faceva capo alle correnti comunista e socialista”. In realtà, proprio mentre, come sostiene Sergio Turone, “le pressioni vaticane in favore della scissione sindacale acquisivano efficacia  ancora maggiore, grazie alle pressioni americane  che si fecero sentire, sopratutto per via indiretta, attraverso il piano Marshall di aiuti economici, ma anche  in modo diretto, con appoggi concreti a quei settori sindacali che davano garanzia  di impegno anticomunista”.
C’è da dire che, verso il programma degli aiuti americani la CGIL di Di Vittorio avrebbe sempre mantenuto “la propria posizione critica”, mentre invariata, rispetto ai tempi dei governi di unità nazionale, restava la sua funzione di rappresentanza sociale: “in un paese disastrato, che ad ogni passo rischiava il caos, il movimento sindacale era e voleva essere sopratutto un fattore di tranquillità, un elemento d’ordine. Meglio, un elemento di conservazione di un nuovo ordine sociale, conclude Turone, solo che la società italiana, sotto la superficie, era ancora quella vecchia’ .
E ci aiutano a definire il quadro generale dei  rapporti tra  nuova maggioranza  e  movimento operaio, le parole di Fernando Santi, ancora citato da Sergio Turone, al direttivo CGIL del dicembre di quell’anno, “Nel 1944-45, per la prima volta il proletariato italiano non si sentiva più ai margini della vita sociale…oggi la situazione è profondamente mutata, tutte quelle speranze, che animavano il popolo italiano e che erano legittimate dalla grande maggioranza dei partiti, non si sono realizzate”. E, più recenti, quelle di  Giovanni De Luna, sulle conseguenze immediate delle politiche governative, “la severa linea restrittiva, inaugurata da Einaudi nell’estate del 1947, non coincise soltanto con l’allontanamento dei partiti di sinistra dal governo,  ma rese anche più gravi, di quanto già non fossero, le condizioni del mercato del lavoro e ridusse il potere contrattuale dei sindacati operai. In questo modo l’obiettivo economico di lottare contro le spinte inflazionistiche, alimentate dal ritorno alla piena libertà del mercato, si intrecciava strettamente con il proposito di  preservare nel quadro sociale i rapporti di forza già esistenti. Lo stesso ricorso ai prestiti americani, negoziati da De Gasperi proprio all’inizio del 1947 -per ridare ossigeno ai finanziamenti industriali e provvedere al risanamento del bilancio-  fu modellato sulle richieste avanzate dalla Confindustria………Un grande impulso  a queste politiche  economiche venne naturalmente dagli aiuti americani, alimentari ma sopratutto finanziari, l’UNRRA, varato nel 1943, ebbe un ruolo di grandissimo rilievo nel coordinare i primi interventi economici degli USA che, in una prima fase si tradussero nei cosidetti prestiti vincolati, condizionati cioè alla loro utilizzazione nell’acquisto di prodotti americani…..In Italia gli aiuti Unrra- vestiario e generi alimentari- ammontarono a 488 milioni di dollari……Poi quando il ruolo direttamente politico di questi flussi di denaro divenne esplicito, fu il Piano Marshall lo scenario economico al cui interno gli USA consolidarono la loro leadership sul mondo occidentale”.

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