A 20 anni da Genova. «I no-global avevano ragione. Oggi il liberismo è come uno zombie»

30 Luglio 2021
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Andrea Barolini

Da Genova ai giorni nostri: genesi, contesto, repressione e eredità del movimento dei movimenti. Una riflessione a vent’anni di distanza tramite l’intervista all’economista Mario Pianta. Da Valori.it

Due decenni fa il “movimento dei movimenti” espresse critiche radicali al sistema economico e finanziario globale. I no-global erano stati capaci di individuarne i punti deboli e di prevedere le crisi che tale modello di sviluppo avrebbe partorito. Mario Pianta, docente di Politica economica alla Scuola Normale Superiore di Firenze, analizza la genesi di quel movimento (da Seattle a Porto Alegre), la repressione che ha subito al G8 di Genova e l’eredità che ha lasciato.

Le analisi, le denunce e le previsioni avanzate dal movimento no-global al G8 di Genova furono trattate come estremismi e represse. Eppure, a 20 anni di distanza, le critiche al sistema sono più che mai attuali.

È esattamente così. Il G8 di Genova nasce all’indomani del lancio del forum sociale mondiale a Porto Alegre come un tentativo di contrastare il progetto di globalizzazione neoliberista che era stato lanciato negli anni Ottanta e che ha avuto un’accelerazione negli anni Novanta, con la globalizzazione del commercio e la finanziarizzazione del sistema economico. Di fronte a tutto ciò, quel movimento chiedeva impegni sulla tutela dell’ambiente. Sul lavoro. Si batteva contro la corsa al ribasso. Contro la concorrenza basata sull’impoverimento dei lavoratori.

 

Che periodo era quello, dal punto di vista economico e politico?

Quei movimenti nascevano alla fine del 1999 con la protesta di Seattle. Il contesto era costituito da un’agenda di neoliberismo “duro” imposta dai poteri economici e dagli stati più forti. C’era stata un timida opposizione di alcuni governi europei, che proponevano un’opzione più socialdemocratica che apriva alla globalizzazione, ma con tutele per l’ambiente, il lavoro, i salari. Questa seconda strada fu sconfitta. A quel punto, l’unica possibilità era una “globalizzazione dal basso”, l’alternativa avanzata dai movimenti. E proprio quello è il titolo del mio libro del 2001, pubblicato da Manifestolibri.Che da Seattle passò per Porto Alegre e poi arrivò a Genova nel 2001. Il 2001 fu un momento importante, poiché l’agenda di quel modello di globalizzazione si consolidò. La Cina entrava nell’Organizzazione Mondiale del Commercio e ebbe un ruolo decisivo con un aumento della capacità produttiva in campo industriale, assieme ad altre nazioni asiatiche. Oggi è l’area che cresce di più al mondo, anche nell’alta tecnologia.Cosa ha comportato quel tipo di globalizzazione?

Innanzitutto una forte concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi. Il potere è appannaggio dei Paesi più avanzati, e il fronte cinese non ha indebolito più di tanto le potenze occidentali. Inoltre, l’accelerazione della finanziarizzazione ha imposto un distacco sempre più marcato tra finanza ed economie reali. Ciò rappresenta la radice di tutti i problemi. La crisi finanziaria del 2008, l’accelerazione dei cambiamenti climatici e l’aumento delle diseguaglianze. Reso ancor più evidente con la pandemia.

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