Come cambiare il capitalismo?

27 Luglio 2021
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Rosamaria Maggio

Seguo da anni Mariana Mazzucato, giovane economista italiana, formatasi negli States, che ci propone un pensiero nuovo per questi tempi, diretto a trovare all’interno di un sistema capitalistico i modi per soddisfare i nostri bisogni contemporanei e futuri.
Si tratta ovviamente di ridefinire bisogni ed esigenze: lotta alle diseguaglianze, ai cambiamenti climatici, alle epidemie. Li considera obiettivi straordinari, paragonabili a quello che J.F.Kennedy propose al mondo il 12 settembre del 1962: arrivare sulla Luna.
La Mazzucato inizia con lo sfatare alcuni falsi miti che dal suo punto di vista ostacolano il cambiamento virtuoso.
L’economia di molti paesi europei ed oltre, sono state influenzate dall’era Thatcher-Reagan fino ad ora, dall’idea liberista secondo cui i governi sarebbero macchine burocratiche che soffocano il settore privato, vero creatore di ricchezza.
Alcune delle più consolidate convinzioni sarebbero quella secondo cui il valore si crea solamente all’interno delle imprese ed il governo dovrebbe avere una funzione di facilitatore nella falsa convinzione che il privato sia più efficiente. Sulla base di queste convinzioni gli Stati hanno privatizzato ed esternalizzato interi settori prima pubblici, con la conseguenza che i costi sono lievitati e settori importanti della pubblica amministrazione hanno visto molti servizi diventare sempre più scadenti. Quanto anche alla creazione di valore, la Mazzucato sottolinea l’importanza dello Stato nella sua creazione. E’ quanto è successo ad esempio negli investimenti pubblici che hanno portato a Internet, dove il ruolo decisivo è stato del DARPA, agenzia per l’innovazione del Dipartimento della Difesa USA e del CERN in Europa a cui si deve l’invenzione del World Wide Web (la rete). Solo per fare alcuni esempi. Il privato non può fare ingenti investimenti a lungo termine, e l’esperienza insegna che in tutti i settori innovativi è stato il pubblico che ha rischiato e solo dopo i privati hanno sfruttato le nuove opportunità.
L’altro mito si fonda sul fatto che lo Stato debba intervenire per correggere i fallimenti del mercato (teoria neoclassica), sempre che l’intervento dello Stato possa essere ritenuto di qualche utilità, ovvero se i vantaggi derivanti da un intervento statale producano più vantaggi delle perdite derivanti dal fallimento del mercato (teoria della scelta pubblica). Dal punto di vista dell’autrice però non vi sono evidenze empiriche che possano avvalorare queste tesi.
Forte è altresì la convinzione che lo Stato non debba andare oltre la funzione di garantire pari condizioni nell’economia e di svolgere la funzione di dettare norme nei vari campi e farle osservare.
Negli anni ’80 si è diffusa, soprattutto negli USA la dottrina del New Public Management (NPM) e in UK, negli anni 90, quella del National Health Service (NHS). Con la NPM si è diffusa l’idea dell’efficienza della P.A. e con la NHS quella della concorrenza tra Stato e privato, con possibilità per lo Stato di acquistare da aziende private i servizi necessari, in questo caso sanitari.
Con la conseguenza che i pazienti si sono trasformati in clienti, come anche gli studenti ed i passeggeri.
L’altro mito si è fondato sulla esternalizzazione dei servizi e privatizzazione delle infrastrutture, come fondamento per un risparmio a vantaggio dei contribuenti.
In realtà la privatizzazione (PFI) che ha riguardato principalmente le infrastrutture, ha comportato in Gran Bretagna un aumento di costi pari al 40% in più rispetto a progetti con finanziamento statale.
Quanto alla esternalizzazione si è visto che i costi sono lievitati, nè è stata garantita la qualità e l’affidabilità dei servizi.
Al punto che, per fare un esempio, il Regno Unito nel 2011 ha rinunciato alla informatizzazione delle cartelle cliniche dei pazienti del Servizio Sanitario Nazionale dopo aver speso 10 miliardi di sterline con un contratto del 2002.
Nel 2016 la Motorizzazione ha smesso la esternalizzazione durata un ventennio, dei servizi informatici ed in 7 settimane ha formato il proprio personale che ha costruito una nuova applicazione online.
Uno studio in UK ha dimostrato che tra il 1985 ed il 2015 i costi della P.A. sono aumentati del 40% in termini reali. La conclusione è che meno lo Stato fa e meno sviluppa capacità e più i dipendenti pubblici si disaffezionano al lavoro.
Infine emerge che i paesi europei con più alto debito, tra cui l’Italia, sono quelli che non hanno provveduto agli investimenti necessari in economia e cioè nell’istruzione, nella ricerca e sviluppo, nella innovazione e nelle istituzioni pubbliche finanziarie dinamiche.
Interessante è poi l’analisi che la Mazzucato fa della missione Apollo 11 che porterà l’uomo sulla Luna, sia per gli aspetti che hanno riguardato gli effetti moltiplicatori dell’investimento pubblico, sia per gli effetti diffusivi, cosiddetto spillover, che infine per il cambiamento indotto nel sistema burocratico anche della stessa Nasa. A seguito del disastro della missione Apollo 1 nella quale morirono tre astronauti, venne introdotto un metodo di lavoro collettivo fondato sulla gestione dei sistemi e più precisamente sulla necessità che ogni protagonista avesse sempre presente il progetto d’insieme anziché le singole parti.
I grandissimi investimenti pubblici nella missione sono stati ripagati da quegli effetti diffusivi che forse non avremmo avuto o comunque non sarebbero stati raggiunti con quella tempistica. Ai viaggi spaziali dobbiamo i telefoni con fotocamere, le calzature sportive, le lenti antigraffio, la TAC, le coperte termiche, il LED, i sistemi di purificazione dell’acqua, lo sminamento, l’aspirapolvere, i termometri auricolari, l’isolamento domestico, il rilevatore di fumo regolabile, il Jaws of life (sistemi idraulici per liberare le vittime di incidenti stradali), le cuffie senza fili, le protesi per gli arti, i materassi memory, il mouse, il cibo liofilizzato ed il computer portatile. Nonché’ alcune tecnologie scaturite dal programma Apollo come i pannelli solari, i Pacemaker, gli orologi al quarzo e tante altre.
A questo punto la domanda dell’autrice è: come possiamo applicare l’esperienza virtuosa della missione sulla Luna ai problemi che affliggono il pianeta?
L’idea della Mazzucato è quella di avere un approccio orientato alla Missione.
I problemi contemporanei sono complessi e comprendono sfide che coinvolgono, a livello planetario, il cambiamento climatico, la salute, l’alimentazione, la povertà, le diseguaglianze.
Operare in questa direzione significa individuare i problemi che si vogliamo risolvere e le interconnessioni nei diversi settori dell’economia in modo che i differenti traguardi che si vogliono raggiungere possano promuovere innovazione e investimenti intersettoriali.
L’Ue con il programma Horizon Europe, utilizza questo approccio come strumento giuridico.
Pensare in questi termini significa, per la Mazzucato, ripensare il ruolo dello Stato in economia, mettendo l’obiettivo al primo posto e risolvendo i problemi che sono importanti per i cittadini. Ciò significa che lo Stato deve eliminare tutti i compartimenti stagni che impediscono il raggiungimento degli obiettivi. Ad es. una missione per la crescita pulita, coinvolgerà il Ministero dei trasporti, delle imprese, dell’industria, dell’energia, del tesoro ed il budget previsto deve coinvolgere più settori.
Il pensiero orientato alla missione non può fondarsi sullo status quo, ma deve individuare i problemi che possono coinvolgere vari settori, non per distribuire risorse alle imprese ma per favorire la creazione di soluzioni e progetti diversi, per condividere i rischi, creare nuovi mercati e favorire il cambiamento.
La Mazzucato ritiene che per migliorare l’economia politica e per portare avanti un approccio fondato sulla missione occorre puntare su sette pilastri: avere un nuovo modo di pensare al valore e a come si crea. Per l’economista lo Stato, le imprese e la società’ civile devono creare valore insieme. Il secondo è che le missioni non devono servire a correggere le storture dei mercati bensì lo Stato deve avere un ruolo attivo nella creazione e ne deve indicare la direzione. Il terzo attiene al cambiamento organizzativo. Se l’obiettivo è comune, occorre capacità di cooperazione.
Il quarto attiene al finanziamento che deve tendere a temere meno il debito pubblico, concentrandosi su ciò che si vuole fare e poi su come pagare quelle azioni. Il quinto riguarda la crescita inclusiva e la distribuzione. Occorre dare importanza ai posti di lavoro di qualità ed alle strutture di proprietà collettiva come i dati.
IL sesto riguarda il partenariato e il valore per i vari soggetti sociali. Il settimo riguarda la partecipazione e la creazione del valore collettivamente.
In conclusione l’economista ritiene che per risolvere i complessi problemi che affliggono l’umanità sia necessario immaginare un nuovo ruolo per lo Stato, che sappia ristrutturare il capitalismo in modo inclusivo, sostenibile e diretto all’innovazione.

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