In giro nel Sulcis, senza identità

24 Luglio 2021
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Andrea Pubusa

(Chiesa campestre di S. Elia - Nuxis)

Ogni anno d’estate mi reco ualche giorno dalle mie parti, nei paesi del Basso Sulcis, detto “basso” anhe se, in realtà è l’Alto Sulcis, avendo a Nuxis monti che superano i mille metri, fra l’altro, i più antichi d’Europa: secondo lo Speleoclub di Nuxis più di 500 milioni di anni! E dato che ci siamo la più estesa foresta non della Sardegna, ma del Mediterraneo, da Siliqua a Capoterra. Ma non è di questo che voglio parlare, voglio dirvi della sensazione di assoluta perdita di identità di molti di questi piccoli centri.
Tratalias, ad esempio, ha abbattuto il suo bel borgo medievale, salvando la magnifica Cattedrale romanica, già sede arcivescovile, prima del trasferimento della stessa ad Iglesias. Hanno salvato anche qualche abitazione intorno, ormai pubblico demanio, senza sapere che farne, ma in cambio si sono fatti costruire un quartiere, il nuovo paese, simile a qualsiasi pessimo rione di edilizia popolare della periferia urbana di qualsiasi città. E dire che Tratalias è un centro con belle proprietà, ottimi terreni e, almeno in passato di una certa floridezza. Si tiene anche una processione da molti secoli da Iglesias a Tratalias per riportare nella sua vecchia sede il vescovo. Come quella che riportava da Iglesias a S. Antioco le spoglie del santo, trasferite per paura delle razzie dei nordafricani, ad Iglesias. Fra l’altro un santo nero, medico esiliato lì dall’Africa, perchè dalla parte dei poveri. Che bella storia! Non a caso è il patrono della Sardegna, terra d’incontro dei popoli mediterranei. La processione, ora che il santo è tornato, nella sua Chiesa, si svolge nell’isola, ma molti non sanno che è più risalente di quella di S. Efis, altro magnifico santo popolare, proveniente d’oltre mare.
Nella stessa operazione di Tratalias sono stati distrutti i paesi di Villarios, di cui non hanno risparmiato neanche la Chiesa, e Palmas, di cui hanno salvato solo l’antica Chiesa, ora spersa nel nulla.
In antichità erano i nemici vincitori che radevano al suolo i centri dei vinti, ora sono gli stessi abitanti. E’ come se Cartagine si fosse autoannullata.
Ma anche gli altri centri del Sulcis sopravissuti non se la passano bene. Narcao, ad esempio, dove mi reco puntualmente ai concerti del blues, di cui Gianni Melis, con tenacia ammirevole, ci delizia ogni luglio, quasi ad aprire ufficialmente l’estate, il tempo delle vacanze, Narcao, dicevo, ha modificato completamente il suo centro. Cosa vedesse mio nonno e mio bisnonno che, amministrativamente, avevano il loro bel furriadroxiu in agro di Narcao, non si potrà più sapere. Ora ci sono bellissimi bar, moderni, spaziosi ristoranti, quache negozio pretenzioso, come quelli che vedi in qualunque centro del mondo. Identità cancellata, zero. Come a Mamoida, del resto, dove i mamuthones fanno il corteo in un luogo improbabile.
Masainas, centro agricolo importante, un tempo, nell’Ottocento, comune autonomno, ora frazione di Giba, paese di ottime terre e riccozzi proprietari ha rivoltato perfino la facciata della Chiesa, inventandosene una laterale per dare sulla nuova via, mentre quella antica, le vedi solo se esci dalla  parte che ti indica l’originario orientamento della Chiesa.
Nuxis, paese noto per la sua fonte abbondante citata anche dal Casalis, luogo di acque e giardini, ha nascosto l’acqua sotto un manto di cemento, trasformando un fiume in fogna. Certo, da quando l’acqua alimenta la condotta comunale, d’estate è poca, ma poteva farsi una bella gora con laghetto, come a Monte Urpinu e in tanti altri luoghi. A Friburgo le gore attraversano ancora il centro storico, rendendolo molto suggestivo. A Nuxis la scomparsa della comunità, come soggetto politico-culturale, è testimoniato dalla contestauale scomparsa del fiume e della festa del Santo Patrono, Santu Perdu, il 29 giugno, un tempo molto rinomata e frequentata, anche per la presenza dell’acqua vicino alla Chiesa, che consentiva ai pellegrini di sostare, arrostire, e mangiare in allegria. E’ scomparsa anche la festa nella chiesetta di S. Elia, a Tattinu, uno degli edifici religiosi più antichi dell’isola (anno mille), con forma chiaramente orientaleggiante, come il santo, del resto.
Sapete che nel Sulcis, e non solo, i pasticceri non sanno che i dolci sardi non sono …dolci. I sardi non conoscevano lo zucchero e i cosiddetti dolci erano accompagnati da bevute di vino, vernaccia e simili. Chi voleva addolcire metteva il  miele. Ora si mangiano pardule o amaretti inzuppati nello zucchero!
Un tristezza, perché tutto questo non sembra segno di modernità, di passaggio da una società agricola ad una più in sintonia coi tempi, come è naturale. E’ un passaggio al nulla. E dire che dal Sulcis sono entrate in Sardegna grandi idee innovatrici, da ultimo il socialismo con Cavallera e i battellieri di Carloforte e poi i minatori dell’Iglesiente. A Carloforte nel 1792-3 è stata istituita, anche se ha avuto vita breve, dal  rivoluzionaro toscano-francese Filippo Buonarroti la prima repubblica comunista del mondo moderno, con tanto di nuova costituzione!
Ora, è tutto un mortorio, salve alcune iniziative come Narcaoblues o il jazz a S. Anna Arresi, invenzione di quel sognatore di Basilio Sulis, recentemente scomparso, o come la ricerca dei vecchi semi a Masainas.  O come le belle iniziative di Giampiero Pinna, altro instancabile, sul cammino di S. Barbara. Tutto l’altro è case improbabili, vecchie abitazioni abbandonate in crollo e in vendita senza compratori, villette, di stile improbabile, sparse, con la gente isolata, salvata, la sera, dalla solitudine dal piccolo schermo delle banalità. Qualche continentale d’estate a cui rifilare il mirto sardo, ricco…di zuccheri!
Bah, forse, come tutti o quasi, col passar degli anni, mi sto rincoglionendo per la nostalgia (ammesso che non lo fossi già prima), ma non vedo grandi prospettive. Come per la Sardegna, del resto, con Solinas e Zedda, omologhi nell carriera e nelle opere.
Ma tant’è. Ora mi preparo per il concerto consolatore di Narcao. Oggi chitarra resofonica e voce , nonché musica di matrice africana, anche se cantata da una potente voce irlandese. Una fresco birroncino Ichnusa naturalmente, che oggi si chiama, anonimamente, 040.

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