Carbonia. Combustibili e miniere. Dagli aiuti ERP-UNRRA al Piano Marshall

6 Giugno 2021
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Gianna Lai


Oggi, domenica, nuovo post sulla storia di Carbonia dal 1° settembre 2019.

Apre il 1947 la firma del trattato di pace, in data 10 febbraio, che “restituì all’Italia la sovranità nazionale perduta con la resa incondizionata del settembre 1943″. E, prima ancora, il viaggio di De Gasperi in America, da cui “lo statista trentino tornò con un accredito- ampiamente reclamizzato dai cinegiornali- di 100 milioni di dollari: il carbone aveva vinto la gara con l’autarchia”. Proprio in  “uno dei peggiori inverni che l’Europa abbia conosciuto e che coincise con una severa crisi del carbone in Inghilterra, allora,  in mancanza della produzione tedesca, la nostra unica fornitrice di quel combustibile”. Sul carbone si giocano le sorti del Paese, mentre  “la crisi di combustibili colpisce  l’industria italiana, proprio durante la ricostruzione”, e il suo approvvigionamento diviene uno de “i compiti principali  che spettano al governo” oltre, naturalmente  “alla stabilizzazione della moneta e agli interventi  finanziari dello Stato, sia diretti, sia sostenitori dell’iniziativa privata”. Quindi, “assicurare una quantità di rifornimenti alimentari, di carbone e di materie prime sufficienti alla vita della popolazione e alla riattivazione delle industrie, combattere ed eliminare il mercato nero”, che continua a imperversare sopratutto nella compravendita dei combustibili, e di quelli esteri e di quelli prodotti in Italia. E sulle forniture, di carbone principalmente, e di grano, ci si era accordati tra governo italiano e UNRRA, per una cifra di 450 milioni di dollari:, d’ora in poi sarebbe dipesa “dal governo americano gran parte delle importazioni”.
Perché è vero che in quei mesi l’estrazione dei combustibili fossili ebbe una vivace ripresa nel nostro Paese, “in relazione  alle persistenti difficoltà degli approvvigionamenti dall’estero”, fino a raggiungere una produzione totale, nel 1947, di 3.224.207 tonnellate di combustibili fossili, superiore cioè, nonostante la perdita dei consistenti bacini di carbone liburnico dell’ARSA (Pola), a quella prebellica. A fianco al Sulcis, in particolare, la lignite delle miniere di Ribolla, nel Valdarno. Ma è anche vero che il graduale aumento delle importazioni (nel 1946 -50 si aggirarono sugli 8,5-9 milioni di tonnellate annue di carbone) e lo sviluppo gigantesco  dei combustibili liquidi e gassosi, non tardarono a mettere a nudo l’antieconomicità  di molte miniere,  la cui chiusura venne rinviata solo dall’opposizione delle maestranze, minacciate di licenziamento”. Ed è anche per questo che “già allora, si cominciavano a prospettare alternative di più economica utilizzazione di qualcuno dei maggiori giacimenti, nel tentativo di evitarne la definitiva chiusura”, ormai prevedibile ed anzi del tutto imminente, nel disegno politico stesso del governo italiano.
In vista della fine del programma UNRRA,  i previsti “11 miliardi di dollari, concessi alla condizione che fossero impiegati esclusivamente  nell’acquisto di prodotti americani”le autorità italiane ancora impegnate per ottenere dal governo americano assicurazioni sul suo  intervento economico nel passaggio, appunto, dall’UNRRA al Piano Marshall, pur se sotto una qualsiasi altra forma di aiuto. Risalendo solo al 12 marzo l’annuncio di Truman sulla dottrina “di soccorso economico e militare ai paesi minacciati dal comunismo”, che implicava una più rigorosa organizzazione  politica ed economica della sfera di influenza americana. E a luglio la discussione a Parigi del Piano Marshall, per la ricostruzione economica del continente. Si trattava allora di garantirsi, fin dalla visita del presidente De Gasperi, a gennaio, approvvigionamenti sicuri anche per tutto il periodo di transizione ERP UNRRA-Piano Marshall, mentre il 15 marzo l’Italia aderiva agli accordi di Bretton Woods, entrava nel Fondo monetario internazionale e nella banca mondiale, e “il 27 marzo aderiva alla Banca internazionale per la ricostruzione. Le vengono concesssi 300 milioni di dollari”. Dal  settembre del 1947 alla fine del 1950, gli USA avrebbero lanciato il loro massiccio programma di aiuti all’Europa, mentre l’Italia  veniva sottoposta dalle autorità governative a un severo processo di deflazione,  la produzione del giugno di quell’anno  al 70% appena rispetto a quella del 1938, nel solo settore industriale ancora più di un milione di disoccupati.
In Sardegna si era  chiuso il 1946 con l’accorato appello del prefetto Sacchetti sulle condizioni di povertà della provincia di Cagliari, il 1947 si apre all’insegna della lotta contro la smobilitazione delle miniere,  motivo centrale per il sindacato, per le forze politiche e per la stessa Consulta isolana che, il 29 aprile di quell’anno, approvava  lo Statuto della Regione autonoma della Sardegna. E nel Sulcis aumentava effettivamente la produzione, fino a raggiungere  le 100 mila tonnellate mensili di combustibile estratto, in particolar modo da agosto in poi, quando divengono favorevoli le condizioni del mercato, sopratutto a seguito dello sciopero dei minatori americani. Fu allora che, a causa della drastica e pericolosa riduzione delle importazioni USA, la stessa CGIL da Roma avrebbe chiesto ai minatori di Carbonia, “durante il Congresso provinciale della Camera del lavoro di Cagliari,  una più forte produzione”,  ed i minatori avrebbero immediatamente aderito all’appello della Confederazione Sindacale. Una produzione che, in quell’anno, toccò il 1.192.000 tonnellate di combustibile  estratto, contro il 1.008.412 del 1946 e le  554.988 tonnellate del 1945. Le maestranze passano, verso la fine dell’anno, dai 12 mila operai occupati ai 18 mila, secondo  un rendimento totale, per minatore, di 0,281 tonnellate a gennaio, che raggiunge le  0,302 a dicembre:  a Pasqua il traguardo delle 100mila tonnellate mensili di produzione, con premi alle maestranze e ai dirigenti.

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