Un messaggio della Costituzione, un compito della Repubblica: la scuola

3 Giugno 2021
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Piero Calamandrei, Discorso a difesa della scuola pubblica pronunciato al III Congresso dell’Associazione a difesa della scuola nazionale (ADSN), tenutosi a Roma l’11 febbraio 1950, e apparso per la prima volta in Scuola democratica, periodico di battaglia per una nuova scuola, Roma, iv, suppl. al n. 2 del 20 marzo 1950, pp. 1-5.

Piero Calamandrei, Discorso a difesa della scuola pubblica

Cari colleghi,

Noi siamo qui insegnanti di tutti gli ordini di scuole, dalle elementari alle università, affratellati in questo esercizio quotidiano di altruismo, in questa devozione giornaliera al domani, all’avvenire che noi prepariamo e che non vedremo, che è l’insegnamento. Siamo qui riuniti in questo convegno che si intitola alla Difesa della scuola.

Perché difendiamo la scuola? Forse la scuola è in pericolo? Qual è la scuola che noi difendiamo? Qual è il pericolo che incombe sulla scuola che noi difendiamo?

Può venire subito in mente che noi siamo riuniti per difendere la scuola laica. Ed è anche un po’ vero ed è stato detto stamane. Ma non è tutto qui, c’è qualche cosa di più alto.

Questa nostra riunione non si deve immiserire in una polemica fra clericali ed anticlericali. Senza dire, poi, che si difende quello che abbiamo. Ora, siete proprio sicuri che in Italia noi abbiamo la scuola laica? Che si possa difendere la scuola laica come se ci fosse, dopo l’art. 7? Ma lasciamo fare, andiamo oltre. Difendiamo la scuola democratica: la scuola che corrisponde a quella Costituzione democratica che ci siamo voluti dare; la scuola che è in funzione di questa Costituzione, che può essere strumento, perché questa Costituzione scritta sui fogli diventi realtà.

Vedete, amici, io non sono un pedagogista, non sono un esperto di questioni scolastiche. Io sono un giurista abituato per abito mentale a vedere di tutti i problemi l’aspetto giuridico. E quindi anche del problema della scuola, quale si presenta oggi a questo congresso, sarò portato naturalmente a vedere gli aspetti giuridici, costituzionali. Mi dispiace per l’amico Targetti [N.D. politico socialista, membro della costituente prima, della Camera poi], che ha detto con la sua solita amabilità che si riprometteva di divertirsi ad ascoltarmi. Non si divertirà, non vi divertirete; ma cercherò di dirvi delle cose esatte e chiare perché nell’affrontare e nel risolvere i problemi bisogna prima di tutto avere esatta consapevolezza dei loro termini.

La scuola, come la vedo io, è un organo “costituzionale”. Ha la sua posizione, la sua importanza al centro di quel complesso di organi che formano la Costituzione. Come voi sapete (tutti voi avrete letto la nostra Costituzione), nella seconda parte della Costituzione, quella che si intitola “l’ordinamento dello Stato”, sono descritti quegli organi attraverso i quali si esprime la volontà del popolo. Quegli organi attraverso i quali la politica si trasforma in diritto, le vitali e sane lotte della politica si trasformano in leggi.

Ora, quando vi viene in mente di domandarvi quali sono gli organi costituzionali, a tutti voi verrà naturale la risposta: sono le Camere, la Camera dei deputati, il Senato, il presidente della Repubblica, la Magistratura: ma non vi verrà in mente di considerare fra questi organi anche la scuola, la quale invece è un organo vitale della democrazia come noi la concepiamo. Se si dovesse fare un paragone tra l’organismo costituzionale e l’organismo umano, si dovrebbe dire che la scuola corrisponde a quegli organi che nell’organismo umano hanno la funzione di creare il sangue. Gli organi ematopoietici, quelli d cui parte il sangue che rinnova giornalmente tutti gli altri organi, che porta a tutti gli altri organi, giornalmente, battito per battito, la rinnovazione e la vita.

La scuola, organo centrale della democrazia, perché serve a risolvere quello che secondo noi è il problema centrale della democrazia: la formazione della classe dirigente. La formazione della classe dirigente, non solo nel senso di classe politica, di quella classe cioè che siede in Parlamento e discute e parla (e magari urla) che è al vertice degli organi più propriamente politici, ma anche classe dirigente nel senso culturale e tecnico: coloro che sono a capo delle officine e delle aziende, che insegnano, che scrivono, artisti, professionisti, poeti.

Questo è il problema della democrazia, la creazione di questa classe, la quale non deve essere una casta ereditaria, chiusa, una oligarchia, una chiesa, un clero, un ordine. No. Nel nostro pensiero di democrazia, la classe dirigente deve essere aperta e sempre rinnovata dall’afflusso verso l’alto degli elementi migliori di tutte le classi, di tutte le categorie. Ogni classe, ogni categoria deve avere la possibilità di liberare verso l’alto i suoi elementi migliori, perché ciascuno di essi possa temporaneamente, transitoriamente, per quel breve istante di vita che la sorte concede a ciascuno di noi, contribuire a portare il suo lavoro, le sue migliori qualità personali al progresso della società.

Vi ho detto che io sono un giurista; ma ho l’abitudine, che mi deriva forse un po’ da una certa affezione toscana al disegno ben fatto, di associare i concetti giuridici e politici a qualche immagine, che poi mi serve ad affezionarmi a questi concetti. Ora, quando io penso a questo concetto della classe dirigente aperta in continuo rinnovamento, che deriva dall’affluire dal basso di questi elementi migliori, cui la scuola deve dare la possibilità di affiorare, mi viene in mente (se c’è qui qualche collega botanico mi corregga se dico degli errori) una certa pianticella che vive negli stagni e che ha le sue radici immerse al fondo, che si chiama la vallisneria e che nella stagione invernale non si vede perché è giù nella melma. Ma quando viene la primavera, quando attraverso le acque queste radici che sono in fondo si accorgono che è tornata la primavera, da ognuna di queste pianticelle comincia a svolgersi uno stelo a spirale, che pian piano si snoda, si allunga finché arriva alla superficie dello stagno: e insieme con essa altre cento pianticelle e anche esse in cerca del sole. E quando arriva su, ognuna, appena sente l’aria, fiorisce, ed in pochi giorni la superficie dello stagno, che era cupa e buia, appare coperta da tutta una fioritura, come un prato.

Anche nella società avviene, dovrà avvenire qualche cosa di simile. Da tutta la bassura della sorte umana originaria, dall’incultura originaria dovrà ciascuno poter lanciare su, snodare il suo piccolo stelo per arrivare a prendere la sua parte di sole. A questo deve servire la democrazia, permettere ad ogni uomo degno di avere la sua parte di sole e di dignità. Ma questo può farlo soltanto la scuola, la quale è il complemento necessario del suffragio universale. La scuola, che ha proprio questo carattere in alto senso politico, perché solo essa può aiutare a scegliere, essa sola può aiutare a creare le persone degne di essere scelte, che affiorino da tutti i ceti sociali.

Vedete, questa immagine è consacrata in un articolo della Costituzione, sia pure con una formula meno immaginosa. È l’art. 34, in cui è detto: “La scuola è aperta a tutti. I capaci ed i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”. Questo è l’articolo più importante della nostra Costituzione. Bisogna rendersi conto del valore politico e sociale di questo articolo. Seminarium rei pubblicae, dicevano i latini del matrimonio.

Noi potremmo dirlo della scuola: seminarium rei pubblicae: la scuola elabora i migliori per la rinnovazione continua, quotidiana della classe dirigente. Ora, se questa è la funzione costituzionale della scuola nella nostra Repubblica, domandiamoci: com’è costruito questo strumento? Quali sono i suoi principi fondamentali?

Prima di tutto, scuola di Stato. Lo Stato deve costituire le sue scuole. Prima di tutto la scuola pubblica. Prima di esaltare la scuola privata bisogna parlare della scuola pubblica. La scuola pubblica è il prius, quella privata è il posterius. Per aversi una scuola privata buona bisogna che quella dello Stato sia ottima (applausi). Vedete, noi dobbiamo prima di tutto mettere l’accento su quel comma dell’art. 33 della Costituzione che dice così: “La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi”. Dunque, per questo comma -scusate se io vi faccio una specie di commento esegetico, piuttosto pedantesco- lo Stato ha in materia scolastica, prima di tutto una funzione normativa. Lo Stato deve porre la legislazione scolastica nei suoi principi generali. Poi, immediatamente, lo Stato ha una funzione di realizzazione.

Lo Stato non si deve limitare a porre i principi platonici, ideali, teorici della Costituzione delle scuole, le deve costituire in conformità, con fedeltà a questi principi. Istituire, realizzare tutte le scuole, di tutti gli ordini. E questo non deve fare a titolo, direi quasi, di campionario. Lo stato non deve dire: io faccio una scuola come modello, poi il resto lo facciano gli altri. No, la scuola è aperta a tutti e se tutti vogliono frequentare la scuola di Stato, ci devono essere in tutti gli ordini di scuole, tante scuole ottime, corrispondenti ai principi posti dallo Stato, scuole pubbliche, che permettano di raccogliere tutti coloro che si rivolgono allo Stato per andare nelle sue scuole. La scuola è aperta a tutti. Lo Stato deve quindi costituire scuole ottime per ospitare tutti. Questo è scritto nell’art. 33 della Costituzione.

La scuola di Stato, la scuola democratica, è una scuola che ha un carattere unitario, è la scuola di tutti, crea cittadini, non crea né cattolici, né protestanti, né marxisti. La scuola è l’espressione di un altro articolo della Costituzione: dell’art. 3: “Tutti i cittadini hanno parità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinione politica, di condizioni personali e sociali”. E l’art. 51: “Tutti i cittadini possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge”. Di questi due articoli deve essere strumento la scuola di stato, strumento di questa eguaglianza civica, di questo rispetto per le libertà di tutte le fedi e di tutte le opinioni.

Questo strumento è la scuola pubblica, democratica; della quale è stato detto esattamente da un caro amico, da Guido Calogero:

Attraverso la struttura dei programmi e del metodo didattico e la piena apertura della scuola a insegnanti ed a studenti di ogni convincimento e di ogni religione, senza alcuna preferenza di parte per gli uni e per gli altri, la scuola pubblica assicura che ogni voce sia presente, che nessuna verità venga insegnata senza essere anzitutto messa in dubbio nel pacato confronto con le verità opposte, che l’acquisizione dei convincimenti abbia luogo non sotto la pressione di una mentalità dogmatica, ma nello spirito della libera discussione critica, solo capace di non far dimenticare i contemporanei diritti dei convincimenti altrui.

Quando la scuola pubblica è così forte e sicura, allora, ma allora soltanto, la scuola privata non è pericolosa. Allora, ma allora soltanto, la scuola privata può essere un bene. Può essere un bene che forze private, iniziative pedagogiche di classi, di gruppi religiosi, di gruppi politici, di filosofie, di correnti culturali, cooperino con lo stato ad allargare, a stimolare, e a rinnovare con varietà di tentativi la cultura.

Al diritto della famiglia, che è consacrato in un altro articolo della Costituzione, nell’articolo 30, di istruire e di educare i figli, corrisponde questa opportunità che deve essere data alle famiglie di far frequentare ai loro figlioli scuole di loro gradimento e quindi di permettere la istituzione di scuole che meglio corrispondano – con certe garanzie che ora vedremo – alle preferenze politiche, religiose, culturali di quella famiglia. Ma rendiamoci ben conto che mentre la scuola pubblica è espressione di unità, di coesione, di uguaglianza civica, la scuola privata è espressione di varietà, che può voler dire eterogeneità di correnti decentratici, che lo stato deve impedire che divengano correnti disgregatrici. La scuola privata, in altre parole, non è creata per questo.

La scuola della repubblica, la scuola dello stato, non è la scuola di una filosofia, di una religione, di un partito, di una setta. Quindi, perché le scuole private sorgendo possano essere un bene e non un pericolo, occorre:

  1. che lo stato le sorvegli e le controlli e che sia neutrale, imparziale tra esse. Che non favorisca un gruppo di scuole private a danno di altre.
  2. Che le scuole private corrispondano a certi requisiti minimi di serietà di organizzazione. Solamente in questo modo e in altri più precisi, che tra poco dirò, si può avere il vantaggio della coesistenza della scuola pubblica con la scuola privata. La gara cioè tra le scuole statali e le scuole private.

Che si stabilisca una gara tra le scuole pubbliche e le scuole private, in modo che lo stato da queste scuole private che sorgono, e che eventualmente possono portare idee e realizzazioni che finora nelle scuole pubbliche non c’erano, si senta stimolato a far meglio, a rendere, se mi sia permessa l’espressione, “più ottime” le proprie scuole. Stimolo dunque deve essere la scuola privata allo stato, non motivo di abdicazione.

Ci siano pure scuole di partito o scuole di chiesa. Ma lo stato le deve sorvegliare, le deve regolare; le deve tenere nei loro limiti e deve riuscire a far meglio di loro. La scuola di stato, insomma, deve essere una garanzia, perché non si scivoli in quello che sarebbe la fine della scuola e forse la fine della democrazia e della libertà, cioè nella scuola di partito.

Come si fa a istituire in un paese la scuola di partito? Si può fare in due modi. Uno è quello del totalitarismo aperto, confessato. Lo abbiamo sperimentato, ahimè. Credo che tutti qui ve ne ricordiate, quantunque molta gente non se ne ricordi più. Lo abbiamo sperimentato sotto il fascismo. Tutte le scuole diventano scuole di stato: la scuola privata non è più permessa, ma lo stato diventa un partito e quindi tutte le scuole sono scuole di stato, ma per questo sono anche scuole di partito. Ma c’è un’altra forma per arrivare a trasformare la scuola di stato in scuola di partito o di setta. Il totalitarismo subdolo, indiretto, torpido, come certe polmoniti torpide che vengono senza febbre ma che sono pericolosissime.

Facciamo l’ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuol fare la marcia su Roma e trasformare l’aula in alloggiamento per i manipoli; ma vuol istituire, senza parere, una larvata dittatura. Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di stato in scuole di partito? Si accorge che le scuole di stato hanno il difetto di essere imparziali. C’è una certa resistenza; in quelle scuole c’è sempre, perfino sotto il fascismo c’è stata. Allora, il partito dominante segue un’altra strada (è tutta un’ipotesi teorica, intendiamoci).

Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito, di quel partito. Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole private. Cure di denaro e di privilegi. Si comincia persino a consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono migliori – si dice – di quelle di stato. E magari si danno dei premi, come ora vi dirò, o si propone di dare dei premi a quei cittadini che saranno disposti a mandare i loro figlioli invece che alle scuole pubbliche alle scuole private. A “quelle” scuole private.

Gli esami sono più facili, si studia meno e si riesce meglio. Così la scuola privata diventa una scuola privilegiata. Il partito dominante, non potendo trasformare apertamente le scuole di stato in scuole di partito, manda in malora le scuole di stato per dare la prevalenza alle sue scuole private.

Attenzione, amici, in questo convegno questo è il punto che bisogna discutere. Attenzione, questa è la ricetta. Bisogna tener d’occhio i cuochi di questa bassa cucina.

L’operazione si fa in tre modi:

  1. ve l’ho già detto: rovinare le scuole di stato. Lasciare che vadano in malora. Impoverire i loro bilanci. Ignorare i loro bisogni.
  2. Attenuare la sorveglianza e il controllo sulle scuole private. Non controllarne la serietà. Lasciare che vi insegnino insegnanti che non hanno i titoli minimi per insegnare. Lasciare che gli esami siano burlette.
  3. Dare alle scuole private denaro pubblico. Questo è il punto. Dare alle scuole private denaro pubblico!

Quest’ultimo è il metodo più pericoloso. È la fase più pericolosa di tutta l’operazione. E badate che è già largamente impiegata, se non proprio nel campo della scuola, per esempio nel campo dell’assistenza scolastica, dove ci sono cifre inaudite, incredibili, decine di miliardi, si riesce a sapere dove sono andati a finire e se sono andati alle scuole pubbliche. Dove siano andati gli altri non si riesce a saperlo. Soltanto, senza bisogno di tanta fantasia, si riesce ad immaginarlo.

Questo dunque è il punto, è il punto più pericoloso del metodo. Denaro di tutti i cittadini, di tutti i contribuenti, di tutti i credenti nelle diverse religioni, di tutti gli appartenenti ai diversi partiti, che invece viene destinato ad alimentare le scuole di una sola religione, di una sola setta, di un solo partito.

Voi vi rendete conto che nella situazione catastrofica in cui si trova la scuola pubblica, si arriva a delle cifre paurose. Si parla di obbligo dell’istruzione, ma ci sono in Italia più di due milioni di ragazzi che si sottraggono all’obbligo dell’istruzione scolastica perché mancano cinquantamila aule; ed intanto si verifica una cosa veramente straordinaria. In Italia vi è la disoccupazione dei maestri. In Italia, dove ci sono tanti ragazzi che mancano della istruzione fondamentale, ci sono quarantamila maestri disoccupati, perché mancano le scuole!

Dunque, in questa situazione tragica è una follia, è un delitto pensare che lo stato, invece di concentrare nella scuola pubblica tutte le risorse del piccolo bilancio dell’istruzione (piccolo in confronto di altri bilanci che voi sapete quali sono) si metta a distribuire il denaro alle scuole private.

Negli stati in cui la scuola privata è in fiore, sono i privati che danno allo stato il contributo della loro ricchezza, per accrescere la vitalità scolastica della nazione. Non il rovescio: cioè che sia lo stato che dimentica di fare il minimo necessario per la propria scuola e che poi disperde i suoi pochi denari in questa specie di protezionismo scolastico che consiste nel dare sussidi alle scuole private.

Per prevedere questo pericolo, non ci voleva molta furberia. Durante la Costituente, a prevenirlo nell’articolo 33 della Costituzione fu messa questa disposizione: “Enti e privati hanno diritto di istituire scuole ed istituti di educazione senza onere per lo stato.

Come sapete questa formula nacque da un compromesso; e come tutte le formule nate da compromessi, offre il destro, oggi, ad interpretazioni sofistiche come quelle di chi sostiene: per questo articolo 33, un privato, se vuole istituire una scuola non ha diritto di rivolgersi allo stato per essere sussidiato al momento iniziale; ma una volta istituita la scuola, l’articolo 33 non vieta che ci si rivolga allo stato per avere successivamente un sussidio. Ed anche se diritto non c’è ci si rivolge allo stato, ed in certi casi c’è il buon cuore. Lo stato può, se vuole, alle scuole già istituite, dare un sussidio.

Ora, vedete, io credo che, dato questo testo, così com’è, non si possa negare che in casi eccezionalissimi lo stato possa dare un sussidio a scuole private. L’articolo 33 dice soltanto che non c’è diritto, ma bisogna che mettiamo in chiaro questo punto. Quindi mi pare che debba essere nostra cura e vostra, nel Congresso in cui discuterete anche questo punto di reclamare che questo articolo, nella prossima riforma, sia completato con disposizioni le quali garantiscano che questi sussidi dello stato alle scuole private possano essere dati soltanto in casi eccezionalissimi, attraverso controlli, e non già con il beneplacito del solo ministro, il quale è certamente persona imparziale, ma potrebbe anche venire in seguito un ministro che non sia imparziale. Quindi sussidio, sì ma con un controllo preciso, di organi il più possibile indipendenti. Io penso che potrebbe essere la commissione legislativa della Camera o del Senato per l’istruzione.

Questo o altro sistema che si escogiti, è un problema da esaminare attentamente.

Ma poi c’è un’altra questione che è venuta fuori, che dovrebbe permettere di raggirare la legge. Si tratta di ciò che noi giuristi chiamiamo la “frode alla legge”, che è quel quid che i clienti chiedono ai causidici di pochi scrupoli, ai quali il cliente si rivolge per sapere come può violare la legge figurando di osservarla. È strano che in certi documenti ufficiali, indubbiamente senza cattiva volontà, siano sfuggite frasi che possano far pensare a questa figura troppo nota della frode alla legge.

È venuta così fuori l’idea dell’assegno familiare, dell’assegno familiare scolastico. Il ministro dell’Istruzione al Congresso Internazionale degli Istituti Familiari, disse: la scuola privata deve servire a “stimolare” al massimo le spese non statali per l’insegnamento, ma non bisogna escludere che anche lo stato dia sussidi alle scuole private. Però aggiunse: pensate, se un padre vuol mandare il suo figliolo alla scuola privata, bisogna che paghi tasse. E questo padre è un cittadino che ha già pagato come contribuente la sua tassa per partecipare alla spesa che lo stato eroga per le scuole pubbliche. Dunque questo povero padre deve pagare due volte la tassa. Allora a questo benemerito cittadino che vuole mandare il figlio alla scuola privata, per sollevarlo da questo doppio onere, si dà un assegno familiare.

Chi vuol mandare un suo figlio alla scuola privata, si rivolge quindi allo stato ed ha un sussidio un assegno.

Disse il ministro: “È un argomento che per la sua novità non può non dare motivo a incertezze e a discordi pareri”. Certo, certo. Però confido che voi non sarete di discorde parere e che sarete tutti contrari, perché è un ragionamento che è basato su un sofisma. Il cittadino che paga due volte! Il mandare il proprio figlio alla scuola privata è un diritto, lo dice la Costituzione, ma è un diritto il farselo pagare? È un diritto che uno, se vuole, lo esercita, ma a proprie spese. Il cittadino che vuole mandare il figlio alla scuola privata, se la paghi, se no lo mandi alla scuola pubblica.

Per portare un paragone, nel campo della giustizia si potrebbe fare un discorso simile. Voi sapete come per ottenere giustizia ci sono i giudici pubblici; peraltro i cittadini hanno diritto di fare decidere le loro controversie anche dagli arbitri. Ma l’arbitrato costa caro, spesso costa centinaia di migliaia di lire. Eppure non è mai venuto in mente a un cittadino, che preferisca ai giudici pubblici l’arbitrato, di rivolgersi allo stato per chiedergli un sussidio allo scopo di pagarsi gli arbitri!

Ora, il ragionamento che è stato fatto non dal ministro, ma da chi gli ha preparato queste argomentazioni, è un ragionamento incoerente che non tiene conto della realtà giuridica delle norme alle quali si riferisce. Notate che lo stesso ministro ha invocato, e questo è il caso più grave e singolare, l’articolo 34 della Costituzione. Ha detto: “questo assegno familiare a queste persone che mandano i loro figli alla scuola privata, la Costituzione lo permette: c’è l’articolo 34”. L’articolo 34, dopo aver enunciato che i capaci ed i meritevoli hanno diritto di ricevere l’istruzione anche la più elevata, aggiunge che per rendere effettivo questo diritto la repubblica istituisce borse di studio, assegni alle famiglie, ed altre previdenze, che devono essere attribuite per concorso.

Ma cosa centra l’articolo 34 con gli assegni familiari? Questo articolo prevede solo che ci siano giovani che hanno speciali attitudini per continuare gli studi ed a costoro si debbano fornire i mezzi per concorso. Qui si tratta di cambiare le carte in tavola.

Dunque questo giuoco degli assegni familiari sarebbe, se fosse adottato, una specie di incitamento pagato a disertare le scuole dello stato e quindi un modo indiretto di favorire certe scuole, un premio per chi manda i figli in certe scuole private dove si fabbricano non i cittadini e neanche i credenti in una certa religione, che può essere cosa rispettabile, ma si fabbricano gli elettori di un certo partito.

Poi, nella riforma, c’è la questione della parità.

L’articolo 33 della Costituzione nel comma che si riferisce alla parità, dice: “La legge, nel fissare diritti ed obblighi della scuola non statale, che chiede la parità, deve assicurare ad essa piena libertà, un trattamento equipollente a quello delle scuole statali”.

Come sapete, questa parola parità venne fuori anche qui da un compromesso politico. Si parlò prima di pareggiamento, di parificazione, parole che avevano un certo significato preciso, poi, nell’articolo della Costituzione la parola parità.

Parità, sì, ma bisogna ricordarsi che prima di tutto, prima di concedere la parità, lo stato, lo dice lo stesso articolo 33, deve fissare i diritti e gli obblighi della scuola a cui concede questa parità, e ricordare che per un altro comma dello stesso articolo, lo stato ha il compito di dettare le norme generali sulla istruzione. Quindi questa parità non può significare rinuncia a garantire, a controllare la serietà degli studi, i programmi, i titoli degli insegnanti, la serietà delle prove. Bisogna insomma evitare questo nauseante sistema, questo ripugnante sistema che è il favorire nelle scuole la concorrenza al ribasso: che lo stato favorisca non solo la concorrenza della scuola privata con la scuola pubblica ma che lo stato favorisca questa concorrenza favorendo la scuola dove si insegna peggio, con un vero e proprio incoraggiamento ufficiale alla bestialità.

Nella relazione della riforma è venuta fuori un’altra idea ed un altro paragone giuridico.

Il ministro Gonella ha un cattivo avvocato che lo consiglia, perché tutte le volte che parla di cose giuridiche dice cose che non hanno alcun fondamento. Nella relazione si dice che siccome nella Costituzione c’è il diritto alla scuola privata, per effetto di ciò (sono parole della relazione), si deve ritenere che ormai, per aprire una scuola privata non vi sia più bisogno della autorizzazione preventiva, la quale d’ora in avanti potrebbe essere sostituita dalla “notifica”, analogamente a quanto è stabilito dalla legge sulla stampa. In altri termini, ogni cittadino e ogni ente che si propone di aprire una scuola privata, dovrà notificare l’apertura alla autorità scolastica e sarà compito di questa di accertare in seguito se sussistono alcune condizioni inderogabili relative sia al soggetto che apre la scuola, sia alla scuola stessa.

Ora, questa questione della libertà della scuola privata che c’entra con la libertà di stampa? In materia scolastica, prima di tutto, c’è il dovere ed il potere dello stato di istituire scuole sue. Lo stato ha il dovere di insegnare, ma non il dovere di pubblicare, di stampare. La stampa può essere un’attività riservata interamente ai privati. Ma la scuola prima di tutto deve essere una attività, una funzione che lo stato svolge da sé, deve svolgere in quel modo che ho detto, e l’attività privata scolastica è solo un complemento di quella dello stato. È lo stato che deve istituire scuole, è lo stato che stabilisce il livello scolastico degli studi e si accerta che le altre scuole corrispondano a questo livello. E poi, vedete, anche nel paragone alla libertà di stampa c’è il trucco avvocatesco. L’articolo 21 che dice: la stampa non può essere soggetta a limitazione, non esclude che le leggi stabiliscano per la stampa una quantità di limitazioni preventive.

Neanche per la stampa è sempre vero che questo diritto si possa esercitare senza alcuna autorizzazione preventiva, ma soltanto con una notifica.

Ora, non c’è un articolo che dica che la scuola privata non può essere soggetta a limitazioni.

La riforma della scuola merita una discussione approfondita e serena. Di fuori si vede una quantità di belle cose. Fumo, scenari, inchieste, questionari. Una grande commissione ha lavorato. Hanno preso un palazzo ed in questo palazzo hanno lavorato intensamente. Passando di là si vedevano luci sempre accese e facevano ricordare le luci di Palazzo Venezia quando si passava sotto le finestre.

Però questa riforma mi dà l’impressione di quelle figure che erano di moda quando ero ragazzo. In quelle figure si vedevano foreste, alberi, stagni, monti, tutto un groviglio di tralci e di uccelli e di tante altre belle cose e poi sotto c’era scritto: trovate il cacciatore. Allora, a furia di cercare, in un angolino, si trovava il cacciatore con il fucile spianato. Anche nella riforma c’è il cacciatore con il fucile spianato. È la scuola privata che si vuole trasformare in scuola privilegiata. Questo è il punto che conta. Tutto il resto, cifre astronomiche di miliardi, avverrà nell’avvenire lontano, ma la scuola privata, se non state attenti, sarà realtà davvero domani. La scuola privata si trasforma in scuola privilegiata e da qui comincia la scuola totalitaria, la trasformazione da scuola democratica in scuola di partito.

E poi c’è un altro pericolo forse anche più grave. È il pericolo del disfacimento morale della scuola.

Questo senso di sfiducia, di cinismo, più che di scetticismo che si va diffondendo nella scuola, specialmente tra i giovani, è molto significativo. È il tramonto di quelle idee della vecchia scuola di Gaetano Salvemini, di Augusto Monti: la serietà, la precisione, la onestà, la puntualità. Queste idee semplici. Il fare il proprio dovere, il fare lezione. E che anche la scuola sia una scuola del carattere, formatrice di coscienze, formatrice di persone oneste e leali. Si va diffondendo l’idea che tutto questo è superato, che non vale più. Oggi valgono appoggi, raccomandazioni, tessere di un partito o di una parrocchia. La religione che è in sé una cosa seria, forse la cosa più seria, perché la cosa più seria della vita è la morte, diventa uno spregevole pretesto per fare i propri affari.

Questo è il pericolo: disfacimento morale della scuola. Non è la scuola dei preti che ci spaventa, perché cento anni fa c’erano scuole di preti in cui si sapeva insegnare il latino e l’italiano e da cui uscirono uomini come Giosuè Carducci. Quello che soprattutto spaventa sono i disonesti, gli uomini senza carattere, senza fede, senza opinioni. Questi uomini che dieci anni fa erano fascisti, cinque anni fa erano a parole antifascisti, ed ora son tornati, sotto svariati nomi, fascisti nella sostanza cioè profittatori del regime.

E c’è un altro pericolo: di lasciarsi vincere dallo scoramento. Ma non bisogna lasciarsi vincere dallo scoramento. Vedete, fu detto giustamente che chi vinse la guerra del 1918 fu la scuola media italiana, perché quei ragazzi, di cui le salme sono ancora sul Carso, uscivano dalle nostre scuole e dai nostri licei e dalle nostre Università. Però guardate anche durante la Liberazione e la Resistenza che cosa è accaduto. È accaduto lo stesso. Ci sono stati professori e maestri che hanno dato esempi mirabili, dal carcere al martirio. Una maestra che per lunghi anni affrontò serenamente la galera fascista è qui tra noi.

E tutti noi, vecchi insegnanti abbiamo nel cuore qualche nome di nostri studenti che hanno saputo resistere alle torture, che hanno dato il sangue per la libertà d’Italia.

Pensiamo a questi ragazzi nostri che uscirono dalle nostre scuole e pensando a loro, non disperiamo dell’avvenire. Siamo fedeli alla Resistenza. Bisogna, amici, continuare a difendere nelle scuole la Resistenza e la continuità della coscienza morale.”

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