Si infiamma il dibattito salute/profitto e qui non c’è discussione almeno per noi. Siamo per il diritto alla salute, “fondamentale”, come dice l’art. 32 della Costituzione; è vero, all’art. 41, la Carta tutela la libertà d’impresa, che però “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”. La salute, dunque, viene prima.
Siamo tuttavia per il lavoro, su cui si fonda la Repubblica, e quindi non possiamo rimanere sordi al “grido di dolore” che proviene dai ceti popolari senza occupazione e con un futuro incerto. Siamo pertanto favorevoli ad una politica che accompagni, con prudenza e ragionevolezza, la ripresa delle attività in sicurezza, come ci pare stia facendo Biden, seguendo le indicazioni degli scienziati e in particolare dell’autorevole Prof. Fauci. La vaccinazione di massa sembra dare i risultati sperati e perciò è corretto con coraggio tornare verso la normalità, mantenendo un occhio vigile verso l’evoluzione della pandemia.
Torneremmo sul tema, su cui l’articolo che proponiamo offre molti stimoli, confermando il 33esimo Rapporto Italia di Eurispes.
Vediamo quanto emerge da questa importante indagine. “Il 28,5% dei cittadini afferma di aver dovuto ricorrere al sostegno economico della famiglia di origine nell’ultimo anno, ma solo il 14,8% ha chiesto aiuto ad amici, colleghi o altri parenti. Il 15,1% ha fatto richiesta di un prestito bancario e quasi il doppio ha effettuato acquisti rateizzando il pagamento (28,7%).
Italiani in crisi economica, ecco come reagiscono - La difficoltà economica ha messo in moto diverse reazioni. Circa un decimo del campione ha messo in atto i seguenti comportamenti: chiedere soldi in prestito a privati (non amici/parenti) non potendo accedere a prestiti bancari (9,4%); tornare a vivere nella casa della famiglia d’origine o dai suoceri (10%); vendere/perdere dei beni (11,4%); ritardi nel saldo del conto presso commercianti/artigiani (11,8%). Sono di più invece gli intervistati che hanno pagato le bollette con forte ritardo (22,4%) e che sono stati in arretrato con le rate del condominio (18%). Per quanto riguarda particolari situazioni lavorative, sono molto simili tra loro le percentuali di quanti hanno accettato di lavorare senza contratto (15,4%) e hanno svolto più di un lavoro contemporaneamente (15,1%).
Crescono le rinunce a istruzione privata per figli, badanti e auto - Sul fronte dei servizi alla persona, fra chi ha figli in età scolare c’è chi ha rinunciato all’istruzione privata il 41,1%. Nelle situazioni familiari in cui c’era la necessità di una badante, ne ha fatto a meno un italiano su tre (33,4%), mentre in poco più di un caso su cinque sono state rimandate le visite mediche specialistiche (22,4%). Per quanto riguarda i consumi, gli italiani hanno rinunciato più spesso all’acquisto di una nuova automobile (37,3%), ma anche alle spese sulla casa (sostituzione di arredi/elettrodomestici 34,5% e riparazioni/ristrutturazioni 34,2%). Meno frequente il caso in cui è stata rimandata la riparazione del proprio auto/motoveicolo (23,9%).”
Un quadro terribile. Ecco ora l’analisi di Cicinelli.
Un disoccupato ogni quattro persone. Il conto presentato dalla rielaborazione delle stime fornite dalla Bce mostra una situazione occupazionale molto più drammatica delle cifre ufficiali. Accanto ai 2,5 milioni di disoccupati ufficiali in cerca di lavoro infatti vanno aggiunti i 3 milioni di persone espulse dal lavoro che non stanno cercando una nuova collocazione. Parliamo del 22% di disoccupati in Italia, che salgono al 25% se ci aggiungiamo i cassintegrati stabili. In sostanza per ogni attività produttiva, dalle fabbriche agli uffici ai negozi agli alberghi, un lavoratore su quattro non riesce a reinserirsi nel circuito dell’autonomia economica per sopravvivere. Tenendo il conto sempre sulle stime rielaborate e non su quelle ufficiali, molto più basse, il passaggio è dal 20% immediatamente precedente la pandemia da covid al 25% attuale.
Sono numeri che giustificano uno scontento sociale sempre più diffuso ma finora tutto sommato contenuto. Invece le statistiche ufficiali prese tramite i dati provvisori dell’Istat, evidenziano come rispetto a febbraio, nel mese di marzo 2021 si sia registrata una crescita degli occupati, a fronte di una diminuzione di disoccupati e inattivi. La crescita dell’occupazione è dello 0,2%, circa 34 mila persone, e coinvolge gli uomini, i contratti a termine, la categoria degli autonomi e tutte le età tranne il blocco dai 35 ai 49 anni. Perdono lavoro le donne e i dipendenti con contratti fissi. La nuova tendenza però mostra un preoccupante aumento di chi una volta perso non cerca più il lavoro, 19 mila persone in più soltanto nei mesi tra febbraio e marzo di quest’anno, lo 0,8%, un aumento che coinvolge soprattutto le donne e i giovani tra i 15 e 24 anni. Tra i giovani il tasso di disoccupazione è salito al 33%, cioè un giovane su tre è disoccupato.
Il fenomeno da tenere sotto controllo è dunque quello di chi una volta espulso dal lavoro non prova nemmeno più a rientrare nel circuito. I dati tra il primo trimestre 2020 e il primo trimestre 2021 mostrano un aumento sia delle persone in cerca di occupazione, con un più 2,4%, 59 mila persone circa, sia gli inattivi tra i 15 e i 64 anni che crescono dell’1%, pari a 134 mila persone. L’emergenza sanitaria ha determinato un crollo tendenziale dell’occupazione negativo del 2,5%, 565 mila persone circa. Un crollo eccezionale dell’occupazione con cui il nostro Paese non aveva mai dovuto fare i conti in precedenza. Da febbraio 2020 a fine marzo 2021 l’economia italiana è crollata di circa il 7%. Quanto all’area euro, nel 2020 ha perso quasi 700 miliardi di euro di fatturato. Eppure guardando il tasso di disoccupazione ufficiale non lo si capirebbe, per questo in apertura vi abbiamo offerto la lettura dei dati reali della Bce. In zona euro il tasso di disoccupazione è in rialzo di appena mezzo punto circa, l’8,16% attuale.
Se le rielaborazioni della Bce si basano sull’economia reale e non su quella delle crude statistiche su parametri prefissati, un’indicazione a maneggiare con cura le statistiche ci viene dall’esempio degli Stati Uniti, dove il covid ha affossato l’economia in misura minore che nell’area dell’euro, nonostante il fenomeno della disoccupazione sia più grave che in Europa, essendo passato in poche settimane dal 3,5% al 14,8%, tenendo conto che lì non esiste nè cassa integrazione nè un programma pubblico di sostegno economico a chi lavora. Dunque il calcolo della disoccupazione europea al 15% statistico include la nuova categoria con cui fare i conti, i lavoratori e le lavoratrici appena espulsi dalla produzione che non cercano un impiego perchè ritengono di non poterlo trovare. E le previsioni del board della Banca europea non sono certo ottimistiche, in quanto prevedono che entro la fine della primavera il tasso di disoccupazione in zona euro arriverà al 18%.
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