Carbonia. Le donne acquistano visibilità anche col voto

16 Maggio 2021
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Gianna Lai

Oggi è domenica e dunque nuova puntata della storia di Carbonia dal 1° settembre 2019.

A dare uno spiraglio di speranza,  un reddito sicuro se pur modesto, l’apertura dei grandi magazzini, PTB poi UPIM, vero riscatto per tante ragazze, e poi l’apertura a pieno regime delle scuole elementari, per le maestre, spesso molto numerose tra le mogli dei dirigenti e degli impiegati. E l’apertura del mercato cittadino, tante donne nelle bancarelle del pesce e dei generi alimenatri più vari, fino alla nascita dei piccoli negozietti di quartiere, col beneplacito dell’ACaI. Vero sostegno, le bottegaie e i commercianti, alle lotte dei minatori e alle loro famiglie, vendita a credito, ‘a libretto’, in attesa del salario di fine mese, anche quando comincia a diventare meno sicuro, con l’inizio dei licenziamneti di massa. E cuoche nelle refezioni della scuola, le donne, e lavandaie, sarte, magliaie, pensionanti, commesse, parrucchiere, ‘fu il loro modo di diventare cittadine in un miscuglio di lavori tradizionali e nuovi’, come dice la antropologa Paola Atzeni, a fianco ai mariti  muratori, barbieri, sarti calzolai, falegnami, il volto della città che pretende di sopravvivere oltre la crisi. Così perlomerno le ritrae il fotografo, le ragazze del corso di taglio e cucito, già poi più eleganti nel ballo del dopolavoro.
E’ per questo che il numero delle vere e proprie casalinghe tende a ridursi sempre di più a Carbonia, così difficile tirare avanti, l’alimentazione ad assorbire la gran parte delle risorse economiche, e tanti figli da sfamare, ancora così faticoso, alle soglie degli anni cinquanta, l’approvvigionamento alimentare. Il fatto è che la città resta a lungo del tutto priva di servizi sociali e assistenziali, ed è allora  più grave la crisi quando ad ammalarsi è il capo famiglia, le donne a provvedere a tutte le necessità. Così come, sempre pronte devono tenersi ad affrontare ogni nuovo trasferimento o il rientro al paese, non appena ci si può spostare quotidianamente per raggiungere la miniera, una volta ripresi i collegamenti delle Ferrovie Meridionali Sarde.
Come è successo a Rosa, descritta da Sandro Mantega, in Senza sole né stelle, che torna ‘a Sant’Anna Arresi con i suoi quattro figli‘, dopo aver ‘vissuto a Carbonia col marito Luigino, scampato dal fronte russo, subito dopo la guerra‘. Dove ha inutilmente atteso ‘per tre anni, l’appartamento, che non è mai arrivato.
Sì perché la città non è in grado di contenere  tutti i lavoratori e le loro famiglie, costrette alla promiscuità nei piccoli alloggi delle  case operaie o nei cameroni degli alberghi destinati agli scapoli. Se non nelle baracche dell’estrema periferia, madri e ragazze  ancora  a lavare i panni nei vicini corsi d’acqua, nel rio Cannas, con gli zoccoli, scalze e sorridenti, come le ritraggono le foto dell’epoca.. Ma sempre più disorientate, le donne, dalla prospettiva di nuova emigrazione  imposta  verso località ignote, con la ripresa dei licenziamenti,  più forte lo spaesamento quando si comincia a capire che l’unica alternativa sarebbero rimaste le miniere ancora aperte, in chissà quale parte d’Europa!
A lungo tante  donne hanno imparato a vivere in una città abitata  prevalentemente da uomini, fatta  per il lavoro degli uomini. E quando si stabilizzano gli abitanti, finalmente nei primi anni cinquanta il vero  riequilibrio, emerge poco a poco una comunità lentamente già in formazione fin dagli anni precedenti, grazie alla presenza dei partiti e del sindacato. E grazie alla presenza delle mogli e dei bambini dei minatori. In quelle abitazioni moderne, provviste di luce, acqua corrente e bagno, la cucina con le maioliche e il focolare per il carbone, a riscaldare l’intero appartamento. Nuovi rapporti tra le famiglie nei quartieri, nuove forme di solidarietà, in questa storia  che accomuna migliaia di persone durante il passaggio epocale dalla guerra alla pace. Il cambiamento nei modi di pensare e nelle mentalità, in uno spazio di relazioni enorme, come è enorme la città, rispetto al paese di provenienza. Coppie giovanissime con famiglia già numerosa, numerosissime le classi della scuola elementare, ciascuna formata da 40-50 bambini, dove la scuola c’è, evidentemente, mancando ancora del tutto nelle piccole frazioni. Ed i caratteri  sembrano rimanere quelli del passato, ancora tutti quei dialetti, dal veneto al siciliano al sardo, capendosi tuttavia benissimo gli abitanti tra loro. Ed anche  i bambini, tutti quei bambini provenienti da famiglie così numerose, come erano quelle dei minatori, che dentro la scuola apprendono l’uso dell’italiano e in casa continuano a parlare la lingua d’origine dei loro genitori. E che vivono la trasformazione attraverso la precarietà dell’instabile condizione di vita nella miniera, ancora definendo il legame nuovo col paese nello scambio fra le due culture, contadina e operaia. In particolare durante le lotte dei lavoratori per la difesa delle miniere e dei contadini per la conquista della terra, tra la fine degli anni quaranta e l’inizio dei cinquanta. Quando  il protagonismo delle donne inciderà ancora di più, e sarà  determinante il loro processo di emancipazione nel costruire un futuro possibile e di grande impegno sociale: far studiare i figli e combattere le lotte per il lavoro. Attraverso strutture organizzative autonome o direttamente interne ai partiti.

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