Amsicora
Che Cappellacci in punto di procedura sulla revisione del PPR sia partito bene è innegabile. Ha attivato un processo partecipativo con il territorio, intraprendendo una riflessione da condividere coi i soggetti coinvolti nel processo di riconoscimento e valorizzazione del paesaggio regionale. Sono già state avviate ad Arzachena ed Alghero le conferenze territoriali, propedeutiche alla conferenza regionale in programma il prossimo 30 giugno a Cagliari. Si apre, almeno nelle dichiarazioni, una fase di ascolto che interesserà tutti gli Enti Locali della Sardegna, “volto a raccogliere suggerimenti per valorizzare i punti di forza emersi e superare le eventuali criticità’ incontrate nella prima fase di attuazione del Piano Paesaggistico Regionale”. Se si pensa che Soru aveva tagliato i tempi per la partecipazione all’udienza pubblica prevista per legge, vanificandola, questo inizio non è sicuramente negativo.
E nel merito? Nessuna cementificazione selvaggia delle coste sarde. Il vincolo di 300 metri dal mare non sarà messo in discussione. Così ha promesso Cappellacci. Ma allora perché rivoluzionare il Piano paesaggistico regionale? Si dice che le modifiche riguarderanno le zone interne che, come si ricorderà, hanno lamentato un’eccessiva ingessatura del territorio e hanno contribuito alla caduta del governo di centrosinistra. Ma ci si fermerà ai paesi? O dai monti Cappellacci scenderà verso il mare?
C’è molta preoccupazione per ciò che, ai primi di luglio, la Giunta, nella Conferenza conclusiva alla Fiera di Cagliari, vorrà proporre. Il presidente rassicura: “intendiamo procedere nel rispetto dell’ambiente e delle prerogative locali”, ma allarma il richiamo all’edilizia come “fiammella che nelle economie in crisi tiene acceso il sistema e consente di riavviare lo sviluppo”. Una vera idiozia anche in termini economici, almeno nel medio e lungo periodo. C’è poi il riferimento al piano casa del Governo, anche se l’assessore Asunis ha ribadito che nell’Isola non sarà applicato integralmente, ma terrà conto delle peculiarità della Sardegna. Con un occhio particolare, ha sottolineato Cappellacci, alla bioedilizia, all’uso di materiali ecocompatibili e di produzione locale. Si ipotizza addirittura un premio di volumetria a chi decide di spostare su una fascia più lontana dal mare costruzioni sorte entro i 300 metri dal mare.
E se l’apertura partecipativa fosse il cavallo di Troia per modifiche sostanziali, da imputare ovviamente ai territori? Lo hanno voluto loro - si potrà dire. Che Cappellacci usi la vaselina partecipativa per lenire il dolore mentre c’infila il mattone? Il sospetto è legittimo e non manca chi chiama alla vigilanza e alla mobilitazione. Così Piero Mannironi, sulla Nuova di qualche giorno fa dice, senza tentennamenti che “in ossequio ai dettami del premier, è cominciato lo smantellamento del piano paesaggistico della Sardegna”. E continua incalzante. Si riparte dalle ragioni del cemento. Il Piano paesaggistico non sarà più uno strumento di tutela ambientale, ma contenitore di un’edificazione possibile anche nella fascia costiera. Concretamente c’è da tener conto del responso inequivocabile delle urne: il centrodestra ha infatti vinto in 67 dei 72 comuni costieri della Sardegna. C’è il rischio dell’avvio di un nefasto ciclo economico di medio e lungo periodo, che “consuma” la risorsa primaria, cioè l’ambiente, arrivando così a un fatale deprezzamento anche del capitale immobiliare. Si manda così a carte quarantotto il ciclo virtuoso del turismo per dare ossigeno al comparto edilizio attivo sulle seconde case. Sarebbe un vero disastro.
Questi sono certamente gli intendimenti di vasti settori della nuova maggioranza regionale. Lo hanno detto in campagna elettorale e su questo punto hanno vinto le elezioni. C’è però in campo anche la forza di una vasta e variegata area culturale e politica che, nella sostanza, ha condiviso la filosofia che ha ispirato la “legge salvacoste” del novembre 2004, poi travolta nel crollo del sorismo. In questo versante stanno anche coloro che non hanno mancato di criticare Soru per l’eccessivo monocentrismo e per un integralismo che ha impedito l’attività edilizia anche laddove non recava pregiudizi. Il Wwf ha già lanciato un monito al presidente Cappellacci: “vengano garantiti il senso e l’efficacia del piano paesaggisitico regionale”. Secondo il Fondo mondiale, il processo di “coinvolgimento e concertazione con gli enti locali rappresenta un passaggio importante e fondamentale per capire i bisogni e le aspettative delle comunità. Tuttavia - soggiunge - occorre grande senso di responsabilità per non esporre il patrimonio ambientale e interessi speculativi e al rischio di una cementificazione selvaggia”. Come dire: bene la partecipazione se è finalizzata ad una miglior tutela. Se no, è il classico specchietto per le allodole o, detto più prosaicamente, un imbroglio. Non si può certo dargli torto. Ma le parole non bastano. Urge una mobilitazione che vada dalla partecipazione critica alle conferenze (per sindaci e ammiinistratori del centrosinistra) alla mobilitazione sui territori. Occorre mettere da parte vecchie e recenti divisioni e scendere in campo con decisione.
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