Claudio De Fiores
Nell’ambito del dibattito sulla transizione ecologica, avviato dal Coordinamento per la democrazia costituzionale, ci sembra interessante riportare uno stralcio di un più ampio studio di Claudio De Fiores su Ambiente e Costituzione, riservandoci di tornare sulle altre parti.
In questi punti De Fiores si chiede se è necessario esplicitare sul piano costituzionale il principio ambientalista e se è utile una tutela ambientale per le future generazioni. Ecco le risposte.
Non è necessario costituzionalizzare, sul piano formale, il principio ambientalista per renderlo vincolante o bilanciabile con altri interessi o diritti. Il diritto all’ambiente già lo è. E lo è sin da quando l’ambiente è stato riconosciuto dal giudice costituzionale un «valore primario ed assoluto» (Corte cost n. 641 del 1987). Altra cosa è, invece, il modo è in cui si è concretamente proceduto al bilanciamento ogni qual volta le ragioni della protezione ambientale si sono scontrate con altri diritti o interessi costituzionalmente protetti (il lavoro, la libertà di impresa, il “valore” di un suolo). A questo riguardo “il bilancio dei bilanciamenti” è quanto mai deludente: quasi mai, in questi anni, la tutela dell’ambiente è stata in grado di prevalere sulle ragioni dell’impresa; o di porre fine alla politica degli incentivi, corrisposti anche per sostenere produzioni ritenute nocive per la salute di chi lavora e per l’ambiente. Il caso Ilva docet.
Ma questo attiene alla fallacia delle tecniche di bilanciamento e non discende, in alcun modo, da una presunta minore forza (in termini di bilanciamento) delle ragioni della tutela ambientale rispetto agli altri interessi espressamente menzionati in Costituzione. Il giudice costituzionale non attende una revisione costituzionale per ammettere che «tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri». Così come non mostra alcuna esitazione nell’annoverare tra i «diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione … [il diritto] alla salute (art. 32 Cost.), da cui deriva il diritto all’ambiente salubre»:
«La qualificazione come “primari” dei valori dell’ambiente e della salute significa pertanto che gli stessi non possono essere sacrificati ad altri interessi, ancorché costituzionalmente tutelati, non già che gli stessi siano posti alla sommità di un ordine gerarchico assoluto. Il punto di equilibrio, proprio perché dinamico e non prefissato in anticipo, deve essere valutato – dal legislatore nella statuizione delle norme e dal giudice delle leggi in sede di controllo – secondo criteri di proporzionalità e di ragionevolezza, tali da non consentire un sacrificio del loro nucleo essenziale» (sent. n. 85 del 2013).
Come si vede, anche a giudizio della Corte, la partita sulle politiche ambientali e sul loro inveramento negli assetti ordinamentali, si gioca prevalentemente a due: il legislatore a cui spetta la «statuizione delle norme» e il «giudice delle leggi in sede di controllo». Anche su questo piano l’intervento del legislatore costituzionale non appare pertanto dirimente.
Taluni disegni di legge costituzionale si propongono oggi di inserire fra i “nuovi” compiti che la Repubblica è chiamata ad assolvere - per tutelare «l’ambiente e l’ecosistema, le biodiversità, gli animali …» - anche la tutela degli interessi delle «future generazioni» (Legislatura 18ª - Disegno di legge n. 1203).Si tratta di un nodo quanto mai delicato. Un tema ricco di implicazioni giuridiche e soprattutto filosofiche. Ma, allo stesso tempo, denso di insidie. Sia perché è quanto mai difficile prefigurare interessi e diritti soggettivi da imputare a persone ancora non nate. Sia perché non siamo in grado di immaginare quale sarà la reale portata degli interessi e delle aspirazioni delle future generazioni.
A ciò si aggiunga che il tema delle “generazioni future” è stato in questi anni surrettiziamente agitato soprattutto al fine di offrire copertura politica e una più estesa legittimazione costituzionale alle politiche di austerity. È quanto emerge dal dibattito politico, economico e giuridico sviluppatosi in questo anni. Ciò che è certo è che poteri economici e interessi organizzati spingono oggi per una revisione costituzionale al preminente fine di dotare la golden rule (recepita in Costituzione con la riforma dell’art. 81) di una seconda gamba.
In questa stessa direzione è possibile anche registrare taluni preoccupanti cedimenti da parte del giudice costituzionale. Ci si riferisce in particolare alla sent. n. 88/2014 con la quale la Corte non ha esitato a ricavare dalla nuova formulazione dell’art. 81la nozione di «equità intergenerazionale». Un nuovo vincolo costituzionale, il concreto rispetto implicherebbe «la necessità di non gravare in modo sproporzionato sulle opportunità di crescita delle generazioni future, garantendo loro risorse sufficienti per un equilibrato sviluppo”. Poiché è evidente – conclude il giudice delle leggi – che «l’indebitamento e il deficit strutturale operano simbioticamente a favore di un pernicioso allargamento della spesa corrente» (Sent. n. 18 del 2019). Irrigidire ulteriormente questa tendenza, costituzionalizzandone l’esito, non mi pare auspicabile.
1 commento
1 Aladinpensiero
16 Aprile 2021 - 08:05
Anche su aladinpensiero online: http://www.aladinpensiero.it/?p=121396
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