Andrea Pubusa
I sanitari possono rifiutarsi di fare il vaccino anticovid senza conseguenze nel rapporto di lavoro? Detto in altre parole, quale è il bilanciamento fra libertà di trattamento sanitario e diritto deicittadini alla salute? E quale fra libertà di trattamento e doveri del servizio? La vicenda è nota. Due infermieri e otto operatori socio-sanitari, dipendenti di due case di riposo del Bellunese, avevano rifiutato di sottoporsi alla vaccinazione con Pfizer lo scorso febbraio e , per questo, erano stati sospesi dal lavoro e lasciati senza stipendio. In realtà, prima, i dieci sanitari erano stati messi in ferie forzate dalla direzione delle Rsa e sottoposti alla visita del medico del lavoro. Il medico aveva dichiarato i sanitari inidonei al servizio, in conseguenza, vertici delle Rsa hanno deciso di allontanarli dal luogo di lavoro senza stipendio per “impossibilità di svolgere la mansione lavorativa prevista”. Gli operatori sanitari hanno fatto ricorso al Giudice del Lavoro, che lo ha rigettato.
Per essere reintegrati nel posto di lavoro i sanitari hanno rivendicato la libertà di scelta vaccinale prevista dall’ordinamento italiano e in particolar modo dalla Costituzione. Gli avvocati delle Rsa, senza mettere in dubbio la libertà di scelta vaccinale, hanno sostenuto che, nel caso specifico, doveva prevalere “l’obbligo del datore di lavoro di mettere in sicurezza i suoi dipendenti e le parti terze, ossia gli ospiti delle case di riposo”. Il Tribunale ha, in certo senso, glissato sulla questione costituzionale, buttandola suun piano più empirico: ha riconosciuto il dovere della messa in sicurezza, osservando come sia “ampiamente nota l’efficacia del vaccino nell’impedire l’evoluzione negativa della patologia causata dal virus come si evince dal drastico calo dei decessi fra le categorie che hanno potuto usufruire del vaccino, quali il personale sanitario, gli ospiti delle Rsa e i cittadini di Israele dove il vaccino è stato somministrato a milioni di individui». Su questa base le tesi degli avvocati degli operatori (poca sperimentazione dei vaccini e possibili rischi) sono state ritenute dal tribunale “insussistenti”, affermando che fosse di fondamentale importanza evitare “la permanenza degli operatori non vaccinati nel luogo di lavoro”. Va precisato che i sanitari non sono stati licenziati, ma soltanto sospesi e quindi nel momento stesso in cui dovesse cessare il pericolo per la salute potranno essere reintegrati nei loro posti di lavoro con effetto immediato.
Ora, la questione costituzionale si gioca essenzialmente all’interno dell’art. 32 Cost.: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettivita“. D’altra parte però “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge“. In linea astratta, dunque, bisogna ammettere che, senza una legge specifica, non può imporsi una vaccinazione a chicchessia. Ma questo riguarda anche i sanitari operanti in strutture pubbliche? In alri termini ci sono obblighi per i dipendenti in qualche modo insiti nella loro funzione? La risposta pare debba essere positiva: non può chi è chiamato a fronteggiare la pandemia, a limitare il contaggio a curare gli infetti essere egli stesso veicolo di diffusione del virus. Sotto questo profilo il diritto alla salute pare assorbente, anche perché la carta lo qualifica come “fondamentale” e quindi come è prevalente sugli altri. Ma nel caso dei sanitari di Belluno l’autorità sanitaria non ha imposto la vaccinazione, anzi ha rispettato quella libertà, ha soltanto sospeso dal servizio e dallo stipendio i no vax perché non in grado di svolgere la loro finzione, la loro prestazione lavorativa. La sanzione attiene agli obblighi del servizio, senza coinvolgere la libertà della vaccinazione. Qui potrebbe rilevare anche l’art. 36 Cost.: “il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro…“. Se il lavoratore, per sua scelta, non è idoneo a svolgere il servizio, perde o no il diritto alla retribuzione? Parrebbe di sì, perchè la sua prestazione non giustificherebbe la retribuzione. La sospensione sino alla fine della pandemia, ossia fintanto che il dipendente no vax è inutilizzabile, sembra ragionevole e adeguata. Ricordiamoci sempre che l’art. 2 Cost. ricomosce i diritti inviolabili ma pone anche gli inedrogabili doveri di solidarietà. Insomma, il diritto non puà essere esercitato in modo sproporzionato, senza badare ai diritti altrui e alla solidarietà sociale.
Comunque c’è da doscutere. Ci sarà quasi certamente l’appello e poi proprio oggi, a sollevitare l’attenzione sul tema, è apparsa la notizia di contagi causati da sanitari no vax.
1 commento
1 Aladinpensiero
25 Marzo 2021 - 08:43
Anche su aladinpensiero online: http://www.aladinpensiero.it/?p=120302
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