Andrea Pubusa
Dopo Gramsci ha colto nel segno La Scuola di cultura politica F. Cocco nel ricordare la figura e l’opera di Renzo Laconi, presentando il bel volume a lui dedicato da Maria Luisa Di Felice, valorosa storica dell’Ateneo cagliaritano. Il pregio del volume - come ha sottolineato Gianna Lai nella sua introduzione - è che si fonda su una ricerca meticolosa delle fonti, da cui origina una puntualissima ricostruzione della vita e dell’opera di Laconi. E ancora il lavoro della Di Felice consente di individuare nitidamente il ruolo di primo piano di Laconi nella politica e nell’azione comunista dopo la Liberazione nel nostro paese. E’ quanto emerso dall’incontro di ieri, ricco di spunti e approfondimenti, a partire dalle due belle introduzioni di Claudio Natoli e di Maria Luisa Di Felice. Il primo ha magistralmente delineato il contesto in cui ha operato Laconi, componente di quella generazione di giovani che si è distaccata dal fascismo per passare alla Resistenza e all’impegno nelle fila del PCI per la costruzione dell’Italia democratica. La Di Felice invece ha, più specificamente, illustrato i punti salienti della biografia e dell’opera di Laconi dai suoi studi all’azione antifascista, al suo ruolo di primo piano in seno all’Assemblea costituente e nella battaglia politica fino alla morte prematura nel 1967.
Senza esagerare si può dire che Laconi rassume in sé le aspirazioni che ancor oggi muovono gran parte dell’area progressista, mobilitata per difendere e allargare la nostra democrazia. Laconi infatti evoca potentemente due momenti basici della storia italiana e sarda del secondo dopoguerra. L’impegno in Assemblea costituente per la elaborazione e l’approvazione della Carta fondamentale e, nell’ambito della “nostra piccola patria“, lo sforzo per dare ai sardi una consapevolezza, fondata sulla ricostruzione della storia dell’Isola.
Sul primo versante Laconi, il principale collaboratore di Togliatti in seno all’Assemblea costituente, incarna quell’intellettuale comunista colto e aperto su cui Togliatti intendeva, con decisione e lucidità, formare il partito nuovo e di massa. Non a caso taluni parlano di seconda fondazione del partito comunista dopo la fase della clandestinità e delle Resistenza al nazifascismo. Nello stesso tempo altri giovani venivano chiamati a responsabilità dirigenti di primo piano. Basti pensare a Pietro Ingrao, anch’egli ancora trentenne, nominato direttore de L’Unità, al tempo un incarico di primo piano, delicatissimo e di grande responsabilità. E questi giovani venivano a sostituire, più che ad affiancare, quadri importanti e prestigiose del partito della clandestinità e delle Resistenza, per esempio, stando ai sardi, Velio Spano, che peraltro mantenne ancora un ruolo rilevante nel partito in trasformazione, in corso di “metamorfosi”, per dirla con Luciano Canfora.
Quanto sia stato fondamentale nella costruzione della democrazia in Italia il partito comunista, nuovo e di massa di Togliatti ci deriva dalla constazione che, seppure con gli adeguamenti del caso, l’azione sviluppata dalle forze democratiche a difesa dela Costitutuzione nel 2006 contro Berlusconi e Bossi e nel 2016 contro Renzi & C. ha alla base i valori della Resistenza e della Costituzione di cui il PCI fu indiscusso portatore, nella elaborazione e nell’azione di massa. Nessun altro riferimento, consapevolmente o meno, è così forte ancora oggi in associazioni importanti come l’ANPI e nei diversi Comitati a difesa della Costituzione e delle istituzioni democratiche. Certo, e per fortuna, ci sono altri contributi provenineti dalla cultura socialista, liberlademocratica e cattolica, ma queste, proprio per il carettere gramsciano dell’apporto comunista, riescono a fondersi e completarsi anziché escludersi ed annullarsi, come del resto è avvenuto nella Carta costituzionale, dove in ogni articolo e comma è possibile rinvenire questa positiva pluratità di apporti..
Questa consiiderazione consente anche di prendere le distanze da quel revisionismo storico unilaterale ed escludente, che pone al centro l’attacco al Partito comunista e ai suoi dirigenti, primo fra tutti Togliatti. Questo filone - a ben vedere - si fonda sulla falsificazione storica, ispirata e ad uso della vulgata liberista, imperante e di moda, egemone per dirla con Gramsci.
In questo alveo s’inserisce anche una recente pubblicistica su Gramsci. Si muove da alcuni aspetti del suo originalissimo pensiero (l’egemonia, il processo rivoluzionario in occidente, la democrazia, le libertà, la questione femminile, il partito ed altri ancora) per astrarlo dal contesto storico, contrapponendolo in modo artificioso al grande movimento rivoluzionario che fino alla morte ebbe in Lenin il suo leader indiscusso. La tecnica è elementare e ben nota: si fa disinvoltamente e senza seria ricerca storica, la caricatura di Lenin per metterne in luce l’influsso negativo sui processi, omettendo di considerare il drammatico contesto e quale grande fattore di liberazione per le masse sfruttate abbia costituto la sua opera e rappresenti ancora, per certi aspetti, la sua figura e il suo pensiero.
Nel “partito nuovo” di cui Laconi fu esponente di primo piano, c’è il pensiero di Gramsci per mano di Togliatti e c’è questa mano nella creazione delle basi più avanzate e permanenti della nostra società, a cui non a caso - come detto - si ispirano le lotte democratiche ancora oggi.
Sul piano della ricerca storiografica in Sardegna, negli studi e nelle ricerche d Laconi troviamo un forte indirizzo e uno stimolo verso quegli studiosi, da Girolamo Sotgiu ad Antonello Mattone, da Piero Sanna a Luciano Carta, da Federico Francioni a Gianni Fresu e ad altri che hanno illuminato la storia sarda, affrancandola dalle oscurità, i vuoti e le intepretazioni distorte del passato. Anche qui Laconi, segue l’insegnamento di Gramsci, di cui ben conosceva il pensiero, avendo, su incarico di Togliatti (sempre lui!), collaborato alle revisione dei Quaderni dal carcere.
Insomma, Laconi si muove in un contesto pieno di luci e ombre, ricco di contraddizioni, ma negare o anche sminuire l’incidenza primaria dei comunistti nella costruzione della democrazia in Italia e dei processi di liberazione nel mondo è chiudere gli occhi sul processo storico. Significa, come si dice oggi, costruire delle grandi fake news. Bene fa dunque la Scuola di cultura politica F. Cocco a rimettere la dscussione sui binari di un confronto critico e aperto, fondato sulla rigorosa ricostrzione di storici autorevoli, senza cedimenti alla vulgata corrente.
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