Gianna Lai
Oggi domenica torniamo alla storia di Carbonia, iniziata il 1° settembre 2019
In città nasce una giunta di sinistra, sempre aperta al dialogo con le rappresentanze sociali e pronta al sostegno dei minatori e delle loro famiglie. Una fiducia fortemente ricambiata se gli operai di Carbonia, neppure passando attraverso turnover continui e licenziamenti di massa, le avrebbero mai tolto consenso e appoggio, in particolare nel segreto dell’urna. E si delineava quella forte intesa e continuità, già nella configurazione che andava assumendo la città postfascista, pur appendice dell’azienda, che pone al centro del suo agire il lavoro e i minatori.
A partire dalla nuova toponomastica. Cambia la toponomastica in città ed è il segno distintivo di un tempo nuovo che si apre anche a Carbonia. Dai pozzi di miniera e dagli alberghi operai, via quei nomi sinistri, attribuiti in ricordo delle fulgide imprese fasciste in Africa e nelle colonie. Impero si chiama il bar della piazza che diviene, per furia iconoclasta, Caffè del pero, insieme alla torre littoria che diviene civica, fin dall’occupazione alleata, quando perdono denominazione anche gli alberghi operai che si chiamavano Adua, Axum, ecc. E poi, dalla Liberazione fino agli anni cinquanta, via Gramsci al posto di via Principe di Piemonte e piazza mercato al posto di piazza Umberto. E via Costituente e via dei Partigiani e piazza Gobetti, piazza Matteotti, via Curiel, via Turati, piazza Repubblica e piazza Primo Maggio, piazza Rinascita, viale della Libertà e, più recente, via Nadia Gallico Spano e via delle Cernitrici. E mentre la terza chiesa inaugurata in città verrà dedicata a Gesù divino operaio, nella sede del fascio, presso la torre littoria, le sedi dei vari partiti, PSI, Psd’az, PCI, il pluralismo al posto del partito unico. Nella sede del sindacato fascista ora la nuova Camera del Lavoro CGIL, nei dopolavoro del PNF le sedi del partito comunista: in via Cagliari la sezione Lenin, la prima aperta in città. E qualcuno degli alberghi operai diverrà scuola, la sua mensa una palestra per la ginnastica. E il Centro Raccolta per le maestranze in arrivo, diverrà Istituto Tecnico e Commerciale per geometri e ragionieri, sede staccata del Martini di Cagliari. Resistendo invece alla tradizione fascista solo viale Arsia, via Balilla, via Croazia, via Dalmazia, via Lubiana, via Slovenia, via Ala italiana. Mentre si registra, in città, anche una via Gavorrano, come una via Carbonia si registra a Quarto Oggiaro, i luoghi operai che ricorrono nelle strade delle città operaie.
Ma la trasformazione è già ben visibile fin dalla grande piazza del municipio, piazza Roma, il luogo dei comizi e degli incontri, sempre animata durante l’intera giornata, fino a tardi la sera, a differenza del tempo del fascismo che impediva la socializzazione e considerava reato la protesta. Tanta gente che si incontra e discute di politica e di lavoro, estate e inverno, gruppi sempre più numerosi che riportano lì i problemi della miniera e della città. Come naturale prosecuzione, all’aperto, delle sedute consiliari, che si svolgono nell’aula del municipio, cui gli operai partecipano in massa per tradizione, il palazzo direttamente proiettato nella piazza. E ancora luogo di ritrovo per tutti, genitori e figli, dove sembra farsi più chiara l’intesa tra i lavoratori e la politica, tra gli abitanti e la politica, ospitale la piazza e viva, ampio e accogliente lo spazio di raccolta, per una massa cosi imponente di cittadini. E luogo di attraversamento in direzione della miniera per prendere la via Roma che vi si apre in prossimità, proprio di fronte al sagrato della chiesa. Una linea continua, giù giù fino allo stradone, studiata per portare dritta dritta la fiumana di operai curvi sulle biciclette ai vari cantieri, tre volte al giorno, secondo i turni, alle sette, alle quindici, alle ventitré. La piazza può contenere fino a 40mila persone, nata per le adunate del regime, ora centro dell’antifascismo e delle lotte operaie, E che quella piazza fosse simbolo di possesso, in una forma di ‘permanente autogestione’ operaia, come si potrebbe dire oggi, lo capiva bene anche la forza pubblica, gli squilli di tromba durante i disordini, al tempo di Scelba, volevano dire abbandono immediato del luogo, ampie per fortuna le vie di fuga tutto intorno. Mentre, durante i lunghi presidi dei celerini che ne seguivano, nessuno si azzardava ad attraversarla, la piazza, né di giorno né di notte. Come al tempo del fascismo, il contrasto sociale censurato e condannato, questione di ordine pubblico, ancorché considerato espressione di crescita democratica dalla Costituzione, nella naturale dinamica dei rapporti fra le classi.
Da via Roma ai grandi piazzali della miniera, dove riprendeva quotidianamente il dialogo per le comunicazioni delle Commissioni interne, che si trattasse di nuove agitazioni o si indicesse lo sciopero. Di fronte alla rigidità della direzione SMCS, sempre contraria a destinare spazi e a concedere locali adatti alle rappresentanze operaie, neppure sotto la Repubblica democratica fondata su lavoro. Del resto, se il lettore pensa che facilmente l’aula consiliare potesse essere messa a disposizione dei lavoratori per incontri e dibattiti, si sbaglia di grosso, le forme persecutorie dell’autorià aziendale e governativa giungevano fino a impedire al sindaco di disporne, se non dopo aver lui stesso chiesto prima l’autorizzazione al prefetto, non sempre propenso tuttavia a concederla, come nota Aldo Lai, futuro sindaco della città, durante la sua intervista.
2 commenti
1 Aladinpensiero
3 Gennaio 2021 - 09:14
Anche su aladinpensiero online: http://www.aladinpensiero.it/?p=117017
2 Usai Angioletto
3 Gennaio 2021 - 12:56
Antifascista SEMPRE di PIÙ!
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