Le misure antipandemia, la Costituzione e la capacità di decisione del sistema

17 Dicembre 2020
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Andrea Pubusa

L’altro pomeriggio Tonino Dessì nella relazione al webinar organizzato dall’ANPI (in collaborazione con CoStat e Scuola F. Cocco) ha dato un saggio di come diritto e fatto non possono essere disgiunti. Così è emersa la drammatica complessità di una pandemia che richiede continue misure di contrasto e un quadro normtivo pensato per altro. Sì, perché questo è il punto. La nostra Costituzione ha bandito la possibilità di proclamare lo “stato di eccezione”, ma ha disciplinato le emergenze - si scusi l’apparente contraddizione - ordinarie. L’art. 16 della Carta prevede la necessità di tutela della incolumità e sicurezza pubblica, e quindi anzitutto della sanità pubblica, ma lo fa con una strumentazione tarata per le vicende canoniche che le mettono in pericolo: terremoti,  disastri naturali, duffusioni locali di epidemie e simili. In questi casi è il parlamento, con legge, a porre le limitazioni. Quindi c’è una riserva di legge, solo le Camere possono limitare la libertà di circolazione e soggiorno, ma lo devono fare in via generale, ossia non in relazione a singoli o a gruppi, ma ai luoghi colpiti dall’evento che mette in pericolo l’incolumità e la sicurezza pubblica. Non sarebbero così ammessi limiti, ad esempio, agli zingari o ai neri o ai meridionali, si potrebbe solo stabilire che se l’Irpinia è colpita dal sisma, lì non si può entrare o non si può circolare. Mai - dice l’art. 16 - la restrizione può avere natura politica.
Come si vede, i padri costituenti sono stati ben attenti a non offrire all’esecutivo o all’amministrazione in genere uno strumento di limitazione della libertà di movimento, ma - ahinoi! - la realtà attuale mostra come anche il legislatore più avveduto non può prevedere tutto una volta per tutte e come la realtà s’incarica di mostrare aspetti nuovi e impensabili.
Il covid ha una tale mobilità e capacità di contagio da scombinare gli strumenti giuridici canonici. La legge si mostra inadeguata e anche il decreto legge a risposte in cui la guerra alla pandemia assume il carattere della guerriglia. Non battaglie campali, ma attacchi mirati, diversificati, millimetricamente attagliati ai luoghi, regione per regione, comune per comune, frazione per frazione. Poche seghe, qui lo strumento legislativo non basta, ecco comparire, non per volontà perversa di chissacchi, ma per necessità, il DPCM, il decreto del presidente del consiglio dei ministri.
Rientra il DPCM nello schema dell’art. 16 Cost.? La risposta è perplessa, con tendenza al no. Rimane un ambito di discrezionalità del capo del governo non adeguatamente coperta dalla legge o anche dal decreto-legge. Questo è il punto: come fare a colmare questo gap, come stringere fino ad annullarlo il potere del presidente del Consiglio non regolato dalla fonte legislativa. La complessità del problema è palese. Per sua natura la misura anticovid richiede articolazione, diversificazione e anche invenzione. Il contrario di quanto la legge con la sua previsione anticipata e la sua stabilità assicura. Eppure l’ordinamento impone l’intervento dell’autorità pubblica e richiede che esso sia efficace. L’art. 32 Cost., nel dire che la salute è un diritto fondamentale, questo dice: questo diritto deve essere garantito con misure dotate di effettività. Come si vede riemerge, inaspettatamente, l’esigenza di un bilanciamento fra l’art. 16 e l’art. 32 Cost.: le misure di contasto alla pandemia devono essere efficaci, ma le restrizioni alla libertà di circolazione e soggiorno dev’essere presidiata dalla legge.
Personalmente non credo che occorrano revisioni costituzionali, anzi queste - concordo con Tinono Dessì  - vanno evitate senza tentennamenti. Va semmai rivisitata la legislazione con fantasia, ma mentenedo ben saldi i principi costituzionali. E dunque, centrlità della legge e del parlamento. Qui deve rimanere la fonte delle possibili limitazioni. Non può negarsi l’ingresso al decreto-legge perché l’urgenza nella tutela della salute, lo giustifica e lo impone. Quanto ai DPCM, andrebbero anzitutto previsti nella fonte legislativa una serie di principi e criteri direttivi che limiti nella misura massima consentita la discrezionalità del capo del governo, andrebbero poi stabilite procedure di confronto e di deliberazione delle Camere che costituiscano insieme controllo, stimolo e indirizzo. Andrebbe poi prevista anche un puntuale confronto (non mera audizione) con i presidenti delle regioni nello spirito di leale collaborazione. Come si vede, una articolazione procedurale impegnativa e complessa. Ma la democrazia è questo. E’ fattibile? E’ velleitario? L’interrogtivo rimanda al sistema alla sua capacità decisionale. Attenzione stiamo parlando del sistema, non di questo o quel presidente del consiglio, non di questo o quel governo, non di questa o quella maggioranza. Il sistema tedesco ha mostrato di essere capace di decisione, anche nelle restrizioni natalizie, l’Italia sta impietosamente mostrndo il contrario. Di fronte all’arrivo di una diligenza con una montagna di soldi (il recovery found) il mucchio selvaggio si scatena…l’assalto alla diligenza mette in secondo piano il contrasto alla pandemia. Meglio un sistema indeciso e perplesso ad uno in cui chi regge la respublica fa con onore e disciplina l’interesse generale a tutela della salute e del benessere economico del Paese.

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