Andrea Pubusa
Mi ha colpito quanto sta accadendo in Germania in risposta alla pandemia. La cancelliera Angela Merkel è intervenuta in Parlamento mercoledì mattina per discutere le misure per contrastare l’epidemia da coronavirus, e chiedere che ne vengano introdotte di nuove ancora più restrittive di quelle attualmente in vigore. La Germania, come tutti i paesi europei, è nel pieno della cosiddetta “seconda ondata” della pandemia e, martedì 8 dicembre, ha registrato il numero massimo di morti da COVID-19 finora in 24 ore: 590.
In un discorso particolarmente appassionato, Merkel ha detto di essere d’accordo con l’appello rivolto al governo dall’Accademia nazionale di scienze Leopoldina, che aveva chiesto restrizioni maggiori per il periodo pre e post-natalizio, invitando a chiudere le scuole dal 14 dicembre e ridurre al minimo le interazioni sociali nelle due settimane di festività. Merkel ha detto che ne avrebbe discusso con i governatori federali dei länder, in modo che le nuove restrizioni possano essere approvate al più presto in tutta la Germania. Lo ha fatto e la Germania avrà dal 16 le nuove restrizioni. Dure, rigorose.
Cos’è che sorprende in tutto questo: è la capacità di decisione non tanto e non solo della Merkel, ma del sistema tedesco. La linea è stata fatta propria da tutti senza sbavature, senza distinguo, senza chi vuol lucrare questa o quella lamentazione, questa o quella critica. Il consenso nella lotta alla pandemia viene incassato da tutti coloro che concorrono alle restrizioni, il consenso sulle altre questioni si gioca su un terreno diverso, più contingente, dove è fisiologico che ci siano posizioni diversificate e in lotta fra loro.
La Merkel ha fatto un discorso innanzitutto etico: non si può passar sopra 500 morti al giorno, non si può far shopping su questi cadaveri e su quelli certamente conseguenti al “liberi tutti a Natale“.
Che clima diverso in Italia! Queste cose le ha dette anche il nostro presidente del Consiglio, ma anziché creare unità intorno a questa evidenza, c’è Renzi che fa gli scherzetti, gli altri che vogliono il rimpasto, c’è chi tifa per Salvini e chi per Draghi. La stampa amplifica anziché cazziare, richiamare alla responsabilità.
E nelle Regioni? Presidenti che hanno sulla coscienza migliaia di morti, sacrificati sull’altare dell’insipienza e dell’amicamento a questo o a quel segmento della società, anzichè dimettersi o tacere, tirano chi di qua chi di là e destabilizzano non il governo, ma il sistema, rendendolo incapace di decisioni dotate di effettività sul fronte antipandemico.
Scendendo più giù, in casa nostra, la questione fondamentale oggi non è la salute pubblica, ma la spartizione delle dirigenze nelle strutture sanitarie sarde.
Questo è un modo conclamato di sviamento delle autorità politiche e istituzionali dall’interesse generale. Dovrebbe avere certo una sanzione sul piano politico. Ma poiché questo non è possibile, date le forze in Consiglio regionale, occorre sopperire in altro modo. Per ragioni culturali e professionali (sono iscritto da mezzo secolo all’ordine degli avvocati) non invoco il rimedio ad opera della magistratura. Ma senbtire pubblicamente che questa ASL va a questo o a quello in ragione della spartizione fra le forze di governo mi pare crei una distorsione non solo democratica, ma anche nell’esercizio della funzione pubblica. Si può andare a vedere le carte? Si può chiedere chi fa domanda? O chi ambisce alla nomina? Si può sapere quali titoli occorrono? E poi, a nomina avvenuta, si può verificare se si è guardato ai titoli e alla competenza o alla maggiore o minore genuflessione a questo o a quel capobanda?
Si obietterà che il rimedio più consono è quello democratico, sono i cittadini che devono dire basta e imporre un controllo risolutore. E son d’accordo. Si può pensare allora ad un Gruppo d’iniziativa in campo sanitario, sul modello cel Gruppo d’intervento giuridico, che apra una fronte di lotta democratica sulla sanità. Ad esempio, sollecitando manifestazioni di interesse di persone oneste e qualificate per le cariche dirigenti nelle strutture sanitarie e poi verificare le scelte e contestare nel dibattito pubblico e nelle sedi giuriziarie le nomine arbitrarie?
Insomma, la misura è colma, occorre che gli uomini di buona volontà passino dal disgusto e dalla denuncia di principio ad un’inziativa pratica. Se le cose stanno così, non è solo colpa dei mascalzoni, è anche responsabilità delle persone per bene, che, per timidezza o senso d’impotenza, lasciano fare.
2 commenti
1 gio
15 Dicembre 2020 - 10:06
Caro Professore,
credo che tutte le persone oneste non possano che essere d’accordo con lei.
In Italia, e ancor di più in Sardegna, vige un sistema anti meritocratico. Le persone oneste e capaci vengono respinte da questo apparato che premia i soggetti sulla base di appartenenze familistiche, politiche, massoniche ed ecclesiastiche.
Tutti si indignano nel momento in cui si assiste alla nomina di persone di professionalità obbiettivamente mediocre a cariche di elevata responsabilità sociale. Ma poiché tutti “tengono famiglia”, dopo la ripulsione iniziale, questi squallidi personaggi vengono adulati e corteggiati perché da loro dipende, spesso, la possibilità di ottenere un lavoro seppur precario e così il sistema si autoalimenta senza che sia possibile vedere una via d’uscita.
Mirabile al riguardo la figura di Pasquale Cafiero. brigadiero del carcere di Poggio Reale, descritto da Fabrizio De Andrè.
Le auguro di cuore che la sua non sia la voce di uno che grida nel deserto.
Saluti
Giorgio
2 Aladin
15 Dicembre 2020 - 10:52
Anche su aladinpensiero online: http://www.aladinpensiero.it/?p=116511
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