Andrea Pubusa
Forse è un eccesso o una forzatura, ma a me Bitti sembra l’immagine della crisi italiana. Le strade inondate, colme di tronchi, di ogni rifiuto e di fango, centinaia di volontari generosi, camion di generi di prima necessità, richiesta di risarcimenti, politicanti ammicanti, stanziamenti immediati di fondi.
Bene, vien da dire, la Sardegna migliore mostra il suo volto. Ma è proprio così? O accanto a qualche luce, ci sono molte ombre?
Intanto, c’entra qualcosa con quello scorrere furioso delle acque nelle strade il fatto che, sotto, madre natura aveva creato degli alvei e quelli son stati tombati? Ben tre, si è letto. E non è che il fiume si è ripreso il suo spazio quando la camicia troppo stretta del tombino non ha potuto più contenere l’acqua? Ma se è così, giusto pulire, sacrosanto rimettere a posto strade e piazze, ma cosa si farà dopo? Si lascerà tutto così com’è, pronto, presto o tardi, ad un nuovo disastro, quando la natura vorrà? O occorre porre rimedio razionale e sicuro alla violenza che quel territorio ha subito per maniacale (e non disinteressata) voglia di cemento? Insomma, cosa si progetta di strutturale per evitare preannunciati e immancabili disastri futuri?
Bene la genersosiità dei volontari. Andare a spalare fango dalla strade e dalle case altrui è un modo concreto non di enunciare ma di praticare la solidarietà. Mani e facce sporche, la stanchezza nei volti, dicono più di mille parole. Come quella infermiera accasciata su un tavolo al tempo della prima ondata di covid. Ma poi c’è l’irrazionalità dell’invio di beni di prima necessità in una cittadina notoriamente non povera, un invio così smodato da costringere i bittesi a lanciare un appello a bloccare le spedizioni; queste, anziché risolvere problemi, li creavano. C’è anche nella raccolta e smistamento dei beni di prima necessità qualche ombra, oltre le belle luci? C’è un invio ad orolegeria? Auomatico? Burocratico? E se è così, cosa c’è sotto?
Infine, le responsabilità. Sì proprio quelle, quelle che immancabilmente si perdono fra le nebbie e spariscono. Quel territorio, come tanti altri, a giudicare dai risultati, ha subito grande violenza. Tombare un fiume è come rinchiudere una persona in un bunker e buttar via la chiave. Sarebbe stato lo stesso se i fiumi fossero stati lasciati fiumi? Magari bonificandoli, se sopra ciò che fu il loro spazio naturale, non fossero state realizzate opere? E chi ha deciso di far così? Sulla base di quali studi, di quali progetti? Chi sono gli amministratori che hanno deciso, a Bitti, a Nuoro, a Cagliari? Chi gli ingegneri? E i geologi, che han detto i geologi? E gli uffici burocratici, i dirigenti con tanto di indennità di carica, perché sono capaci e competenti, cos’han detto e cos’han fatto?
A Bitti, come in tutto il Paese si salva (ed ha la nostra ammirazione) chi ha portato beni di prima necessità e si è sporcato le mani a spalar fango, per un obbligo morale, per solidarietà, in nome della mitica e sempre dimenticata fraternité, tutti fratelli come dice Francesco. Le loro facce a fine giornata sembran piene di merda, mentre quelli che la merda ce l’hanno davvero, dentro, forse sono fra coloro che ancora una volta celebrano riti politici, manovrano le risorse e decidono le immancabili ricostruzioni.
Bitti, quanta bella gente! Quanta tr!stezza!
1 commento
1 Aladin
8 Dicembre 2020 - 09:32
Anche su aladinpensiero online: http://www.aladinpensiero.it/?p=116313
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